Asstel e sindacati: “Lasciare libere le telco nella gestione delle reti”

Riflettori puntati sul ritardo italiano nella banda larga: “Bisogna sperimentare nuovi modelli di business dando valore all’offerta di banda e alla qualità del servizio”

Pubblicato il 15 Giu 2011

"Per rilanciare il ruolo delle tlc quale volano per lo
sviluppo del Paese occorre lasciare agli operatori la libertà di
gestire la rete e sperimentare nuovi modelli di business, dando
valore all'offerta di banda e alla qualità del servizio".
Lo chiedono Asstel, l'associazione presieduta da Stefano
Parisi, e i sindacati dal Forum della filiera delle
telecomunicazioni, appuntamento annuale di studio e approfondimento
sugli scenari e le prospettive del settore.

Il settore delle tlc in Italia ha sofferto nel 2010 un calo dei
ricavi (-2,6%) e dell'occupazione (- 6,9%) e un forte ritardo
sui servizi a banda larga come mostra il secondo rapporto sulla
filiera delle Tlc in Italia presentato al Forum a cui hanno
partecipato i Segretari Generali di Slc/Cgil, Fistel/Cisl,
Uilcom/Uil e i vertici delle aziende aderenti ad Asstel.

Continuano invece a scendere i prezzi (-8%) e nonostante questo gli
operatori italiani hanno mantenuto costanti gli investimenti (6
miliardi di euro) e hanno determinato un'ulteriore espansione
infrastrutturale, in particolare un incremento del 6% nel tracciato
in fibra ottica (per un totale di 140mila chilometri).

Il contributo del settore al Pil, si legge in una nota, scende
dall'1,7% del 2009 all'1,6% nel 2010, mentre, nello stesso
periodo, il margine operativo lordo degli operatori telefonici si
è ridotto dell'1,2 per cento. "Resta preoccupante il
ritardo italiano nella banda larga fissa con 54% di penetrazione
(accessi su famiglie), a fronte del 78% del Francia, 72% della Gran
Bretagna, 65% della Germania e 61% della Spagna" si legge nel
rapporto.

L'Italia, con 93 milioni di linee mobili e una penetrazione del
10% della banda larga mobile, mantiene la leadership europea nello
sviluppo e nell'adozione di servizi di rete mobile ma solo il
30% degli accessi in banda larga mobile espande il mercato delle
famiglie in banda larga, mentre il restante 70% riguarda famiglie
che hanno già accesso a banda larga da rete fissa.

La colpa però secondo il rapporto è di fattori di natura sociale
e culturale: il 40% della popolazione adulta non ha mai usato il pc
e, tra gli over 55 anni, ben l'80% non usa internet (50% in
UK). Forte è anche la disomogeneità rilevata tra diverse aree
geografiche del Paese. Quanto alle imprese, il ritardo tocca in
modo particolare quelle di dimensioni medio-piccole.

Le risposte strategiche sono innanzitutto "l'attuazione di
piani e iniziative coerenti con un'Agenda digitale italiana in
linea con quella dettata a livello Ue – conclude il rapporto –
favorire la crescita della domanda di servizi digitali, un vero e
proprio pressing sull'uso delle tecnologie per creare le
condizioni del superamento delle barriere e per la semplificazione
dei processi burocratici. Inoltre, suggeriscono i partecipanti al
Forum, alla crescita del traffico online deve accompagnarsi un
modello di business che consenta di remunerare e garantire gli
investimenti necessari per potenziare le reti e assicurare un
corretto rapporto prezzo-qualità".

Il processo di depauperamento del settore è evidente considerando
che in cinque anni il totale dei ricavi della filiera si è
abbassato del 10,5%, passando dai 57,5 miliardi di euro del 2006 ai
51,5 miliardi di fine 2010.

In particolare, lo sviluppo dei servizi a banda larga risulta
ancora troppo lento e non riesce a compensare la perdita di
fatturato relativa ai servizi voce, dovuta a un ulteriore calo dei
prezzi nel 2010 (-8% rispetto al 2006), già molto competitivi
rispetto agli altri Paesi Ue5 soprattutto nel mobile, e alla
pressione dei servizi VoIP Ott (Over The Top) e di
messaggistica.

Questa flessione di margini e ricavi ha impattato negativamente sui
livelli occupazionali della filiera, che a fine 2010 contava
129mila addetti, con un calo del 6,9% rispetto all’anno
precedente. Tuttavia, nonostante l’incertezza sui ritorni
determinata dall’attuale situazione di mercato, gli investimenti
degli operatori italiani, pur contraendosi da 7,3 miliardi di euro
nel 2006 a 6 miliardi nel 2010, restano tra i più elevati in
proporzione ai ricavi tra i Paesi dell’Ue5.

Con il 14% degli investimenti sul totale dei ricavi l’Italia è
seconda solo alla Gran Bretagna (17%), precedendo Germania (12%),
Spagna e Francia (ambedue all’11%).

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