infrastrutture digitali

Data center, la sfida italiana vale decine di miliardi



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Per iniziativa di TEHA Group prende forma una piattaforma cross-settoriale che riunisce gli attori della filiera estesa dei dati, con l’obiettivo di definire scenari, strategie e politiche per rafforzare il posizionamento del Paese

Pubblicato il 15 dic 2025



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L’Italia si trova davanti a una finestra di opportunità senza precedenti nello sviluppo delle infrastrutture digitali. Secondo l’analisi presentata da TEHA Group, il comparto dei data center potrebbe generare un giro d’affari compreso tra 12 e 30 miliardi di euro entro il 2030, con la prospettiva di arrivare fino a 165 miliardi nel decennio successivo.

La capacità IT dei data center tradizionali è destinata a raddoppiare nel prossimo decennio, mentre quella legata all’AI training potrebbe crescere di cinque volte e l’AI inference addirittura di dieci. Una trasformazione che favorirà uno sviluppo più distribuito dell’infrastruttura digitale, legato ai costi dell’energia, alla velocità dei processi autorizzativi e alla presenza di un indotto locale qualificato.

Rigenerazione dei territori e sostenibilità ambientale

Uno dei pilastri della strategia riguarda il territorio. TEHA Group ha mappato 3,7 milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse, potenzialmente idonee a ospitare nuove infrastrutture digitali. Il recupero dei siti brownfield rappresenta un’occasione concreta per rigenerare aree degradate senza consumare nuovo suolo, restituendo valore alle comunità locali.

Dal punto di vista ambientale, l’adozione delle migliori tecnologie disponibili consentirebbe di evitare fino a 2 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno, un impatto equivalente a 1,5 milioni di automobili in meno. A questo si aggiunge un significativo risparmio idrico, fino ad arrivare all’azzeramento dei consumi d’acqua grazie a soluzioni avanzate di raffreddamento.

Energia e digitale: il modello dei “Data & Energy Hub”

La crescita dei data center comporterà un aumento rilevante della domanda elettrica, che potrebbe arrivare fino al 10% dei consumi complessivi al 2040. Per affrontare questa sfida, la Community propone il modello dei “Data & Energy Hub”, basato su una collaborazione strutturata tra infrastrutture digitali e filiera energetica.

Grazie a consumi stabili e prevedibili, i data center possono diventare abilitatori di investimenti nelle rinnovabili, contribuendo a ridurre il costo unitario dell’energia. In prospettiva, queste infrastrutture potrebbero anche offrire servizi di flessibilità alla rete, accelerando la transizione energetica a beneficio dell’intero sistema Paese.

Filiera industriale e occupazione qualificata

Oltre all’impatto infrastrutturale, il settore dei data center si configura come un potente moltiplicatore economico. L’analisi mostra che 100 milioni di euro di investimenti in CAPEX possono generare oltre 1.200 posti di lavoro complessivi, con una forte incidenza delle attività di manutenzione e servizi tecnici (40% dei costi operativi), davanti alla spesa energetica (30%).

Il nodo critico resta però la frammentazione industriale: in Italia le PMI producono il 64% del valore aggiunto manifatturiero collegato ai data center, contro il 24% della Germania. Per competere su scala globale diventa quindi strategico favorire l’aggregazione e la nascita di “Campioni di Filiera” in grado di dialogare con i grandi player internazionali.

Permitting, energia e industria: le condizioni per crescere

“LʼItalia ha davanti a sé una delle più grandi opportunità di sviluppo degli ultimi decenni: la crescita del mercato dei data center può generare valore economico e posti di lavoro qualificati, rafforzando la competitività del Paese – affermano Alessandro Viviani e Jacopo Palermo, Associate Partner di TEHA Group – Ma perché questo potenziale si traduca in realtà, è necessario intervenire su tre fronti chiave: energia, autorizzazioni e filiera industriale. Lʼallungamento del time to power rischia di rallentare investimenti essenziali, mentre il permitting frammentato e una filiera ancora poco integrata faticano a sostenere le richieste dei grandi operatori internazionali”.

Secondo TEHA, Milano sta dimostrando di poter competere con i principali hub europei, ma serve una visione nazionale e un’azione coordinata tra istituzioni, utility, imprese e sviluppatori.

Verso il progetto “Risposta Italia”

Guardando al futuro, TEHA Group annuncia il progetto “Risposta Italia”, con l’obiettivo per il 2026 di mobilitare le eccellenze manifatturiere e ingegneristiche del Paese, superando l’attuale frammentazione. L’iniziativa punta a mappare competenze distintive, guidare l’adozione degli standard globali richiesti dagli hyperscaler e favorire l’incontro tra filiera nazionale e procurement dei grandi sviluppatori.

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Pier Luigi Caffese
Pier Luigi Caffese
4 giorni fa

Per fornire di TWh i data center italiani, ci vuole l’aggregazione utilities per 300 GW di pompaggi in Italia ,e non il nucleare troppo caro.Le analisi del settore energetico dimostrano che non solo è possibile raggiungere ambiziosi obiettivi di protezione del clima (riscaldamento globale da 1,5°C a meno di 2°C) senza l’energia nucleare, ma che le energie rinnovabili sono anche più convenienti e più rispettose dei cittadini.Troppo lento: data la stagnazione o il declino della costruzione di reattori nucleari (tranne che in Cina ma ora la Cina stoppa il nucleare a 150 GW per predisporre 1000 GW di pompaggi), un periodo di pianificazione e costruzione di due decenni (e più), esplosioni di costi fino a x4 e x5 (EPR a Flamanville e in Finlandia) e la prevedibile scarsa innovazione tecnica nei prossimi 15 anni, l’energia nucleare non può svolgere un ruolo nel periodo rilevante per la lotta alla crisi climatica. L’energia nucleare soddisfa solo il 10% del fabbisogno mondiale di elettricità e solo il 4% del suo fabbisogno di energia primaria.Il numero di reattori dovrebbe quindi essere moltiplicato dagli attuali circa 420 in funzione a diverse migliaia, considerando costi, rischi e approvvigionamento di uranio(sogno di Trump). In realtà, tuttavia, i 53 progetti di costruzione in corso in tutto il mondo saranno compensati da circa 200 chiusure entro il 2030.I concetti di SMR (“Small Modular Reactors”) e di centrali nucleari di “4a/5a generazione”, attualmente molto pubblicizzati, sono ancora tecnicamente immaturi e lontani dall’uso commerciale. Per uno studio completo [1], i ricercatori incaricati dall’Ufficio federale tedesco per la sicurezza della gestione dei rifiuti nucleari hanno recentemente esaminato diversi tipi di reattori in fase di sviluppo. La conclusione è chiara: i problemi ben noti (troppo costosi, troppe scorie nucleari, troppa vulnerabilità alla crisi climatica…) probabilmente non saranno risolti nemmeno dai nuovi tipi di reattori. Pertanto, l’argomentazione di investire in ulteriore ricerca “aperta a tutte le tecnologie” è solo un vicolo cieco molto costoso.Troppo miope: le centrali nucleari richiedono enormi quantità di acqua di raffreddamento per funzionare. Ecco perché le centrali nucleari sono sempre situate vicino a fiumi o coste. Se la temperatura dell’acqua aumenta durante ondate di calore prolungate, questo diventa un problema, perché l’acqua è semplicemente troppo calda per il raffreddamento. Un altro problema durante le ondate di calore è la riduzione della portata dei fiumi. In Francia, ad esempio, le centrali nucleari hanno dovuto essere chiuse più volte perché il fiume vicino non trasportava più acqua a sufficienza. Quindi le centrali nucleari non sono immuni alla crisi climatica.Troppo difficile: la sfida più grande nella necessaria ristrutturazione del nostro approvvigionamento energetico è superare il lock-in del vecchio sistema dominato dalle centrali elettriche a combustibili fossili. L’energia nucleare non è adatta a supportare questo processo di trasformazione, anzi lo blocca, bloccando innovazione e investimenti. Inoltre, l’abbandono graduale del nucleare è anche una condizione necessaria per il successo della ricerca di un deposito.Conclusione: l’energia nucleare non può dare un contributo significativo allo sviluppo di un approvvigionamento energetico rispettoso del clima, di fronte alla crisi climatica e alla finestra di opportunità che si restringe sempre di più. L’energia nucleare è troppo pericolosa, troppo costosa e troppo lenta a diventare disponibile; inoltre, blocca il necessario processo di trasformazione socio-ecologica, senza il quale non è possibile raggiungere ambiziosi obiettivi di protezione del clima. Anche l’argomentazione secondo cui l’espansione dell’energia nucleare renderebbe l’Europa più indipendente dal punto di vista energetico non regge a un’analisi più approfondita, poiché le materie prime necessarie provengono anche da regioni e stati politicamente instabili e non democratici come il Niger o il Kazakistan.Per tutte queste ragioni, l’energia nucleare non può essere una soluzione alla crisi energetica e climatica. Facciamo quindi appello al governo italiano affinché non metta a repentaglio in modo sconsiderato il consenso nazionale contro l’energia nucleare degli ultimi decenni, ma continui a opporsi alle centrali nucleari nelle regioni di confine limitrofe e alla promozione dell’energia nucleare con l’aiuto di fondi pubblici europei, nella tradizione dei governi passati di ogni orientamento politico.Verso la fine del 2025, persistono gravi preoccupazioni sul fatto che gli elevati costi iniziali di capitale dell’energia nucleare, i lunghi tempi di costruzione (spesso un decennio o più) e i ritardi nei progetti la rendano meno competitiva rispetto ai costi in rapido calo delle energie rinnovabili (pompaggi/solare/eolica), con molti analisti che vedono il nucleare come una trappola costosa, sebbene i sostenitori indichino che la Cina vedendo gli alti costi del nucleare,approva 1000 GW di pompaggio che costano al MWh, 20 volte meno. In Italia al contrario di quel che dicono i Ministri e Confindustria,non ci sono potenziali percorsi per ridurre i costi.Sebbene le energie rinnovabili siano spesso da tre a venti volte più economiche per le nuove costruzioni, le argomentazioni a favore del nucleare truccano i costi al MWh(terna dice 65 $ al MWh ma è impossibile contro 220 $ MWh),non ne evidenziano l’affidabilità, mentre i critici al nucleare ribattono che la produzione e l’accumulo con i pompaggi, la modernizzazione della rete e l’efficienza possono gestire l’intermittenza, rendendo il nucleare economicamente non sostenibile in tutti i mercati .

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