C’è chi entra in un mercato cercando di abbassare i prezzi e chi, invece, sceglie di distinguersi puntando tutto sulla qualità. RETN appartiene a quest’ultima categoria. La sua ultima mossa – l’apertura di un nuovo Point of Presence (PoP) a Bologna, all’interno del data center edge di Lepida – conferma la scelta di avvicinare i servizi ai territori, rompere la centralità esclusiva di hub come Milano e Roma e costruire reti resilienti, capaci di sostenere la trasformazione digitale delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.
A raccontarlo è Milko Ilari, Head of Southern Europe di RETN, che in questa intervista ripercorre le motivazioni della scelta di aprire un PoP a Bologna e gli altri progetti che ambiscono a ridisegnare la geografia della connettività internazionale.
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Ingegnere di formazione, oggi manager. Milko, come nasce il suo percorso in RETN?
Io sono un tecnico, un ingegnere: all’inizio della mia carriera configuravo router, apparati di rete, mi occupavo di tutto quello che riguardava l’infrastruttura. Poi mi sono reso conto che potevo unire questa competenza a una dimensione più commerciale, legata allo sviluppo internazionale. Così, dopo dieci anni in altre aziende, nel 2020 sono arrivato in RETN per seguire il Sud Europa, un’area che comprende sette Paesi dal Portogallo a Israele. È stata una sfida enorme, ma anche un’opportunità per portare un approccio diverso. Non di entrare nel mercato abbassando i prezzi e scatenando una competizione al ribasso, ma distinguendoci con la qualità del servizio, che resta la nostra cifra stilistica.
Perché avete scelto Bologna come nuovo nodo strategico?
Il mercato italiano è sempre stato concentrato su Milano e Roma, due hub fondamentali ma anche congestionati. Questo crea un problema di resilienza: se Milano si fermasse, tutto il Paese ne risentirebbe. Abbiamo studiato la mappa degli operatori e ci siamo accorti che esistono aree di forte concentrazione, dal Triveneto alla Romagna, dalle Marche alla Puglia, dove la domanda locale giustifica un’infrastruttura di prossimità. Dopo Padova, dove siamo attivi da poco più di due anni, Bologna era la scelta naturale: si trova lungo la direttrice Roma-Padova ed è un territorio vitale dal punto di vista digitale. Inoltre, la collaborazione con Lepida ci ha dato la possibilità di insediarci in un data center edge già popolato da operatori locali, ma dove mancava un player internazionale di transito. Siamo i primi a portare connettività globale in quell’infrastruttura pubblica strategica.
Che impatto avrà questa presenza sul territorio e sugli operatori locali?
Prima di tutto garantiamo resilienza. Fino a ieri molti operatori dipendevano esclusivamente da Milano, oggi hanno un’alternativa autonoma e ridondata. Non è solo una questione tecnica: significa sicurezza per le aziende, continuità dei servizi per la pubblica amministrazione, stabilità per chi opera in settori strategici. Abbiamo già clienti della PA che sfruttano la nostra rete e i nostri servizi di sicurezza. Per un ecosistema regionale come quello emiliano-romagnolo è un cambio di passo importante.
Non si tratta solo di infrastruttura, ma anche di servizi. Quali sono i più richiesti?
Direi sicuramente il DDoS Mitigation. Abbiamo sviluppato una piattaforma integrata nella rete, che blocca gli attacchi a monte e consegna traffico pulito senza interventi da parte dell’operatore. È una differenza enorme rispetto ai modelli tradizionali basati su hardware isolati. E soprattutto rende il servizio accessibile anche a piccole e medie imprese, perché non parliamo più di migliaia di euro al mese: ci sono pacchetti modulari, sostenibili e personalizzabili.
Un altro ambito in forte crescita è il Cloud Connect: le aziende ci chiedono collegamenti dedicati ai principali provider, da Amazon a Google, fino ai player asiatici come Tencent e Alibaba. Noi siamo già interconnessi e questo permette di attivare servizi in tempi rapidi, con prestazioni garantite.
Il nuovo PoP bolognese è anche parte di una strategia più ampia sulle rotte alternative. Quali vantaggi offre?
Noi puntiamo molto su percorsi diversi da quelli tradizionali. Un esempio è il nostro TRANSKZ Route, un collegamento terrestre che attraversa il Kazakistan fino a Hong Kong. In questo modo garantiamo stabilità anche quando i cavi sottomarini vengono interrotti, come purtroppo accade sempre più spesso. È una soluzione che riduce la latenza e offre continuità. Pensiamo alle aziende manifatturiere che hanno rapporti costanti con l’Asia: per loro significa poter contare su collegamenti sicuri e veloci, senza incidere sui costi.
Guardando avanti, quali sono gli scenari per Bologna e per l’Italia centrale?
Il nostro obiettivo è avvicinarci ai territori. Dopo Padova e Bologna guardiamo a nuove aree come Marche e Puglia, che hanno una forte concentrazione industriale e operatori locali dinamici. Stiamo anche dialogando con altri soggetti per essere presenti nei nuovi data center edge che stanno nascendo in Italia. In questo modo potremo portare la parte internazionale in ecosistemi che finora non avevano sbocchi globali. È un modello che funziona: non più solo grandi hub, ma reti distribuite che rendono più forte l’intero Paese.
Avete già annunciato una crescita significativa anche in Spagna. Che cosa vi aspettate da quel mercato?
La Spagna è simile all’Italia, ma con un ruolo sempre più strategico. Nei prossimi anni arriveranno nuovi cavi sottomarini da Stati Uniti, America Latina e dal Mediterraneo, e la Spagna diventerà un paese cruciale. Vogliamo replicare lì il percorso fatto in Italia: aprire PoP in punti chiave, scegliere rotte alternative, collaborare con gli operatori locali. Anche in questo caso, non sarà una corsa al ribasso sui prezzi, ma una scelta di qualità tecnica, resilienza e prossimità.