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Squilibrio con gli operatori esteri e costi alti in Italia: il Piracy Shield è un rischio



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La piattaforma di blocco rapido dei contenuti illeciti regge, nei fatti, su attività tecniche, responsabilità e spese sostenute dagli operatori nazionali. Con volumi di blocco in aumento e un perimetro che si estende oltre lo sport, emergono criticità di sostenibilità: serve un fondo strutturale per distribuire gli oneri lungo il ciclo di vita del sistema

Pubblicato il 19 dic 2025

Giuliano Peritore

Presidente AIIP



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In Italia il sistema Piracy Shield è divenuto il fulcro della lotta alla pirateria online: una piattaforma centralizzata, imposta per legge, che impone agli operatori di accesso ad Internet di bloccare l’accesso a contenuti considerati illeciti entro 30 minuti dalla segnalazione. Un sistema ambizioso, teoricamente perfetto secondo alcuni, nella pratica squilibrato, iniquo, e oggi pericolosamente vicino al collasso operativo e finanziario secondo altri.

Costi e responsabilità a carico esclusivo degli operatori italiani

La verità è semplice e impietrosa: Piracy Shield esiste solo grazie agli operatori italiani. Sono loro, e solo loro, a sostenere quotidianamente i costi di implementazione, le modifiche alle infrastrutture, la gestione delle richieste, gli adeguamenti software, le attività di logging, i test, il personale tecnico dedicato, le responsabilità giuridiche per applicare i filtri. Lo fanno fin dal principio a titolo gratuito, senza ristori, privati di una visione di medio termine, e con l’assurdo fardello di operare come “filtri obbligatori” per conto di soggetti privati titolari di diritti, spesso multinazionali ben capitalizzate, che beneficiano delle prestazioni degli operatori senza contribuire in alcun modo.

Asimmetria con gli attori internazionali fuori dal perimetro operativo

Nel frattempo, gli operatori stranieri non partecipano affatto. Nessun automatismo, nessuna obbligazione temporale, nessun meccanismo entro 30 minuti. Al massimo qualche oscuramento manuale, sporadico, quando presumibilmente richiesto su canali paralleli. I grandi provider internazionali, le CDN, i DNS pubblici globali, gli OTT, gli operatori satellitari, restano di fatto fuori dal perimetro reale della norma, pur essendo richiamati in solido ad aderirne. Godono dell’effetto filtrante garantito dalla fatica degli operatori italiani, senza dare nulla in cambio.

Una sproporzione strutturale che grava sui margini della filiera

Il risultato? Una sproporzione evidente. Una piattaforma nazionale che filtra a carico esclusivo degli operatori locali, che agisce solo a valle del problema, e che scarica su chi ha già margini ridotti il peso di un’attività che, per sua natura, dovrebbe essere simmetricamente condivisa da tutta la filiera. Quando la realtà è che non esistono provider “più provider” degli altri.

Numeri in crescita e ampliamento del perimetro dei blocchi

Oggi sono oltre ventimila i domini filtrati ed oltre dodicimila gli indirizzi IP bloccati, numeri in costante crescita, che richiedono database locali sempre più estesi, apparati di rete aggiornati, software compatibili ed efficienti, monitoraggio continuo. Il nuovo regolamento AGCOM, in attuazione del cosiddetto “Decreto Pezzotto”, prevede inoltre oggi un’estensione indefinita delle categorie di contenuto da oscurare. Non più solo eventi sportivi live, ma anche cinema, serie, persino prime visioni televisive. Ogni nuovo ambito di applicazione genera centinaia di nuovi record da gestire, oggetti da filtrare, in una catena operativa che non prevede sosta, che funziona sette giorni su sette, festivi compresi, e che si scarica sulle reti degli operatori italiani senza margine di rifiuto, senza alcun ristoro dei costi sostenuti.

Un modello ritenuto insostenibile secondo AIIP

Tutto questo è insostenibile. AIIP lo dice da mesi: Piracy Shield, così com’è, rischia di diventare il più grande trasferimento involontario di oneri privati verso soggetti giuridici terzi, mascherato da obbligo pubblico. Nessun altro settore accetterebbe un simile rovesciamento logico: lavorare gratuitamente, a rischio proprio, per proteggere gli interessi commerciali altrui.

La proposta: un fondo da 9,5 milioni con criteri fissi e progressivi

Ecco perché AIIP ha proposto un meccanismo strutturale di ristoro: un Fondo da 9,5 milioni di euro, da erogare in base a quote fisse per operatore e quote variabili calcolate secondo scaglioni di linee attive. Un modello progressivo, trasparente, ragionevole, che tiene conto della reale distribuzione

degli oneri, premiando l’efficienza, tutelando anche i piccoli e medi operatori, e rendendo sostenibile la partecipazione al sistema per tutto il suo ciclo di vita.

Un impianto già pronto e introducibile nei prossimi veicoli normativi

Il nostro schema è già pronto: è stato formalizzato in un articolato completo, con modalità tecniche e amministrative chiare, e può essere introdotto in Legge di Bilancio o nel primo veicolo normativo utile, come il prossimo Milleproroghe.

Il rischio di tenuta del sistema e la natura politica della scelta

La posta in gioco è alta. Non si tratta solo di bilanci aziendali: si tratta della tenuta complessiva del sistema. O si riconosce che gli operatori italiani stanno sostenendo Piracy Shield con il proprio lavoro e con le proprie risorse, o si avrà, nel giro di pochi mesi, una progressiva crisi degli attori più piccoli, con l’erosione dell’efficacia del sistema e un effetto domino sulla capacità stessa di mantenere operativo il meccanismo.

Piracy Shield è a rischio. Ma il rischio non è tecnico: è politico. Se lo Stato crede davvero nella lotta alla pirateria, allora cominci col riconoscere il lavoro di chi la combatte ogni giorno, finora gratuitamente, sulle proprie infrastrutture.

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