L’Italia firma la Dichiarazione europea sulla sovranità digitale, presentata il 18 novembre 2025 e firmata da tutti gli Stati membri, vede l’Italia tra i protagonisti. Il documento segna una svolta nella politica digitale dell’Unione: la sovranità non è più evocata solo come slogan, ma viene tradotta in una cornice chiara di obiettivi, principi e strumenti operativi.
Sin dall’incipit, la Dichiarazione individua nella sovranità digitale il cuore della strategia europea. Essa viene definita come la capacità dell’Ue e dei suoi Stati membri di agire in modo autonomo nel mondo digitale, scegliendo liberamente le proprie soluzioni tecnologiche, pur beneficiando della collaborazione con partner globali quando ciò è possibile e compatibile con i valori europei. È un equilibrio delicato: l’Europa vuole ridurre le sue dipendenze, in particolare nelle tecnologie critiche, ma rifiuta l’idea di una chiusura protezionistica che la isolerebbe dal flusso globale di ricerca e innovazione.
Indice degli argomenti
Butti: “Non ci chiudiamo al mondo”
Annunciando la firma il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica e alla transizione digitale, Alessio Butti, ha ricordato che “sovranità digitale non vuol dire chiudersi al mondo, ma dotarsi degli strumenti necessari per scegliere in autonomia le proprie soluzioni tecnologiche, proteggere i dati più sensibili e rafforzare le infrastrutture critiche». Butti ha inoltre sottolineato come il recente impegno italiano nel promuovere il Digital Commons EDIC rappresenti un tassello concreto di questo percorso.
Un’autonomia aperta, non un fortino chiuso
Uno dei passaggi più significativi del documento è la definizione della sovranità digitale come capacità di agire in modo indipendente nel rispetto del diritto internazionale, delle leggi europee e degli interessi di sicurezza e competitività. L’Ue rivendica il diritto di fissare il proprio quadro normativo, ma al tempo stesso insiste su un principio essenziale: la sovranità non è sinonimo di autarchia.
La Dichiarazione chiarisce che l’Europa deve rimanere aperta ai partner che condividono i valori democratici e lo stato di diritto, continuando a partecipare attivamente ai flussi globali di scambio tecnologico, scientifico e commerciale. Questa apertura è vista come una leva fondamentale per accedere a talenti, competenze e innovazioni provenienti da tutto il mondo. Allo stesso tempo, però, viene ribadita la necessità di evitare dipendenze unilaterali che possano tradursi in vulnerabilità economiche, strategiche o politiche.
La sovranità digitale è dunque autonomia responsabile: l’Europa deve essere in grado di decidere con chi collaborare, su quali tecnologie investire, quali standard promuovere, senza subire pressioni esterne o condizionamenti di attori dominanti extraeuropei. È una visione che esige coerenza tra politiche industriali, strategia di sicurezza e capacità regolatoria.
Data sovereignty: la tutela del dato come bene strategico
Al centro del documento il concetto di “data sovereignty”. I dati vengono riconosciuti come un asset strategico, tanto per il settore pubblico quanto per quello privato. Proteggere i dati più sensibili dalle interferenze esterne è un elemento imprescindibile della sovranità digitale.
La Dichiarazione richiama la necessità di garantire che le informazioni critiche, soprattutto quando riguardano ambiti come sanità, finanza, sicurezza o infrastrutture, siano trattate nel quadro delle norme europee e non possano essere sottoposte in modo arbitrario a legislazioni extra Ue. Per raggiungere questo obiettivo, l’Unione punta su una serie di strumenti già in corso di definizione o implementazione.
Viene citato il portafoglio di identità digitale europeo, destinato a diventare un “passaporto” digitale sicuro per cittadini e imprese, in grado di semplificare l’accesso a servizi pubblici e privati. Si richiama il principio del “Once Only”, secondo cui le informazioni fornite alle pubbliche amministrazioni dovranno essere inserite una sola volta e riutilizzate in modo controllato e sicuro. Si parla di spazi comuni di dati, settoriali e intersettoriali, finalizzati a condividere informazioni in modo interoperabile, e di sandbox regolamentari per sperimentare nuove tecnologie senza mettere a rischio diritti e sicurezza.
In questa prospettiva, la sovranità sui dati non significa chiudere i confini digitali, ma garantire che l’uso delle informazioni avvenga nel rispetto dei diritti fondamentali, della privacy e delle regole europee, rafforzando la fiducia dei cittadini e delle imprese nella trasformazione digitale.
Le tecnologie chiave per l’indipendenza: dall’HPC all’intelligenza artificiale
La Dichiarazione individua una serie di ambiti tecnologici che rappresentano la spina dorsale dell’autonomia digitale europea. Si tratta di settori nei quali l’Europa intende colmare ritardi, consolidare competenze e ridurre dipendenze critiche.
Il supercalcolo e le infrastrutture di high performance computing, ad esempio, sono fondamentali per sviluppare algoritmi avanzati di intelligenza artificiale, per la simulazione scientifica e per l’analisi di grandi quantità di dati. I semiconduttori costituiscono un altro nodo vitale: la recente crisi globale delle catene del valore dei chip ha dimostrato quanto sia rischioso dipendere in misura quasi esclusiva da pochi produttori concentrati in aree geopoliticamente sensibili.
Una parte significativa del documento è dedicata alle reti di comunicazione di nuova generazione, alle infrastrutture satellitari e alle tecnologie quantistiche, viste come fattori determinanti per la sicurezza, la resilienza e la competitività del continente. Cloud e intelligenza artificiale vengono riconosciuti come ambiti strategici, nei quali l’Europa deve sviluppare soluzioni proprie, capaci di competere con i colossi extraeuropei, pur continuando a cooperare con essi nel rispetto delle regole comuni.
Un punto cruciale riguarda i finanziamenti. La Dichiarazione riconosce che le risorse pubbliche, per quanto importanti, non basteranno da sole. Per questo insiste sulla necessità di un contesto normativo favorevole agli investimenti privati e sulla creazione di partenariati pubblico-privato, in grado di mettere a sistema competenze, capitali e capacità industriali.
Open source e standard: trasparenza come leva di sovranità
Il documento valorizza il ruolo dell’open source, considerandolo uno strumento decisivo per promuovere trasparenza, interoperabilità e auditabilità delle soluzioni digitali. Le tecnologie a codice aperto vengono viste come un mezzo per aumentare il controllo europeo sulle infrastrutture critiche, riducendo i rischi legati al lock-in tecnologico e alla dipendenza da fornitori unici.
La sovranità passa anche dalla capacità di influenzare la definizione degli standard internazionali. La Dichiarazione richiama la necessità di una partecipazione più incisiva dell’Europa nei consessi dove si decidono le regole e le specifiche tecniche delle tecnologie emergenti. Essere assenti da queste sedi significa accettare standard elaborati altrove, spesso in linea con interessi e modelli di governance differenti da quelli europei.
In questa prospettiva, la standardizzazione diventa un terreno di competizione geopolitica, non solo tecnica. Avere voce in capitolo nella definizione delle regole del gioco digitale è un aspetto fondamentale della sovranità, tanto quanto possedere infrastrutture e capacità produttive.
Governance e cooperazione: evitare la frammentazione dell’Unione
La Dichiarazione insiste sulla necessità di evitare la frammentazione delle politiche digitali nazionali. Il rischio, sottolineato nel testo, è quello di vedere nascere iniziative parallele che duplicano sforzi e risorse, creando un mosaico disomogeneo di regole e progetti.
Per scongiurare questo scenario, si propone una governance che valorizzi gli strumenti esistenti, ne integri il funzionamento e assicuri un coordinamento costante tra Commissione, Stati membri e attori privati. L’approccio è dichiaratamente multi-stakeholder, perché la costruzione di una sovranità digitale europea richiede il contributo di governi, imprese, mondo accademico e società civile.
La governance non viene pensata come una nuova sovrastruttura burocratica, ma come un meccanismo per garantire coerenza, rapidità decisionale e trasparenza. Solo così sarà possibile trasformare gli obiettivi del documento in azioni concrete e verificabili.
Le competenze come infrastruttura immateriale della sovranità
Un altro pilastro della Dichiarazione riguarda le competenze. Senza un capitale umano adeguato, qualsiasi investimento in infrastrutture rischia di rivelarsi sterile. Per questo si insiste sulla formazione digitale a tutti i livelli, dalla scuola all’università, dai programmi di reskilling per i lavoratori alle iniziative rivolte alla pubblica amministrazione.
La trasformazione digitale non viene considerata solo come un tema tecnologico, ma come una questione culturale. I cittadini devono essere in grado di comprendere le opportunità e i rischi dei servizi digitali, riconoscere la disinformazione, proteggere i propri dati, esercitare i propri diritti anche nello spazio online. Allo stesso tempo, le imprese, in particolare le piccole e medie, devono poter contare su competenze e strumenti per innovare senza essere schiacciate dalla complessità normativa o dalla concorrenza di giganti globali.
In questo senso, la sovranità digitale assume anche la forma di una grande operazione educativa, che mira a dotare l’Europa di una cittadinanza consapevole e di una forza lavoro capace di sostenere e guidare l’innovazione.
Democrazia, sicurezza e resilienza: lo scudo digitale dell’Unione
La parte finale della Dichiarazione mette in luce il legame tra sovranità digitale e difesa della democrazia. La diffusione di campagne di disinformazione, l’uso manipolatorio degli algoritmi, la produzione di deepfake in grado di alterare la percezione della realtà, unitamente all’aumento vertiginoso degli attacchi informatici contro istituzioni, aziende e infrastrutture critiche, costituiscono una minaccia diretta alla stabilità delle società europee.
Per rispondere a queste sfide, il documento propone un rafforzamento delle capacità di cybersicurezza, la promozione di un ecosistema di imprese europee specializzate nel settore, la cooperazione tra Stati nella condivisione di informazioni e nella gestione delle crisi. La sovranità digitale viene così presentata anche come uno scudo a protezione dei processi democratici, dell’integrità del dibattito pubblico e della fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
L’impegno delle telco: la roadmap di Orange e Deutsche Telekom
La centralità della sovranità digitale non è solo nelle agende istituzionali, ma anche nelle strategie dei grandi operatori delle telecomunicazioni europee. Christel Heydemann, ceo di Orange, e Timotheus Höttges, ceo di Deutsche Telekom, hanno firmato una dichiarazione congiunta che si traduce in un vero piano d’azione.
Secondo i due manager, andare oltre gli slogan significa proteggere collettivamente gli interessi strategici comunitari, restando però aperti per rimanere competitivi e innovativi a livello globale. Non si tratta, ribadiscono, di costruire un muro digitale, ma di creare le condizioni perché l’Europa possa contare su infrastrutture, piattaforme e servizi di cui controlla le leve fondamentali.
Per Heydemann e Höttges, una Unione digitale sovrana si basa su quattro pilastri. Il primo è il controllo: le infrastrutture devono essere resilienti, sicure, in grado di resistere a crisi e attacchi. Il secondo è la scelta: laddove esistono dipendenze critiche, occorre promuovere alternative europee e costruire ecosistemi interoperabili che riducano il rischio di lock-in verso singoli fornitori. Il terzo pilastro è la competenza, intesa come sviluppo del know-how necessario a far crescere un ecosistema digitale autonomo. Il quarto, infine, è la dimensione critica: senza scala adeguata non è possibile sostenere investimenti significativi in innovazione e capacità tecnologiche, né competere con i colossi globali.
La dichiarazione dei vertici di Orange e Deutsche Telekom si traduce in un piano d’azione in tre direzioni. In primo luogo, viene chiesta una revisione profonda del quadro regolatorio europeo sulle telecomunicazioni, con l’obiettivo di creare un contesto favorevole agli investimenti nelle reti di nuova generazione. Una legislazione “audace” sulle reti digitali, spiegano, dovrebbe modernizzare e semplificare le norme, in linea con le raccomandazioni contenute nelle analisi sulla competitività europea, per consentire lo sviluppo di connessioni robuste, capillari e sicure.
In secondo luogo, i due ceo sottolineano l’importanza di una chiara strategia europea sul cloud. Servono criteri comuni di sovranità, fissati per legge, e un impegno concreto a privilegiare servizi cloud europei negli appalti pubblici. Solo in questo modo sarà possibile raggiungere la scala necessaria per dare vita a un ecosistema cloud competitivo e resiliente. In quest’ottica si inserisce la creazione di Estia, la European Sovereign Tech Industry Alliance, che riunisce diverse aziende europee con l’obiettivo di promuovere soluzioni digitali europee, in particolare nel cloud.
Il terzo punto del piano riguarda l’intelligenza artificiale. L’Europa, sostengono Heydemann e Höttges, non può limitarsi a essere un semplice consumatore di strumenti di AI sviluppati altrove: deve diventare un vero continente dell’AI. Le telecomunicazioni giocano un ruolo decisivo in questa dinamica. Gli operatori stanno costruendo reti in grado di supportare il traffico generato dall’AI e, allo stesso tempo, utilizzano queste tecnologie per rendere i propri servizi più efficienti, intelligenti e flessibili. Le telco, inoltre, sono nelle condizioni di offrire alla ricerca, alle imprese e alle amministrazioni pubbliche risorse computazionali specializzate e strumenti di intelligenza artificiale su misura, contribuendo alla nascita di un ecosistema europeo dell’AI.
In chiusura, i due manager lanciano un appello diretto ai decisori europei: servono riforme ambiziose e coraggiose per sostenere il settore delle telecomunicazioni, riconosciuto come infrastruttura di base senza la quale la sovranità digitale resterebbe un obiettivo irraggiungibile. È un richiamo che riecheggia lo spirito della Dichiarazione europea e che dimostra come il percorso verso la sovranità digitale sia ormai un fronte comune tra istituzioni e grandi player industriali.













































