Prosegue in Italia lo scontro sulla classificazione delle Content delivery network (Cdn), le piattaforme che la Delibera Agcom n. 207/25/Cons ha equiparato alle reti di comunicazione elettronica soggette al regime di autorizzazione generale previsto dal Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Eecc). Le Cdn non ci stanno e Netflix, Amazon Web Services (Aws) e Cloudflare passano all’azione: le tre piattaforme hanno presentato separatamente ricorsi al Tar del Lazio contro la delibera del regolatore italiano.
Già la Computer & Communications Industry Association (Ccia Europe) aveva protestato affermando che Agcom sta creando “un pericoloso precedente che dimostra come l’imminente Digital networks act della Commissione europea potrebbe introdurre tariffe di rete in tutta l’Ue in modo subdolo” e rappresenta un pericolo per l’internet aperto in Europa.
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Cdn come telco, Netflix, Aws e Cloudflare fanno ricorso
Netflix sul Sole 24 Ore precisa il suo punto di vista: Agcom equipara le reti che trasportano dati su fibra alle infrastrutture private su cui viaggiano film e serie delle piattaforme streaming e questo sarebbe contrario al diritto italiano ed europeo, oltre che controproducente a livello di politica industriale.
Secondo Netflix, infatti, obbligare le Cdn a ottenere l’autorizzazione generale scoraggerebbe gli investimenti in Italia, spingendo le piattaforme a portare i server altrove. Ne deriverebbero un aumento dei costi e un peggioramento della qualità del servizio per le imprese che usano Cdn pubbliche.
La posizione di Netflix è simile a quella di Aws, che descrive la decisione di Agcom come un tentativo di introdurre delle tasse di rete. Il colosso americano del cloud ribadisce: dato che le Cdn non trasportano dati terzi, equipararle alle telco sarebbe un errore.
Agcom, invece, sostiene che le Cdn siano reti a tutti gli effetti, atte a trasmettere segnali e quindi soggette agli stessi obblighi delle telco in termini amministrativi (come l’iscrizione al Roc), contributivi (contributo annuale ad Agcom, proporzionale al fatturato rilevante in Italia) e operativi (per esempio trasparenza e sicurezza).
Lo scontro sulla network fee
Un altro effetto della decisione di Agcom temuto dalle Cdn è l’apertura alla cosiddetta “network fee” (in qualche modo un fair share), ovvero la tassa sulle reti tanto invocata dalle telco europee, perché la classificazione come reti Tlc potrebbe portare l’Autorità a fissare tariffe di interconnessione.
L’Agcom, tuttavia, già durante la consultazione ha chiarito che la delibera non rappresenta una riproposizione del dibattito sul fair share, ma solo l’eventuale possibilità di arbitrati tecnici tra le parti in caso di controversie. L’Autorità ha anche sottolineato che delibera colma un vuoto legato al fatto che Dazn è sottoposta a un regime non applicato ad altri operatori come Netflix & co. Infine, la decisione ha valore ricognitivo e demanda al Mimit un possibile regolamento.
Il Sole 24 Ore, infatti, riferisce che al Ministero sono già in corso valutazioni e una delle opzioni è adottare un regolamento “semplificato”, che tenga cioè conto della specificità delle piattaforme internet. Una soluzione di compromesso, che potrebbe maturare a fine anno quando sarà anche più chiaro se la Ue, con il nuovo Digital networks act, intende muoversi nella stessa direzione.
L’appello al governo delle associazioni di categoria
Nei giorni scorsi le associazioni di categoria europee e italiane del settore tecnologico e in difesa dei consumatori si sono rivolte al governo italiano per esprimere “profonda preoccupazione” riguardo alla delibera Agcom sulle Cdn. Secondo i firmatari dell’appello– Business software alliance, Ccia (Computer & communications industry association, Euroconsumers group, Altroconsumo, Internet infrastructure coalition, InnovUp e ITI – la delibera Agcom rappresenta “un’estensione ingiustificata dell’ambito di applicazione del Codice delle comunicazioni elettroniche”.
Le associazioni hanno chiesto al Governo italiano di “impedire l’attuazione della delibera dell’Agcom, assicurando un quadro normativo che promuova l’innovazione, preservi l’allineamento con gli impegni europei e favorisca la trasformazione digitale del Paese”.
Argomentano le associazioni di settore: “Le Cdn operano trasportando traffico in modo privato, a differenza dei servizi di telecomunicazione pubblici che servono direttamente gli utenti finali. Pertanto, tale misura danneggerà l’ecosistema digitale italiano, scoraggerà gli investimenti infrastrutturali e introdurrà, di fatto, delle ‘network usage fees‘ in violazione degli impegni commerciali Ue-Usa dell’agosto 2025, in cui l’Unione europea si impegnava a non introdurre nessuna tipologia di network fee, puntando quindi sulla positiva cooperazione tecnologica tra Europa e Stati Uniti”.
Le Cdn sono diverse dai servizi Tlc?
Secondo i firmatari della dichiarazione congiunta, la decisione di Agcom genera anche una significativa incertezza normativa, “particolarmente critica alla luce dell’imminente revisione del quadro delle telecomunicazioni a livello europeo attraverso il Digital networks act”.
Prosegue il documento: l’inclusione delle Content delivery network nell’ambito di applicazione dell’Eecc sottoporrebbe i fornitori di Cdn e i Content application providers (Cup) ai meccanismi di risoluzione delle controversie con gli operatori di telecomunicazioni previsti dall’articolo 26 del Codice.
Come evidenziato dallo studio di Plum Consulting (2025) “Exploring the negative impacts of legally mandated dispute resolution in Ip interconnection”, “tale meccanismo verrebbe utilizzato dagli operatori di telecomunicazioni come strumento per imporre compensi per la distribuzione di contenuti già richiesti e pagati dagli utenti finali, costituendo, di fatto, una network fee attraverso lo strumento regolatorio”.
Gli impatti sull’innovazione digitale italiana
Le conseguenze dell’approccio regolatorio italiano sulle Content delivery network avrebbero un impatto severo sul nostro ecosistema dell’innovazione digitale, concludono le associazioni di settore, minando i principi fondamentali dell’architettura aperta e decentralizzata di Internet.
“L’intervento regolatorio colpirebbe direttamente le industrie creative italiane, le startup e le Pmi – si legge -, che dipendono da servizi Cdn competitivi per le loro operazioni digitali, costringendole ad affrontare costi più elevati e un deterioramento della qualità del servizio per i consumatori. Inoltre, tale decisione comprometterebbe significativamente i servizi pubblici essenziali, incluse le agenzie governative, le istituzioni finanziarie e i fornitori di servizi sanitari che si affidano all’infrastruttura Cdn per gestire i picchi di traffico digitale e garantire la cybersicurezza”



































































