A pochi giorni dalla notizia del via libera senza condizioni, da parte dell’Agcm, alla salita di Poste nel capitale di Tim (detenuto ora per il 24,81% dal gruppo di Matteo Del Fante) sono state rese note le ragioni che hanno portato l’Antitrust a non interferire nell’operazione. Non si tratta di un comunicato stampa: le motivazioni appaiono nel bollettino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato pubblicato ieri.
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Il vincolo del piano industriale di Poste
Uno dei passaggi chiave costituisce una risposta diretta agli altri operatori telefonici, che avevano invece chiesto un intervento diretto dell’Agcm e l’apertura di un’istruttoria: “Poste”, recita il bollettino, “non ha intenzione di proporre nei propri canali di vendita offerte in bundle con servizi di telecomunicazioni fisse o mobili di Tim per l’intera durata dell’attuale piano industriale”, che però si concluderà nel 2028.
La scelta strategica di Poste, tempestivamente comunicata all’Autorità, elimina quindi alla radice “la possibilità di rischi concorrenziali di natura conglomerale, attribuibili come effetto della concentrazione, derivanti dalla vendita abbinata dei diversi servizi delle due società”, considerando anche “i dati estremamente contenuti della capacità di Poste di vendere i propri servizi in bundle”.
Gli elementi di criticità ravvisati dagli altri operatori
Nel bollettino l’Agcm ricorda che, a seguito della pubblicazione dell’avviso di concentrazione, in particolare, erano pervenute osservazioni da parte di Iliad, Fastweb + Vodafone, Sky, Wind Tre e Associazione Italiana Internet Provider (Aiip), successivamente integrate con le risposte alle richieste di informazioni formulate dall’Autorità in data 25 giugno 2025.
“In primo luogo, gli operatori hanno sollevato perplessità in merito a presunti effetti verticali sia in termini di input foreclosure che di customer foreclosure. Il primo effetto sarebbe legato alla possibilità che avrà Tim, a seguito dell’operazione, di accedere alla rete distributiva di Poste che si aggiungerà ai punti vendita già nella disponibilità di Tim. Ciò”, secondo i ricorrenti, “garantirebbe all’entità post-merger di beneficiare di una leva competitiva che rafforzerebbe la posizione di Tim nei mercati delle telecomunicazioni (fisse e mobili). Rispetto all’acquisto delle schede sim e dei dispositivi telefonici, è stato anche osservato come il vantaggio potrebbe essere soprattutto significativo nei Comuni dove sono ubicati gli sportelli postali che hanno beneficiato dei finanziamenti legati al Progetto Polis. Inoltre, secondo gli altri operatori, “attraverso la piattaforma informatica di Poste, Tim potrebbe acquisire numerose informazioni sulla clientela di Poste che quest’ultima detiene in ragione dell’attività postale e che nessun altro operatore concorrente nei servizi di telefonia sarebbe in grado di avere”.
Iliad e Sky ravvisavano criticità anche in merito alla possibilità per Tim di avere un accesso privilegiato ai servizi postali e logistici del Gruppo Poste, nel recapito delle sim che sono acquistate online, con potenziali effetti di discriminazione rispetto alle condizioni di mercato alle quali gli altri operatori possono accedere.
L’effetto di customer foreclosure, a cui fa riferimento in particolare Fastweb + Vodafone, discenderebbe invece dall’integrazione tra Tim, fornitore di servizi all’ingrosso di accesso alla rete mobile e Poste che, tramite la società Postepay, sarebbe il più importante cliente all’ingrosso di Fastweb + Vodafone. In particolare, il gruppo ha evidenziato di avere già ricevuto da Poste la comunicazione di volere recedere dal contratto per la fornitura di tali servizi come operatore full-Mvno, sinora acquistati sulla rete di Vodafone. Di fatto, dunque, a seguito dell’operazione il mercato verrebbe privato di un primario cliente all’ingrosso, che andrebbe a rifornirsi unicamente da Tim.
Tutti gli operatori avevano poi evidenziato “possibili effetti conglomerali derivanti dalla vendita abbinata dei servizi di telecomunicazioni con gli altri servizi postali, finanziari e di altra natura (ad esempio, energetici); vendita che sarebbe possibile in ragione dell’integrazione delle attività delle due società e che sarebbe facilitata grazie alla capillarità degli sportelli postali”.
Il parere di Agcom
Lo scorso luglio l’Antitrust ha richiesto un parere ad hoc ad Agcom. In particolare, nel mercato dei servizi di telecomunicazioni fisse al dettaglio, Agcom sottolinea “come il modesto aumento della quota di Tim non sia in grado di determinare effetti orizzontali rilevanti così come la possibilità per Tim di accedere alla rete di distribuzione di Poste non appare idonea a produrre effetti verticali in grado di ostacolare la concorrenza. A tale ultimo riguardo”, aggiunge l’autorità, “per quanto le acquisizioni attraverso canali fisici siano ancora leggermente superiori a quelle sui canali digitali, Agcom condivide che il crescente utilizzo dei canali digitali nonché il forte ricorso degli utenti ai distributori fisici multimarca renda meno rilevante la necessità di dotarsi di una rete di distribuzione di negozi fisici monomarca. Emerge dunque anche una scarsa rilevanza dei rischi concorrenziali di natura conglomerale”.
Analogamente, non ci sarebbero profili di ostacolo significativo alla concorrenza nei mercati postali, considerato il basso volume di tali servizi acquistati da Tim. Agcom evidenzia anche “che non si ritiene che Poste avrebbe convenienza ad applicare condizioni discriminatorie ad altri operatori di servizi di telecomunicazioni, stante il rischio di perdita di volumi a favore di concorrenti nel settore postale e, quindi, di riduzione dei ricavi”.
In questo scenario, in cui la posizione di mercato di Tim continua a ridursi gradualmente, gli elementi acquisiti mostrano inoltre che, sebbene il canale fisico continui a costituire un canale di vendita importante per i servizi di rete fissa, le nuove attivazioni attraverso il canale digitale, nel 2024, rappresentano ormai quasi il 45-50% del totale. “In altri termini, per gli operatori di telefonia fissa sentiti dall’Autorità le acquisizioni attraverso il canale digitale sono di poco inferiori rispetto a quelle attraverso il canale fisico, pur se con differenze tra gli operatori, con alcuni che registrano già la maggioranza delle attivazioni su canale digitale e altri per cui si osserva una più duratura persistenza delle attivazioni su canale fisico. Peraltro, dalle evidenze raccolte, emerge che quasi la metà delle nuove attivazioni attraverso canale fisico non è riconducibile a vendite effettuate nei negozi monomarca, ma in punti vendita multimarca e presso gli stand presenti nei centri commerciali o nella gdo, ossia afferente a punti vendita che richiedono minori costi di investimento e tempi di realizzazione più rapidi e che, in qualche misura, sono assimilabili al canale digitale (si pensi, ad esempio, ai totem)”.
Il commento di Intermonte
Esaminando le motivazioni dell’Agcm, gli analisti della banca di investimento Intermonte ritengono che “la review antitrust abbia considerato solo i perimetri attuali, senza cogliere le future opportunità di sinergia. A nostro avviso, queste potrebbero svilupparsi su tre direttrici: Rete, con la migrazione di parte della clientela Poste; Consumer, tramite piattaforme comuni e la rete dei 13mila uffici postali; Enterprise, con focus su cloud e ICT”.
Nelle previsioni di Intermonte su Tim e nel target price di 0.50 euro azione “non includiamo ancora le sinergie con Poste Italiane. La nostra stima preliminare ci porta ad un upside complessivo di 1,8 miliardi di euro quasi in linea con le stime del governo citate da la Repubblica, basandoci su un risparmio del 2% applicato alla base costi cash aggregata di Tim Domestic e PostePay, pari a circa 180 milioni di euro annui, corrispondenti a un upside di circa il 9% rispetto alle nostre attuali stime di Ebitdaal domestico di Tim”. Intermonte ricorda che di recente “la stampa aveva indicato sinergie di costo annue per 200-300 milioni annui dall’utilizzo della rete degli uffici postali di Poste Italiane, oltre ai 200 milioni legati alla migrazione del contratto Mvno di PostePay dalla rete Vodafone a quella di Tim, quest’ultimi già compresi nel piano attuale di Tim”.