IL CASO

Cyberspionaggio, si allargano le maglie di Eye Pyramid

Rimosso il capo della Polizia Postale e delle Comunicazioni Roberto Di Legami. Avrebbe sottovalutato la situazione. Oggi gli interrogatori dei fratelli Occhionero. Si cercano i “beneficiari” delle informazioni riservate intercettate via Internet

Pubblicato il 11 Gen 2017

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Roberto Di Legami è stato rimosso dalla guida del servizio di Polizia postale e delle Comunicazioni. A prendere la decisione è stato il capo della Polizia, Franco Gabrielli, a seguito dell’inchiesta “Eye Pyramid”, che ieri ha portato all’arresto di due persone e allo smantellamento di una centrale di cyberspionaggio ai danni di esponenti di spicco della politica, delle istituzioni e dell’economia nazionale. Tra gli intercettati l’ex premier Matteo Renzi e Mario Monti, vertici di istituzioni come il presidente della Bce Mario Draghi e l’ex comandante generale della Guardia di Finanza, Saverio Capolupo, oltre a religiosi come il cardinal Ravasi, e a enti come l’Enav e la Regione Lazio.

Gli investigatori sono riusciti a risalire nel corso delle indagini a un database da più di 18mila username in un’agenda suddivisa in categorie, ben 122, tra politici, esponenti del mondo della finanza, della massoneria e della pubblica amministrazione.

Secondo le indiscrezioni che circolano in queste ore a motivare il provvedimento di Gabrielli ci sarebbe il fatto che Di Legami avrebbe sottovalutato l’operazione, e non avrebbe adeguatamente informato i vertici del corpo sulla reale portata dell’inchiesta. Al posto di Di Legami, riassegnato a un nuovo incarico nell’Ucis, a capo della Polizia Postale va Nunzia Ciardi, dirigente del compartimento Lazio.

La Procura di Roma, che ha condotto le indagini con la Polizia Postale, contesta loro i reati di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato e intercettazione illecita di comunicazioni informatiche e telematiche. A condurre gli interrogatori il gip Maria Paola Tomaselli alla presenza del pm Eugenio Albamonte, titolare dell’indagine.

Emergono intanto alcuni stralci dell’interrogatorio di Giulio Occhionero, 45 anni, arrestato insieme alla sorella Maria Francesca, a cui sono contestati i reati di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato e intercettazione illecita di comunicazioni informatiche e telematiche. “Non è roba mia, i 18 mila nickname nel mio pc chi mi dice che non me li abbiate messi voi con un malware, violando la mia privacy – ha detto al gip Maria Paola Tomaselli, alla presenza del pm Eugenio Albamonte, titolare dell’indagine – Non ho mai voluto spiare nessuno, le informazioni mi servivano per la mia attività di consulente finanziario in Borsa. Mi occupo di derivati e le informazioni mi servivano per le mie ricerche. Negli scatoloni che avete sequestrato troverete soltanto la vecchia contabilità delle mie imprese”.

In vista dell’interrogatorio di Giulio Occhionero aveva parlato questa mattina il legale dell’arrestato, Stefano Parretta, entrando nel carcere di Regina Coeli: “Ieri l’ho incontrato e oggi risponderà alle domande del gip – ha detto l’avvocato – ha delle cose da chiarire. Questa storia è ancora tutta da scrivere, e al momento è tutto una ipotesi investigativa. Il mio assistito nega di aver fatto alcunché di illecito, aveva questi server all’estero per il suo lavoro, gli indirizzi che aveva sull’agenda sono indirizzi che possiamo avere tutti noi sul computer. Lui nega di aver fatto un’attività di spionaggio, i server all’estero li aveva per lavoro”.

Mira invece a dismostrare l’estraneità a fatti della propria assistita il legale di Maria Francesca Occhionero, arrestata insieme al fratello nell’operazione “Eye Pyramid“: “Francesca Maria Occhionero non era a conoscenza dell’attività del fratello – afferma – Sapeva certamente che era legato alla massoneria, ma questa è una cosa risaputa. In ogni caso non sapeva nulla di questa presunta attività di cyberspionaggio contestata dalla Procura. Lei non sa neppure usare il computer – prosegue il penalista – tanto è vero che un giorno ha avuto bisogno di un tecnico per risolvere un problema informatico. Loro non hanno password, non hanno carpito dati altrui e non risultano a loro carico neppure tentativi di intrusione illecita”.

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