Elettrosmog, si cambia: nel Decreto sviluppo meno paletti alle telco

L’articolo 12 della bozza modifica le norme che regolano i limiti di esposizione. Si punta a snellire le procedure per la realizzazione delle reti Lte

Pubblicato il 27 Ott 2011

L’articolo 12 della bozza
del Decreto Sviluppo presentata in Consiglio del Ministri il 24
ottobre, prevede alcune modifiche alla legge che fissa i limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, che in Italia sono i più
stringenti d’Europa con un limite di 6 v/m, a fronte di una media
Ue di 40 v/m. Di fatto, la bozza del DL Sviluppo non contiene
l’ipotesi di innalzare i limiti, ma la proposta di applicare i
limiti vigenti dove previsto dalla legge.

Proteste contro l’ipotesi di revisione della normativa sui campi
elettromagnetici sono arrivate dalla Rete NoElettrosmog Italia, che
ha inviato una lettera ai deputati per bloccare l’intervento
normativo. Sulla stessa linea l’intervento dell’Associazione
per le malattie da intossicazione cronica e/o ambientale, che
domanda se non si tratti di una “svendita della salute agli
operatori di telefonia mobile”.

La revisione dell'impianto normativo consentirebbe agli
operatori di semplificare l’iter di posa delle reti, limitando il
rischio di una giungla di nuove antenne. Si prevede che per la
realizzazione dell’Lte sarà necessario installare 15-20mila
nuove antenne, che si aggiungeranno alle decine di migliaia di
antenne già presenti sul territorio.

Nell’articolo 12 del DL Sviluppo si legge che” In particolare,
il valore di attenzione dovrebbe essere applicato, come
originariamente previsto dalla Legge 22 febbraio 2001 n. 36,
esclusivamente nelle aree adibite a “permanenze prolungate”,
mentre la tutela della popolazione sia nelle aree all’aperto
intensamente frequentate che nelle pertinenze all’aperto degli
edifici, sarebbe garantita attraverso gli “obiettivi di
qualità””.

E ancora: “In particolare la disposizione proposta, anche
nell’ottica della semplificazione normativa, mira a chiarire la
non applicabilità dei limiti definiti per le stazioni radio base
agli apparati terminali per telecomunicazioni, quali ad esempio i
telefoni cellulari, già regolati da specifica Direttiva europea
(1995/5/CE), e armonizzare la terminologia con quella utilizzata
nel Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259; rendere il valore
di attenzione applicabile nelle aree dove effettivamente la
popolazione vive e lavora; e valutare l’obiettivo di qualità non
come un altro limite, ma come un valore da perseguire attraverso
l’incentivazione di quelle tecnologie oggi disponibili che non
trasmettono sempre alla massima potenza”.

C’è da dire che la normativa italiana sulle emissioni magnetiche
è iper cautelativa sul fronte della tutela della salute. Secondo
gli operatori e gli esperti del settore rischia di rallentare la
posa delle nuove antenne Lte. La quarta generazione di telefonia
mobile, fatta di smartphone e tablet sempre connessi, prevede nuovi
ingenti investimenti da parte degli operatori per la realizzazione
delle reti, in media 1,5 miliardi di euro a testa da parte di Tim,
Vodafone e Wind per la posa dei network. Investimenti da effettuare
nei prossimi mesi che si aggiungono al maxi esborso di 4 miliardi
di euro già effettuato dalle telco mobili, compresa 3 Italia, che
tuttavia non si è aggiudicata alcun lotto a 800 MHz.

Per ottimizzare gli investimenti, gli operatori spingono sulla
possibilità di condividere le infrastrutture di rete e in
particolare puntano al co-siting per risparmiare e concentrare le
antenne in meno siti. Gli attuali limiti elettromagnetici rendono
difficile la condivisione dei siti e moltiplicano gli adempimenti
burocratici per ottenere il via libera alla posa delle antenne, in
particolare nei centri urbani dove la domanda di servizi di
telefonia mobile è più elevata. Inoltre, con l’applicazione
stringente dei limiti in vigore, il rischio di una moltiplicazione
di antenne è pressoché certo, con danni paesaggistici non
indifferenti.

Un approccio più flessibile a livello nazionale, agevolato da
norme che impongano standard comuni per la misura e la simulazione
dei livelli di esposizione, sarebbe certo un vantaggio per rendere
più semplice l’iter autorizzativo. Secondo la Fondazione Ugo
Bordoni (Fub), il modo in cui viene valutato il rispetto dei limiti
talvolta è poco aderente al reale funzionamento delle reti. Ci
sono Arpa regionali che usano approcci di simulazione iper
cautelativi per valutare gli impianti in fase di
autorizzazione.

Sempre secondo la Fub c’è stato poi un eccessivo zelo
nell'identificare le aree dove si applica il limite dei 6 V/m.
Secondo la normativa i 6 V/m sono imposti nelle aree pubbliche e
dove la permanenza del pubblico è superiore alle 4 ore, come in
tutte le aree indoor. Ma si è finito però per pretendere che il
limite dei 6 V/m valesse dappertutto.

Spesso si applica il limite di 6 V/m anche a pertinenze esterne
dove la permanenza è ben inferiore a quattro ore, come un balcone
o un terrazzo sui piani più alti. Se si tratta di pertinenze
adoperate realmente per trascorrere parte della giornata, allora lo
capisco, ma estendere l'applicazione dei 6 V/m a qualunque
pertinenza esterna (cortili di palazzi non abitati, giardini, ecc.)
va addirittura al di là dello spirito della legge che già adotta
un approccio molto cautelativo.

La revisione contenuta nell’articolo 12 della bozza del Decreto
Sviluppo prevede un approccio meno rigido sul fronte delle
autorizzazioni e una standardizzazione a livello nazionale degli
strumenti di misurazione elettromagnetica da parte delle Arpa
regionali.

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