INNOVAZIONE

La PA smart? E’ quella aperta al territorio

Sono le amministrazioni che scelgono la condivisione abbandonando le logiche verticali quelle che vincono in efficienza. E la gestione dei big data assume un ruolo chiave nel kick off di questo processo. Lo raccontano il report ICity Rate e gli interventi di iCity Lab. Gianni Dominici (FPA): “Così la Pubblica amministrazione diventa piattaforma abilitante di innovazione”

Pubblicato il 27 Ott 2016

La PA smart? E’ quella aperta al territorio

C’è una PA che può diventare piattaforma abilitante per l’innovazione e per la partecipazione civica. È la PA calata nei territori, nelle città. E il report ICityRate racconta come questo modello stia progressivamente conquistando il centro della politica e dell’amministrazione.

“Quest’anno più che in passato con ICityRate abbiamo misurato, unitamente alla qualità del vivere urbano, la capacità delle città di farsi piattaforma abilitante, di guardare a traguardi lunghi facendo scelte e investimenti che puntano sui nuovi driver di sviluppo – commenta Gianni Dominici, Direttore di FPA – Il paradigma della Smart City negli ultimi anni ha sempre di più spostato l’accento dall’innovazione tecnologica all’innovazione sociale, al co-design, alla gestione dei beni comuni. In questa direzione sono andate le strategie europee della nuova programmazione, e in questa direzione stanno andando le politiche locali”.

Il riflesso dell’evoluzione del concetto di smart city, ma anche di amministrazione “smart”, sta nella capacità di misurare la capacità delle città di: accogliere e saper gestire i flussi migratori; attrarre cervelli e talenti e generare imprese innovative; attrarre finanziamenti europei per la ricerca e l’innovazione; rendere disponibili i dati pubblici; agevolare le pratiche d’uso sociale degli spazi pubblici; attivare reti e relazioni per la sostenibilità e la gestione delle politiche smart; garantire gli adeguati livelli di sicurezza e legalità.

Un percorso – questo – che stanno percorrendo anche le città del Sud come Siracusa, Lecce e Catania. Con un “quid” in più: l’adozione di modelli di innovazione sociale.

“A fronte delle sfide sempre più complesse che la PA si trova ad affrontare – sottolinea Dominici – non basta solo migliorarne i livelli di funzionamento e l’efficacia dell’operare, ma è anche necessario immaginare, sperimentare ed introdurre nuovi modelli operativi capaci di superare e sovvertire quell’approccio ancora prevalente di natura burocratica e verticale”.

In Trentino si è scelta una piattaforma progettata per essere scalabile, riusabile e adattabile, sostenuta da un ecosistema collaborativo. Il progetto Comunweb del Consorzio dei Comuni Trentini si basa su un’innovativa architettura informativa e un apparato di dati, informazioni strutturate, contenuti e servizi orientati a costruire un nuovo dialogo tra amministrazioni e tra cittadini e PA, all’insegna della trasparenza e della partecipazione civica.

“Comunweb si posiziona come un modello di piattaforma territoriale esportabile su scala nazionale, in stretto collegamento con le esigenze di innovazione riscontrabili nel contesto normativo – spiega Dominici – Pensiamo al Cad, alle norme in materia di trasparenza e open data e non da ultimo alla Riforma degli enti locali con la sua forte spinta all’aggregazione di Comuni e alla gestione associata delle funzioni sui territori. In secondo luogo, emerge una forte sintonia dell’offerta Comunweb con le evoluzioni di mercato privato e pubblico. Penso all’esplosione di piattaforme collaborative e all’economy on demand da un lato; alle stringenti esigenze di risparmio e riduzione dei costi della PA dall’altro.

Su opportunità di risparmio e creazione di valore aggiunto, i dati del progetto parlano chiaro. Il risparmio stimato, nell’arco di tre anni nel caso di utilizzo delle soluzioni Comunweb è pari a circa 1,4 milioni di euro: se i Comuni trentini avessero tutti optato per altre soluzioni di mercato, avrebbero speso 1,7 milioni di euro tra il 2013 e il 2015, anziché soli 270mila euro per Comunweb. È quanto emerge dalla ricognizione delle delibere di spesa e conseguente comparazione dei costi che i Comuni trentini hanno sostenuto per soluzioni “altre”, dal 2010 al 2014, con l’offerta “base” di Comunweb. In aggiunta, dal Panel “Unioni dei Comuni e piattaforme tecnologiche”, condotto da FPA a luglio 2016 emerge che circa il 60% delle Unioni rispondenti ha speso più di 1.000 euro per il proprio sito web a fronte dell’offerta base Comunweb di poco inferiore ai 1.000 euro; l’85% ha dichiarato che la manutenzione del sito web rappresenta una voce di costo, a fronte dell’offerta Comunweb inclusiva di manutenzione; il 40% ha dichiarato che il sito web non è stato realizzato con software Open Source, quest’ultima tra le caratteristiche principali della piattaforma trentina.

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