INTERVISTA

Processo telematico, Belisario: “Meglio radere tutto al suolo”

Per la categoria finora è una delusione, spiega l’avvocato, esperto di PA digitale. Al centro ci sono le esigenze del ministero e degli uffici giudiziari, non quelle degli utenti

Pubblicato il 24 Apr 2015

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Procedure eccessivamente complesse e non allineate con la normativa in materia di digitalizzazione. Infrastrutture obsolete. Formazione degli operatori insoddisfacente. È così che il Processo civile telematico (Pct) è stato una delusione, finora: “Tanto vale radere tutto al suolo e rifarlo da zero. I problemi sono tali che rendono i benefici del Pct evanescenti”, dice Ernesto Belisario, tra i più noti avvocati specializzati in PA digitale, membro del Tavolo Permanente dell’innovazione digitale a Palazzo Chigi.

Come sta andando l’esperienza Pct dal punto di osservazione di un avvocato?

Credo che non sia un mistero che il processo telematico, fin qui, non abbia destato entusiasmi tra gli avvocati. Innanzitutto, sotto la pomposa definizione di “processo telematico” si nasconde qualcosa di molto modesto: la dematerializzazione (ancora nemmeno completa) di atti del processo e comunicazioni. Questo significa che il processo lo stiamo facendo ancora con logiche vecchie, senza beneficiare fino in fondo dei vantaggi del digitale (basti pensare a cosa significherebbe poter svolgere anche le udienze telematicamente, riducendo tempi e costi per l’amministrazione e gli avvocati, e quindi per gli utenti).

Come possiamo giudicare il tutto?

In generale, la sensazione di un avvocato è che le procedure siano ancora eccessivamente farraginose e che siano state tenute in conto solo le esigenze del ministero e degli uffici giudiziari, ma non quelle degli utenti (tra cui rientrano gli avvocati); questo ha favorito la percezione per cui si tratta solo dell’ennesima vessazione burocratica, mentre sono scarsamente percepiti i vantaggi che la digitalizzazione può arrecare. Basti pensare alla circostanza per cui le regole sono diverse per ciascun tipo di processo (processo civile telematico, processo amministrativo telematico, processo tributario telematico)… come se davvero potessero esistere delle regole diverse per la formazione e la trasmissione dell’atto processuale; e potessero cambiare a seconda che ci troviamo davanti a un Tar, al Tribunale oppure alla Commissione Tributaria.

Le norme a che punto sono? Quali lacune hanno?

Il quadro normativo è ormai completo: il problema è che disegna procedure eccessivamente complesse e, tra l’altro, non allineate con la normativa in materia di digitalizzazione. Basti pensare ad esempio all’incertezza che questo mancato coordinamento ha rappresentato con riferimento alle regole tecniche in materia di documento informatico. Incertezze tali da spingere il Presidente del Consiglio Nazionale Forense a scrivere una lettera al ministro della Giustizia con una richiesta di chiarimento. Per non parlare del fatto che le incertezze interpretative corrono il rischio di esporre i professionisti – almeno in fase di prima applicazione – al rischio di decisioni contrastanti e quindi di responsabilità.

Cos’altro manca da fare?

Nonostante i soldi spesi siano stati tanti nel corso degli anni, credo che ancora poco sia stato fatto sotto un duplice versante: da un lato quello della formazione degli operatori (magistrati, cancellieri, avvocati) e, dall’altro, dal punto di vista delle infrastrutture. La gran parte dei pc in dotazione negli uffici giudiziari, fino a poco tempo fa, utilizzava ancora Windows XP (sistema operativo ormai dismesso da Microsoft). E addirittura, da un’indagine del Csm è emerso che oltre il 60% degli uffici per garantirsi l’utilizzo di apparecchiature efficienti ha dovuto fare ricorso a risorse esterne. Per non parlare poi delle notizie di disservizi e inconvenienti tecnici che impediscono o rallentano quotidianamente gli adempimenti; purtroppo, lo switch-off deve essere accompagnato dai necessari investimenti dal punto di vista dell’infrastruttura (e della sua sicurezza).

In teoria, quali benefici ci aspettiamo?

Quando ho iniziato ad occuparmi di processo telematico (nel lontano 2001), si parlava dei risparmi legati alla riduzione dei tempi e dei costi della giustizia. La verità è che – a parte i lunghi tempi che ci abbiamo messo a fare diventare realtà il processo telematico (una sperimentazione durata più di dieci anni) – l’esistenza del doppio binario non ci ha consentito, finora, di percepire vantaggi notevoli in termini di riduzione dei tempi processuali (limitati soltanto ad alcuni tipi di processo).

Allora cosa bisogna fare?

La risposta, di getto, sarebbe quella di demolire quanto è stato costruito fino ad oggi e riedificare tutto da capo. Sicuramente sarebbe più agevole rispetto ad interventi correttivi che corrono il rischio di aggravare ulteriormente il problema.

A chi spetta risolvere le lacune? Chi ha responsabilità degli errori passati?

La responsabilità, mi pare chiaro, è di chi ha governato il processo fin qui a livello centrale, non aiutato peraltro da rivendicazioni delle diverse categorie coinvolte (magistrati, avvocati, dipendenti degli uffici). Spetta al ministero – magari con un ruolo più centrale per l’Agenzia per l’Italia Digitale – porre rimedio, lavorando su tre fronti: quello dell’aggiornamento delle regole tecniche e degli strumenti, quello degli investimenti in infrastrutture e tecnologia quello dell’assunzione di personale qualificato e, ovviamente, della riqualificazione del personale già in servizio.

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