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Più donne nelle Tlc: la leva della flessibilità per la talent retention



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Un comparto che non è più l’unica “icona” dell’hi-tech deve ampliare il bacino di candidature e far crescere carriere tecniche e manageriali: politiche di orari, remoto, part-time, congedi e supporto alla cura, insieme a un cambiamento dei comportamenti quotidiani. L’analisi di SenzaFili

Pubblicato il 19 dic 2025

Federica Meta

Direttrice



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C’è stato un tempo in cui le telecomunicazioni erano il punto di arrivo naturale per chi voleva stare al centro dell’innovazione. Oggi, osserva un’analisi di SenzaFili, l’attrattività non è più scontata: reclutare e trattenere persone di valore è diventato più complesso, anche perché la competizione per i profili digitali si gioca su molti tavoli, spesso percepiti come più dinamici e “luccicanti” del mondo telco.

È in questo scenario che l’aumento della partecipazione femminile viene descritto non può declinarsi come un esercizio di stile o un capitolo “HR” da inserire in report patinati, ma come una risposta concreta a un problema industriale: allargare il perimetro del talento disponibile e, soprattutto, costruire organizzazioni più capaci di innovare grazie alla diversità di prospettive.

I numeri della sotto-rappresentazione e il paradosso della formazione

L’analisi di SenzaFili mette sul tavolo un paradosso difficile da ignorare: le donne ottengono più titoli universitari degli uomini, eppure restano nettamente minoritarie nelle telecomunicazioni e, più in generale, nel perimetro high-tech. Il quadro globale richiamato dall’analisi parla di una presenza femminile pari al 40% della forza lavoro mondiale, ma con una quota che scende a circa un terzo nei settori tecnologia, informazione e media.

Dentro questo perimetro, il telco non fa eccezione e, in alcune aree, risulta ancora più “sbilanciato”: secondo McKinsey, in funzioni come DevOps, compute ed engineering, e core engineering, la componente femminile si attesta nelle fasce più basse (8-18%), mentre ambiti come i social media arrivano al 50%. E se il problema è evidente in ingresso, diventa ancora più critico quando si sale di livello: nelle posizioni senior le donne restano “appena sopra” il 20%, con un divario più marcato rispetto a molti altri settori.

Il punto che conta, per le telecomunicazioni, è l’intersezione tra telco e STEM: se nelle aziende high-tech le donne occupano solo il 22% delle posizioni STEM (contro il 43% nelle non-STEM), la quota nelle posizioni STEM senior rischia di collocarsi tra il 10% e il 15%. Non è una sfumatura statistica: significa che proprio dove si decide l’architettura tecnica, la roadmap, la qualità delle reti e dei servizi, la varietà di sguardi si riduce drasticamente.

Assumere non basta: trattenere e far crescere è la partita vera

L’analisi è netta su un punto che molte aziende imparano “a caro prezzo”: aumentare le assunzioni femminili è necessario, ma non sufficiente. Il disequilibrio più duro si concentra infatti nelle posizioni tecniche e senior, e lì la questione non è soltanto “quante entrano”, ma “quante restano” e “quante avanzano”.

Retention e progressione di carriera diventano dunque snodi decisivi, perché è lì che le organizzazioni possono davvero intervenire, creando un contesto in cui le persone si sentano accolte e abbiano spazio per prosperare. La tesi è che l’ambiente di lavoro sia spesso costruito su presupposti e aspettative modellati su un paradigma maschile tradizionale, e che questo generi attriti non legati al merito o alle capacità, ma a regole implicite e rigidità organizzative.

In questo senso va richiamato il lavoro di Claudia Golin: la docente di Harvard e Premio Nobel per l’Economia ha osservato che, trasversalmente ai settori, molte donne non avanzano o escono perché mancano flessibilità e perché i requisiti del “successo” sono stati progettati per un contesto dominato da uomini, particolarmente poco adatto a chi ha figli. Il messaggio, tradotto in termini aziendali, è semplice e spiazzante: non è che “mancano” le donne, è che spesso si chiede loro di pagare un prezzo più alto per ottenere lo stesso riconoscimento.

Il peso delle aspettative e la trappola del “conformarsi”

Uno dei problemi più gravi riguarda ciò che non compare nei job description, ma pesa nella vita quotidiana: per essere accettate e avere successo, molte donne si trovano a dover “aderire” a un modello di comportamento che non misura direttamente abilità e risultati. L’analisi parla di aspettative che spingono a scelte personali difficili e non necessarie rispetto alle reali esigenze del lavoro. Di fronte a questo, non tutte sono disposte a scendere a compromessi: alcune abbandonano, altre deviano su traiettorie meno esigenti, con un effetto cumulativo che impoverisce soprattutto i ruoli tecnici e apicali.

Qui le telco, già alle prese con trasformazioni profonde (cloudification, automazione, nuova ingegneria delle reti, customer experience sempre più data-driven), si trovano davanti a un bivio: continuare con un’organizzazione “standard” che filtra fuori pezzi di talento, oppure ridisegnare la macchina del lavoro per renderla più inclusiva e, quindi, più robusta.

Le voci dal campo: l’esperienza Rakuten Symphony

SenzaFili porta due testimonianze raccolte in Rakuten Symphony: Vijaya Shinde, Marketing Director, e Subha Shrinivasan, SVP Global Head of Delivery and Customer Experience. Pur avendo trovato un ambiente accogliente dove sono cresciute, entrambe riconoscono ostacoli ricorrenti e comuni a molte carriere femminili, soprattutto nelle fasi iniziali.

Non si tratta di un generico “clima” sfavorevole ma della sensazione di dover operare in un contesto che non vede, o non considera, bisogni e priorità in modo simmetrico rispetto ai colleghi uomini. E da qui la fatica aggiuntiva: affermare la propria prospettiva, conquistare margini di flessibilità, negoziare spazi di equilibrio senza essere percepite come “meno ambiziose” o “meno disponibili”. L’obiettivo dichiarato è imparare da questi percorsi perché altre donne possano riuscire, senza dover investire più energie o accettare trade-off più pesanti dei pari ruolo maschili.

La flessibilità come nuova infrastruttura organizzativa

Da qui la proposta: introdurre maggiore flessibilità, non stravolgendo il business con investimenti mastodontici ma realizzando molte micro-scelte coerenti tra policy, operatività e cultura. E soprattutto riconoscere una verità spesso taciuta: le esigenze possono essere diverse, non perché manchi capacità o ambizione, ma perché la distribuzione del carico di cura familiare è ancora asimmetrica e perché, in media, molte donne attribuiscono maggiore valore all’equilibrio vita-lavoro e a un contesto di supporto.

Ma perché servirebbe “più” o “diversa” flessibilità per ricoprire ruoli analoghi? Perché la flessibilità non è un privilegio: è un modo per rimuovere ostacoli non necessari e consentire alle competenze di esprimersi. E qui arriva un punto di svolta che supera la retorica di genere: “Flexibility is likely to benefit all—women and men.” Se cambiano le regole implicite, anche molti uomini possono liberarsi dalla pressione della “presenza continua” e, per esempio, scegliere un ruolo più attivo nella cura dei figli senza essere penalizzati da aspettative non dette.

La lista delle misure citate nell’analisi ruota attorno a una gamma più ampia di modalità di lavoro: part-time, lavoro da remoto, orari flessibili. Ma la trasformazione decisiva è culturale: smettere di premiare chi “fa più ore possibile” e iniziare a riconoscere chi produce valore entro un accordo chiaro su tempi e obiettivi. In altre parole, se un impegno è part-time, non si può pretendere lo stesso volume di risultati del full-time; ciò che conta è la coerenza tra performance e tempo concordato.

Cura dei figli e congedi: quando l’equilibrio diventa una politica industriale

Accanto alla flessibilità, altro elemento cruciale è la cura dei figli. Si parte da congedi di maternità e paternità più estesi, ma la traiettoria è più ampia: supporti per servizi di childcare, e soprattutto un disegno complessivo che renda davvero praticabili le scelte familiari senza trasformarle in “colpe” professionali.

Questo passaggio è particolarmente sensibile nel telco, dove i progetti sono spesso complessi e interdipendenti, e dove la cultura del “sempre connessi” può diventare un acceleratore di stress. Se l’obiettivo è trattenere profili tecnici e farli crescere, allora l’organizzazione deve essere in grado di assorbire periodi di assenza e modalità di lavoro differenziate senza penalizzare chi ne usufruisce, e senza scaricare il costo sui team.

Inclusione quotidiana: relazioni, mentoring e senso di appartenenza

La dimensione culturale si vede nei dettagli, e l’analisi fa esempi concreti. In molti contesti, gli uomini hanno costruito nel tempo reti sociali e professionali forti; quando arrivano poche donne, spesso non c’è massa critica per creare legami equivalenti. Anche gli eventi informali dopo il lavoro diventano un terreno scivoloso: c’è chi non invita per imbarazzo, chi teme fraintendimenti, e c’è chi semplicemente esclude. Eppure sono proprio quei momenti, spesso sottovalutati, a costruire fiducia, alleanze, sponsor interni.

Lo stesso vale per il mentoring. Molte donne trovano ottimi mentor uomini, ma non sempre è semplice accedere a queste relazioni; e, quando esistono mentor donne, la condivisione di background può essere un vantaggio ulteriore. Qui il punto non è “creare un programma” e archiviarlo: è riconoscere che l’inclusione è fatta di relazioni, e le relazioni non si decretano per policy. Si coltivano, e richiedono attenzione costante.

Responsabilità condivisa e un cambiamento fatto di piccoli passi

L’analisi di SenzaFili, però, non scarica tutto sulle aziende né tutto sugli individui, chiede piuttosto un movimento sinergico. Le donne, si legge, devono essere più esplicite nel definire priorità, costruire sistemi di supporto e non cercare di “adattarsi a qualunque costo”. Gli uomini, dall’altra parte, devono ascoltare preferenze ed esigenze, soprattutto quando non coincidono con le abitudini consolidate, e accogliere cambiamenti che migliorino l’ambiente complessivo.

Ma la responsabilità maggiore, quando si parla di esiti, resta organizzativa: trattenere e far progredire le donne, in particolare nei ruoli tecnici e apicali, è un obiettivo che richiede proattività, misure coerenti e una cultura che le sostenga. L’analisi chiude con una frase che suona come una call to action pragmatica: “Small changes can go a long way, and create a more welcoming and productive workplace for everybody.”

Per un settore che cerca nuove energie e nuove competenze, questa non è solo una questione di equità. È un tema di competitività. Perché, oggi più che mai, la capacità di costruire reti e servizi all’altezza delle aspettative dipende anche da chi, quelle reti e quei servizi, li progetta, li gestisce e li evolve. E se una parte del talento resta ai margini o si perde lungo la strada, il costo lo paga l’intero ecosistema.

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