“Non bastano i documenti politici e le buone intenzioni per spingere le imprese alla digitalizzazione. Non bastano le belle parole per mettere in pratica i progetti. Ma se è vero che il vento è cambiato – per noi è vero – forse c’è spazio per prendere l’onda giusta: le tecnologie esistono, le competenze non mancano in Italia, le esperienze di successo cominciano ad apparire all’orizzonte. Se è vero che il vento e cambiato, ora bisogna scegliere la vela giusta e la rotta giusta per sfruttarlo”. Questa la vision dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of management del Politecnico di Milano che ha appena presentato i risultati dell’indagine sull’evoluzione della “nuova industria”.
Se è vero che la dalla fotografica scattata dall’Osservatorio emerge un quadro ancora nebuloso è anche vero che il “cantiere” Italia si è messo in moto e, come sottolineano i ricercatori, è “un work in progress”. I progetti Smart Manufacturing nel 2015 valgono circa 1,2 miliardi di euro; a questo valore può essere aggiunto un ulteriore 20% di progettualità “tradizionale” addizionale da essi indotta. “Più di un terzo delle imprese italiane dichiara di non conoscere il tema Smart Manufacturing/Industry 4.0 (in dettaglio il 32% delle grandi imprese e il 48% delle Pmi), ma vi è comunque quasi un 30% delle oltre 300 imprese analizzate che ha all’attivo tre o più applicazioni di nuove tecnologie anche se, sia detto, fare Smart Manufacturing non è solo collezionare applicazioni”, spiega a CorCom Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano.
“Considerando l’innovatività del paradigma, l’immaturità di alcune tecnologie e la complessità di implementazione, oltre alla crisi economica degli ultimi anni, il quadro italiano dello Smart Manufacturing è da leggere in chiave positiva – afferma Alessandro Perego, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Manufacturing -. Per accelerare la crescita però è necessario innanzitutto uscire dalla fase sperimentale che caratterizza la maggior parte dei progetti per passare all’applicazione diffusa ed estendere i progetti anche a settori oggi meno attivi come l’alimentare, il legno-arredamento, la moda e soprattutto alle imprese medio-piccole, cuore pulsante del tessuto industriale italiano”.
I dati però vanno interpretati anche sulla base dei settori: nei settori Automotive, Alimentare e Macchinari la percentuale degli intervistati che conosce il tema e prossima al 70%, in altri settori il numero di coloro che dichiara di non conoscere la materia e prossimo o addirittura superiore al 50%, si legge nel report. Approfondendo la conoscenza delle singole Smart Manufacturing Technologies – si legge ancora – emerge un grado di non conoscenza, per ciascuna tecnologia, prossimo al 40%, che arriverebbe al 70% se si considerasse come requisito l’aver condotto almeno un’analisi preliminare di applicabilità, dunque non limitandosi a letture o considerazioni decontestualizzate.
Tra tutte, le capacità offerte dalla Advanced Automation (robot cognitivi e collaborativi) e da soluzioni di Advanced HMI di tipo software (es. soluzioni a supporto delle performance operatore) sono le meno conosciute. Insomma, la limitata diffusione delle soluzioni tradizionali rappresenta un limite nella “maturità digitale” dei processi, che rende difficoltosa l’applicazione di nuove e più avanzate tecnologie, sostengono i ricercatori. Ma non si tratta dell’unico limite: “le barriere allo Smart Manufacturing in Italia sono molteplici: fattori contestuali e infrastrutturali, impianti datati, limiti culturali ed organizzativi. Le imprese chiedono al Governo azioni mirate a favore di investimenti in impianti e tecnologie, e in formazione”, dicono i ricercatori dell’ateneo milanese. E poi c’è la questione delle competenze: “La rivoluzione digitale richiede competenze specifiche di cui raramente le aziende verificano la disponibilità in modo sistematico: quando lo fanno, in oltre il 60% dei casi vengono individuati importanti gap che richiederebbero specifiche azioni di correzione”. “Fare Smart Manufacturing non significa però adottare isolatamente una certa tecnologia in un dato processo, ma saper orchestrare l’innovazione digitale per reinventare il meccanismo di creazione del valore in seno al mondo industriale. E, prima di tutto, va reinventato il ruolo del lavoratore”.
Sul fronte tecnologico su circa 600 applicazioni di Smart Manufacturing (il numero delle applicazioni Smart Manufacturing in Italia cresce del 30% rispetto al 2015), le tecnologie più diffuse risultano quelle di Industrial IoT e Analytics a supporto delle attività esecutive (produzione e logistica), con alcune interessanti novità (la crescita dell’Industrial Analytics nei processi di planning) – evidenzia il Polimi – e alcune conferme (l’Additive Manufacturing nello Sviluppo Nuovo Prodotto per funzioni di Rapid Prototyping).
Dal punto di vista dei processi, è la fabbrica il centro della trasformazione digitale, con applicazioni in tutti i principali ambiti. La gestione del ciclo di vita del prodotto appare anch’essa molto vitale, con l’adozione di diverse soluzioni, soprattutto orientate alla collaborazione. Rispetto allo scorso anno, risulta più ricco il quadro applicativo in area supply chain, sebbene ancora lontano dal suo potenziale.
Uscita dalla fase sperimentale, espansione verso le Pmi e definizione di un programma nazionale che indirizzi e incentivi la trasformazione dell’industria italiana sono secondo l’Osservatorio le tre direzioni verso cui guardare per accelerare la crescita. “È evidente che le imprese devono fare il grosso del lavoro – conclude Miragliotta -. Ma con una regia Paese di sicuro si lavora meglio, nella giusta direzione, e si può anche dare un’accelerata ai progetti”.
“È necessario poi definire un programma nazionale di trasformazione digitale dell’industria italiana, sulla falsariga di quelli già promossi da altri Paesi, delineando però una via italiana alla ‘quarta Rivoluzione industriale’ a partire dalle caratteristiche della nostra manifattura – dice Marco Taisch, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Manufacturing –. Oltre a produrre effetti indiretti di sensibilizzazione e marketing della capacità industriale nazionale, il programma dovrà prevedere azioni dirette per la defiscalizzazione di investimenti o altri incentivi alla modernizzazione dei processi, iniziando a coinvolgere in questa trasformazione le medie imprese”.
“La rivoluzione digitale richiede conoscenze specifiche, ma la ricerca rivela un gap nelle competenze digitali nel tessuto produttivo, in particolare nelle PMI. Colmare queste lacune è un elemento fondamentale per il successo dei progetti – aggiunge Andrea Sianesi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Manufacturing -. L’opportunità costituita dalla digitalizzazione dell’industria porta con sé anche un rischio di ‘Digital divide’ tra le imprese che dispongono di competenze specialistiche e le altre, soprattutto piccole realtà, che rischiano di rimanere fuori da questa evoluzione”.