Sulla rete unica il governo italiano e Kkr sarebbero arrivate a un punto morto: secondo indiscrezioni di Reuters, lo Stato spinge per una fusione tra FiberCop e Open Fiber, controllata da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e dal fondo australiano Macquarie, mentre la società di investimento statunitense Kkr non avrebbe alcuna intenzione di unire FiberCop (che Kkr ha acquistato l’anno scorso da Tim insieme al Ministero dell’Economia con un accordo da 19 miliardi di euro) alla società della fibra wholesale fortemente indebitata e indietro sul piano di copertura delle aree non raggiunte dalla fibra.
Reuters spiega che il governo italiano vorrebbe la combinazione delle due aziende della rete in un’unica rete a banda larga, esclusivamente wholesale e sotto la supervisione dello Stato, per evitare la duplicazione degli ingenti investimenti per la copertura Ftth in Italia e per ridurre i ritardi nella copertura di Internet ad alta velocità su rete fissa rispetto agli altri Paesi europei. Solamente circa il 70% delle famiglie italiane ha, infatti, accesso alla banda larga ultraveloce contro una media europea dell’82%.
Ma Kkr, il maggiore azionista singolo di FiberCop con una quota del 37,5%, ha espresso riserve sulla fusione, vanificando i tentativi di mediazione del governo per arrivare a un accordo complessivo, riferiscono le fonti dell’agenzia di stampa americana.
“Il tema è molto complesso e parte da un problema di fondo: l’adozione dell’Ftth è molto bassa in Italia. È chiaro che il governo spinge per unire FiberCop con OpenFiber: si creerebbe una realtà più stabile come entrate, visto il monopolio sull’ wholesale, e con maggiore capacità di investire sulle aree non raggiunte dalla fibra”, commenta Davide Di Labio, Associate Partner di Kpmg.
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Rete unica, il dossier FiberCop-OpenFiber nell’impasse
Secondo Di Labio, un’eventuale unione tra le due società della rete darebbe anche una forte accelerazione allo switch off della rete in rame. Oggi, infatti, quando FiberCop migra da rame a fibra rischia di perdere i clienti a favore di OpenFiber. La fusione dei due operatori wholesale eliminerebbe questo ostacolo, incentivando FiberCop a spegnere la rete in rame (altro problema è ovviamente il takeup – ovvero l’effettivo acquisto da parte degli utenti dei piani in fibra).
D’altro lato, Di Labio osserva che l’operazione potrebbe, come effetto negativo, generare una crescita dei prezzi all’ingrosso, nonostante i cap regolamentari, e gli aumenti ricadrebbero sui clienti finali, frenando proprio il take-up.
La resistenza di Kkr potrebbe dipendere da altri fattori, prosegue Di Labio. “Al di là dei debiti di OpenFiber, c’è anche una divergenza tra strategie di exit tra i due fondi Kkr e Macquaire: probabilmente Kkr guarda a un’orizzonte temporale di due-tre anni che non coincide con quello di Macquaire”.
Secondo Di Labio, inoltre, “la rete unica non è la soluzione di tutti i mali: si potrebbe pensare ad assetti diversi per aree geografiche e, soprattutto, per opportunità di mercato, ovvero più wholesaler nelle aree nere, dove non sono necessari grandi investimenti e il ritorno è più certo, e uno solo nelle aree bianche che richiedono un forte intervento infrastrutturale. Il takeup è la cartina di tornasole e, se gli utenti non comprano la fibra questo cambia le strategie di investimento”.
Nelle telecomunicazioni italiane troppo interventismo statale
Ma l’errore di fondo è l’invasione di campo del governo italiano nel mondo delle Tlc, secondo Francesco Vatalaro, Professore emerito di Telecomunicazioni all’Università di Roma Tor Vergata.
“Non è facile entrare nel merito del disaccordo, solo i funzionari coinvolti possono conoscerne i motivi, e non trapelano notizie ufficiali. Molto potrebbe dipendere da come sono stati scritti gli accordi sul passaggio di FiberCop al Ministero e a Kkr”, afferma Vatalaro. “Ma il problema è a monte. La situazione di oggi si basa su gravi errori commessi dal governo negli ultimi dieci anni sul tema delle telecomunicazioni, con il suo comportamento invasivo, ovvero con una presenza diretta inopportuna. La situazione di oggi conferma che l’interventismo governativo non fa il bene delle telecomunicazioni italiane”.
Le resistenze di Kkr su OpenFiber
Secondo Vatalaro le Tlc oggi pagano il prezzo dellelta fatta nel 2015 dall’allora governo Renzi: quella di creare ex novo una società delle Tlc per fare concorrenza all’operatore incumbent, ovvero Open Fiber.
“È stato così violato il principio di concorrenza”, afferma Vatalaro, “e da allora le Tlc italiane sono entrate in una forte instabilità e i conti sono progressivamente peggiorati. I debiti di OpenFiber dipendono dal fatto che le banche hanno accettato le garanzie dello Stato italiano. Ma i soldi sono stati affidati e spesi male e le opere sono state realizzate solo in parte. Questo ha determinato un forte squilibrio nell’incumbent italiano, ovvero Telecom Italia”.
L’esperto conclude: “Per me OpenFiber è un’azienda che andrebbe liquidata per la parte che non performa (le aree bianche e grigie). Ed è probabile che un fondo come Kkr, che guarda ai conti, non voglia accettare di unire FiberCop con una società in quelle condizioni”.
Infatti, secondo Reuters, i timori di Kkr vanno dalla valutazione economica ai rischi di un lungo esame antitrust in caso di fusione, che potrebbe ritardare i piani di investimento e in teoria peggiorare il merito di credito. Roma sta lavorando per superare queste divergenze, sostenendo che non vi siano ostacoli insormontabili all’accordo.
Un altro elemento di tensione è il piano da 3,4 miliardi di euro finanziato dall’Ue per fornire banda larga a oltre tre milioni di edifici. I progressi sono stati lenti, con Open Fiber in ritardo rispetto a FiberCop.
I ritardi di OpenFiber e il “salvataggio” del governo
Un mese fa il Sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti in un’intervista al Sole 24 Ore ha illustrato l’approccio che dovrebbe essere adottato per rimodulare il Piano Italia a 1 Giga e non perdere circa 700 milioni di euro a causa dei ritardi nell’esecuzione da parte di Open Fiber: in parte si salverà il ricorso alla connettività si fibra ottica e in parte ci si appoggerà alla connettività satellitare, con gli obiettivi di copertura che slittano dal 2026 al 2030.
Butti ha affermato: “Siamo partiti da una serie di incontri e approfondimenti che, tra varie difficoltà, hanno coinvolto gli operatori nei mesi scorsi. Una base di lavoro è stato quanto ci ha comunicato Open Fiber, cioè l’impossibilità di garantire, entro la scadenza del 30 giugno 2026, la copertura di oltre 700 mila numeri civici su circa 2,2 milioni totali aggiudicati all’operatore”.
Per assicurare la copertura agli oltre 700 mila civici lasciati da Open Fiber, il governo italiano, con il via libera Ue, intende utilizzare le economie generate da Italia a 1 Giga e da altri Piani gestiti dal Dipartimento: circa 700 milioni per programmare due nuovi piani di copertura.
FiberCop aveva cercato di rilevare il lavoro assegnato al concorrente alla luce dei ritardi di Open Fiber, ma – anche qui – le parti non sono riuscite a raggiungere un accordo.
Ora, durante i colloqui con i rappresentanti del governo, Kkr – sempre secondo le indiscrezioni di Reuters – ha sostenuto che i termini della revisione del Piano Italia a 1 Giga equivalgono a un ingiusto aiuto per Open Fiber.
FiberCop starebbe, inoltre, cercando di ostacolare un accordo commerciale da 500 milioni di euro per acquistare capacità da Open Fiber nelle aree più popolate del Paese.
Le critiche delle opposizioni
Anche le opposizioni italiane sono fortemente critiche nei confronti della soluzione proposta del governo per OpenFiber.
“Altro che salvataggio: il Governo certifica i ritardi del Piano Italia a 1 Giga” e, “invece di correre con soluzioni reali come l’Fwa o il coinvolgimento degli operatori locali, si ripiega sul satellite, che non garantisce prestazioni né sovranità digitale. Una gestione pasticciata che riduce gli obiettivi e lascia i cittadini indietro”, ha affermato il deputato 5Stelle Antonino Iaria.
“Il Piano Italia 1 Giga, che si proponeva di portare la fibra in tutte le unità immobiliari situate nelle cosiddette aree grigie, era in ritardo da tempo. Lo sapevamo, e io stessa ho più volte sollevato la questione con diverse interrogazioni parlamentari, l’ultima lo scorso febbraio per denunciare le gravi discrepanze tra le mappature ufficiali della copertura e la reale disponibilità del servizio per i cittadini”, ha commentato Giulia Pastorella, deputata e vicepresidente di Azione. “Per questo considero una buona cosa che il Governo stia finalmente cercando una soluzione, anche se appare paradossale accorgersene solo adesso, dopo mesi di silenzio e di inerzia”.
Ferma la posizione di Antonio Nicita, vice presidente gruppo PD in Senato, membro della Commissione Bilancio: “Questa storia di usare il satellite, forse promessa con troppo entusiasmo a Elon Musk, non è coerente con gli standard minimi richiesti dal Compass 2030 cui si è allineato il progetto Italia a 1 Giga, e va stoppata. Chi vuole il satellite lo puo acquistare già adesso, a proprie spese”.