l futuro di Intel si gioca in queste ore su un doppio fronte: quello politico e quello industriale. La richiesta del presidente Donald Trump di estromettere il ceo Lip-Bu Tan — accusato di avere “profondi conflitti di interesse” per i suoi investimenti in aziende cinesi, alcune con presunti legami militari — ha aperto una crisi che va ben oltre il singolo caso manageriale. La vicenda, esplosa con dichiarazioni pubbliche di rara durezza, rischia di rallentare la delicata strategia di rilancio di un colosso dei semiconduttori già impegnato in un turnaround complesso.
L’attacco di Trump è arrivato mentre Tan, al timone da appena sei mesi, stava lavorando a un piano di ristrutturazione mirato a ridurre i costi, focalizzare il portafoglio prodotti e rendere la produzione più agile. Ora, la necessità di difendere la propria posizione e rassicurare l’amministrazione statunitense si sovrappone agli obiettivi industriali, con il rischio di deviare tempo e risorse strategiche.
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Pressione politica e leadership sotto attacco
La scintilla è partita da un’inchiesta Reuters che ha documentato investimenti di Tan in centinaia di aziende cinesi, effettuati negli anni precedenti alla nomina in Intel. Pur non risultando illegali — nessuna delle società rientrava nella lista nera del Dipartimento del Tesoro Usa — questi legami hanno alimentato sospetti sulla sua indipendenza strategica. Il senatore repubblicano Tom Cotton ha scritto al board chiedendo chiarimenti, e Trump ha colto l’occasione per imprimere una pressione diretta: “Non ci sono altre soluzioni se non le dimissioni immediate”, ha dichiarato pubblicamente, mettendo in crisi l’assetto di vertice della società.
La reazione iniziale di Intel è stata misurata. Una nota ufficiale ha ribadito l’allineamento agli obiettivi di politica industriale americana e l’impegno a investire negli Stati Uniti. Nessuna menzione diretta a Trump, scelta che alcuni investitori hanno giudicato troppo “blanda” rispetto alla gravità dell’attacco.
Mercati in allerta e fiducia in calo
Gli effetti sul titolo non si sono fatti attendere: in poche ore, le azioni Intel hanno perso quasi il 3 %, sintomo di un clima di incertezza crescente. Per gli analisti, il problema non è solo la possibile sostituzione di Tan, ma l’instabilità che una crisi prolungata potrebbe generare. “Se questo dibattito si trascina per mesi, Intel non può permetterselo”, ha osservato David Wagner, portfolio manager di Aptus Capital Advisors. La paura è che un cambio di leadership a metà di un processo di ristrutturazione rallenti il ritmo delle decisioni operative, lasciando spazio a concorrenti come Nvidia, Tsmc e Apple, pronti a capitalizzare eventuali ritardi.
Il nodo industriale: Chips Act e investimenti mirati
Negli ultimi anni, Intel era stata tra i principali beneficiari del Chips Act, la legge federale varata nel 2022 per incentivare la produzione domestica di semiconduttori. L’ex ceo Pat Gelsinger aveva annunciato piani per nuovi mega-impianti negli Stati Uniti, tra cui due fab in Ohio da miliardi di dollari. Tan, invece, ha scelto un approccio più prudente: costruire solo quando la domanda giustifica l’investimento.
Questa strategia ha comportato il rallentamento dei lavori in Ohio, decisione che non ha entusiasmato la Casa Bianca. Per Trump, il modello vincente resta quello di Apple e Nvidia, che hanno impegnato centinaia di miliardi per la produzione interna, portando posti di lavoro e capacità produttiva direttamente sul suolo americano.
In questo scenario, il tema non è solo la sopravvivenza manageriale di Tan, ma la direzione che prenderà Intel nei prossimi anni: puntare su pochi investimenti mirati, preservando liquidità, oppure adottare un piano di espansione aggressivo in linea con la strategia “America First”.
La posta in gioco tecnologica e il legame con la banda ultralarga
La produzione di chip avanzati non è una questione isolata nel mondo tecnologico. Ha ricadute dirette su settori strategici come il 5G, l’edge computing e la banda ultralarga, infrastruttura abilitante per applicazioni industriali, sanitarie e smart city. Un ritardo nelle linee produttive di Intel potrebbe avere effetti a catena su filiere chiave dell’innovazione.
Come abbiamo analizzato nel nostro approfondimento su banda ultralarga e applicazioni innovative, il potenziamento delle reti ad altissima capacità richiede componentistica di ultima generazione, di cui i chip Intel sono parte essenziale. La stabilità della governance aziendale diventa quindi anche un tema di sicurezza infrastrutturale.
Il faccia a faccia alla Casa Bianca
Presto Tan incontrerà Trump e i vertici dell’amministrazione. L’obiettivo dichiarato è “garantire informazioni accurate” e dimostrare di essere pienamente allineato alla strategia nazionale. Secondo indiscrezioni, il ceo potrebbe proporre nuove forme di collaborazione pubblico-privato, sia per la produzione di chip per la difesa, sia per lo sviluppo di tecnologie di rete avanzate.
Questa mossa sarà cruciale per capire se Tan riuscirà a mantenere la fiducia politica necessaria per guidare Intel in un momento tanto delicato. Fallire significherebbe non solo un cambio al vertice, ma la necessità di ripensare in corsa un’intera strategia industriale.
Intel al bivio
Il caso Lip-Bu Tan rappresenta un test per l’industria americana dei semiconduttori: come conciliare la necessità di attrarre competenze globali con l’imperativo della sicurezza nazionale. Per Intel, il rischio è di trovarsi a metà del guado, con un piano industriale in sospeso e un clima di incertezza che frena investitori e partner tecnologici.
Se Tan riuscirà a superare questa tempesta politica, avrà davanti la possibilità di completare la trasformazione aziendale e riportare Intel in corsa per sfidare i colossi globali. In caso contrario, la transizione potrebbe prolungarsi, lasciando spazio a competitor più rapidi e politicamente meglio posizionati.