IL CASO

Canone frequenze, countdown per la decisione Agcom

Domani scade il mese di “stand-by” della delibera concesso al Governo dall’Authority, ed è prevista la votazione sul nuovo regolamento. Ma il Governo non esclude “interventi legislativi” per evitare le minori entrate nelle Casse dello Stato

Pubblicato il 29 Set 2014

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E’ previsto per domani il voto in Consiglio Agcom sul nuovo regolamento che normerà il canone delle frequenze. Negli ultimi giorni si sono susseguiti gli interventi per placare le polemiche sul caso, con il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli che si era spinto a non escludere “il ricorso a interventi legislativi” nel caso in cui la riforma venisse approvata dall’Authority, per evitare perdite per le casse dello Stato oltre che la procedura d’infrazione Ue.

Ma la vicenda parte dagli inizi d’agosto, il 6 per la precisione, quando il consiglio Agcom ha votato i criteri di riforma del canone per le frequenze televisive. In quell’occasione, individuati i criteri che tra l’altro prevedono 4 anni per l’entrata a regime del “canone” di Rai e Mediaset e 8 anni per le locali, il Consiglio non ha però approvato la delibera rinviandone il varo al 30 settembre. Lo aveva chiesto in una lettera lo stesso Giacomelli ventilando un intervento legislativo entro fine settembre volto a cambiare la normativa approvata a febbraio 2012. Contrario il voto del presidente Angelo Maria Cardani, favorevole quello degli altri componenti del Consiglio. Il commissario Antonio Nicita aveva però spiegato di essere contrario alla progressività dei pagamenti di Rai e Mediaset ma di votare a favore all’interno del “pacchetto” che prevedeva fra l’altro anche il rinvio a settembre del voto conclusivo.

La scadenza di fine settembre è ormai arrivata, senza che dal Governo siano sati presi provvedimenti: così domani si dovrebbe arrivare al voto e probabilmente all’approvazione della delibera. Le nuove norme a cui ha lavorato Agcom prevedono un totale cambio di rotta nel sistema di pagamento del canone dovuto dalle aziende Tv allo Stato: il baricentro si sposta dal fatturato (le società Tv “analogiche” pagavano l’1% del fatturato allo Stato) al valore delle frequenze possedute. Quindi dalle imprese editoriali a quelle tecnologiche (gli operatori di rete) che detengono i diritti d’uso delle frequenze. Un cambio di sistema dovuto al passaggio tecnologico dall’analogico al digitale che però lascia molti punti interrogativi. Si può evitare una diminuzione di risorse per lo Stato? Su che base viene misurato il valore delle frequenze?

Intanto è stata messa in stand by la risposta all’audizione richiesta ad Agcom dal presidente della Commissione trasporti e Tlc alla Camera Michele Meta. Il tema, dice Meta, è anche sul tavolo del ministero dell’Economia che starebbe studiando gli eventuali mancati introiti per lo Stato dovuti alla nuova normativa. Secondo le stime riportate negli ultimi giorni dalla stampa nel 2014, con il nuovo meccanismo, l’erario si ritroverebbe in cassa 39,52 milioni in meno rispetto al 2013 mentre nei primi 4 anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento, l’ammanco per lo Stato salirebbe a 104,8 milioni.

I criteri delle nuove regole, aveva detto Agcom, “sono stati individuati a conclusione di un lungo e accurato lavoro istruttorio, sulla base di una proposta del relatore Francesco Posteraro, che ha tra l’altro tenuto nel massimo conto – in applicazione del dovere di leale cooperazione di cui all’articolo 4(3) del Trattato sull’Unione Europea – le osservazioni formulate nei giorni scorsi dalla Commissione europea. L’Autorità ha così dato applicazione al vigente quadro normativo, frutto del combinato disposto dell’articolo 3-quinquies, comma 4, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) e dall’art. 35 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Norme in virtù delle quali il contributo grava oggi sugli operatori di rete, e non più sulle emittenti, come avveniva nel passato”.

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