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Ragosa: “In-house Ict, basta sprechi”

Almeno 4mila i data center pubblici. Troppi e ingovernabili sul fronte costi e security. Il direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale: “C’è bisogno di un’infrastruttura unica”

Pubblicato il 04 Feb 2013

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Superata la fase delle nomine, e pur consapevole della complessità generata dal coinvolgimento di quattro diversi Ministeri nella cabina di regia, l’Agenzia per l’Italia Digitale è pronta a partire “al più presto” con uno statuto e un’organizzazione, annuncia il direttore Agostino Ragosa. Perché l’Italia ha bisogno di un’istituzione a livello centrale che finalmente si occupi dei temi dell’innovazione da cui dipende lo sviluppo dell’intero Paese, con un’urgenza che impedisce ulteriori indugi. Lo chiede Bruxelles, che nel 2014-2020 potrebbe arrivare a puntare sul digitale fino a un quarto del suo budget, ma deve volerlo anche l’Italia, nella consapevolezza che “l’Ict non è semplicemente un fattore abilitante, ma di competitività e modernizzazione”, sottolinea Ragosa. “I bit sono la linfa per creare i servizi, e i servizi generano ricavi che fanno crescere il Pil e l’occupazione”.

È l’Ict a disegnare il futuro dell’economia con un effetto moltiplicatore in cui l’Agenzia guidata da Ragosa vuole svolgere un ruolo attivo, non limitandosi a imporre regole e dettare processi, ma mettendo a punto un piano nazionale per la digitalizzazione che è trasversale a tutti i settori dell’economia e deve rendere uniforme lo sviluppo di tutto il territorio, rispettando ma non cedendo a particolarismi e specificità regionali.

Secondo questo spirito, devono diventare realtà sistemi come l’anagrafe nazionale o il fascicolo sanitario elettronico, semplificando la vita a cittadini e imprese ma anche abbattendo gli sprechi di risorse nella Pubblica amministrazione. “Tutti gli attori del mondo Ict dovranno dare il loro contributo, sia le amministrazioni pubbliche sia i privati, e le società in-house delle Regioni potranno giocare un ruolo importante se sapranno trasformarsi e adottare nuovi modelli”, indica Ragosa. L’Agenzia per l’Italia Digitale definirà su scala nazionale gli standard e le linee guida, tenendo conto anche delle indicazioni europee, ma la gestione delle infrastrutture può essere solo delle Regioni, in un delicato ma indispensabile equilibrio tra guida centrale – che scongiura sviluppi del digitale a macchia di leopardo e sistemi non comunicanti – e aderenza alle necessità del territorio: “Il percorso sarà unico, ma i territori manterranno le loro declinazioni che dipendono dalle singole necessità”, spiega Ragosa.

Occorrerà tuttavia vincere la dannosa frammentazione del sistema Ict pubblico, ormai giunta a livelli insostenibili, con almeno 4.000 data center (un numero che potrebbe essere sottostimato) di natura e stadio evolutivo diversi: in pratica si tratta di punti di erogazione dei dati non sempre visibili, perché non censiti, e la cui sicurezza non in tutti i casi è certificabile. Soprattutto, i data center della PA non sono interoperabili, mentre il dialogo tra tutti i sistemi nazionali, e di questi con i sistemi europei, è imprescindibile per portare a cittadini e imprese servizi veramente utili e efficienti e al tempo stesso permettere alle amministrazioni di ridurre i costi.

“Consolidare e ottimizzare questa pletora di sistemi vuol dire liberare risorse che ancora spediamo sul vecchio per investirle nel nuovo – sottolinea Ragosa -. Dobbiamo puntare su un’opera di standardizzazione delle applicazioni, ridisegnare le architetture per arrivare a un’infrastruttura unica per tutti i servizi. Solo l’integrazione dei servizi ci garantisce efficienza e risparmi; frammentazione e particolarismi ci hanno reso ultimi in Europa nel processo di digitalizzazione”.

Su questo punto Ragosa è inflessibile e il motivo è chiaro: “Senza un piano nazionale per la crescita e l’innovazione del nostro Paese, rischiamo di restare fuori dai fondi dell’Europa”, avverte il direttore dell’Agenzia. “Inutile giudicare il modo in cui si è agito in passato; mettiamoci al lavoro, col contributo di tutti, per cambiare, tenendo a mente che se i nostri progetti su banda larga, open data, cloud, razionalizzazione delle infrastrutture e unificazione dei sistemi non si allineeranno alle direttive Ue, non verranno finanziati”.

Un vincolo, insomma, che dobbiamo trasformare in opportunità e stimolo a cambiare direzione; le società Ict in-house delle Regioni potranno partecipare come erogatori e gestori dell’infrastruttura tecnologica pubblica, rafforzandosi con nuovi modelli di sviluppo, una migliore qualificazione della domanda e l’acquisizione di competenze, perché, conclude Ragosa, “se vogliamo avanzare su materie come cloud e big data le professionalità non potranno essere improvvisate”.

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