LA CLASSIFICA DEL WEF

Wef: Italia 55ma al mondo per l’IT, in “recupero” ma sempre in coda

Secondo l’annuale classifica del World Economic Forum conquistate tre posizioni rispetto al 2014 ma nel 2013 eravamo cinquantesimi. Prima di noi tutte le principali economie mondiali ma non solo. Quadro politico e regolatorio ostacolo numero uno. La top ten è guidata da Singapore, ma è l’Europa il continente più rappresentato

Pubblicato il 15 Apr 2015

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L’Italia recupera qualche posizione nell’economia digitale, ma resta in coda rispetto ai principali Paesi del mondo. In base a “The Global Information Technology Report” 2015 pubblicato dal World Economic Forum insieme con Insead, l’Italia è 55ma su 143 Paesi, in ripresa dal 58mo posto dello scorso anno, ma ancora indietro rispetto alla già non lusinghiera 50ma piazza del 2013.

Lo studio ha misurato lo stato della “networked readiness” di 143 economie usando il Networked Readiness Index (NRI) ed esaminato il ruolo delle Ict nel creare crescita inclusiva. Il report include una serie di dati con le performance di ciascuna economia studiata nell’indice NRI e il posizionamento dei vari Paesi in ciascuno dei 53 indicatori. Quattro le macro-categorie considerate dall’NRI: l’ambiente regolatorio e di business , considerato fondamentale per far leva sulle Ict e generare impatto; la disponibilità delle Ict in termini di costo, competenze, infrastrutture; l’utilizzo (da parte di Pa, imprese e cittadini); e l’impatto sia economico che sociale.

L’Italia è preceduta da tutte le maggiori economie ma anche da Croazia, Ungheria, Giordania, Panama, Costa Rica e Macedonia (47ma). Sul podio si colloca Singapore, che nel 2015 strappa il primato alla leader dello scorso anno, ora seconda, la Finlandia. Terza la Svezia, seguita da Olanda, Norvegia, Svizzera, Usa, Regno Unito, Lussemburgo e Giappone. La Germania perde una posizione ed è 13ma. Anche la Francia scende di un posto ed è 26ma. La Russia è la prima dei Brics, al 41mo posto, con un miglioramento di 9 posti. La Cina resta 62ma e l’India scende all’89emo posto (-6).

Secondo il rapporto, a deprimere la posizione italiana sono soprattutto il contesto politico e normativo (102ma posizione), così come quello di innovazione e impresa (72ma). Va decisamente meglio sul fronte delle infrastrutture (37ma), accessibilità dei prezzi (36ma posizione) e competenze (37ma); siamo addirittura primi per la copertura della telefonia mobile.

In termini di utilizzo delle Ict l’Italia è al 46mo posto, una media tra il 33mo posto per l’uso privato e il 60mo per l’uso dell‘Ict da parte delle imprese e addirittura il 76mo per l’uso nella pubblica amministrazione, che però migliora rispetto allo scorso anno.

Per l’impatto generale delle Ict l’Italia è 66ma, anche qui una media tra l’impatto economico che ci colloca al 51mo posto e quello sociale che ci trascina al 75mo, a causa della scarsa presenza dell’Ict nei servizi di base, comprese le scuole.

Da notare che l’Italia è nona in una speciale classifica, quella dei Fab Labs attivi sul totale della popolazione: ne abbiamo 52, ovvero 0,9 per milione di abitanti. La leader di questa classifica è l’Islanda (ne ha 15,5 per milione di abitanti) e della Top 10 fanno parte, in Europa, anche Lussemburgo, Olanda, Svizzera, Danimarca e Lettonia.

“Il quadro politico e regolatorio resta il punto debole dell’Italia, su cui pesa anche un sistema giuridico molto inefficiente (142ma posizione), che richiede in media più di mille giorni per rendere valido un contratto (131ma posizione)”, si legge nel report. “Il quadro innovativo è reso difficoltoso dalla scarsa disponibilità di venture capital (127ma), risultato della carenza di capitali privati per gli investimenti. L’impresa non può contare su un adeguato sostegno degli investimenti pubblici in tecnologie avanzate (129ma posizione) ed è penalizzata da altissimi livelli di tassazione (131ma). L’uso da parte delle imprese delle Ict è al di sotto della maggior parte delle economie avanzate e solo il 35% della forza lavoro è impiegata in occupazioni knowledge-intensive. Il governo ha fatto grandi passi in avanti nel portare i suoi servizi online (23ma posizione) e nel permettere la e-partecipazione ai cittadini (19ma), ma non è ancora in grado di promuovere adeguatamente le Ict (139ma). L’agenzia governativa formata nel 2012 per implementare l’Agenda digitale nazionale ha in larga parte mancato gli obiettivi. Il ritardo dell’Italia è considerevole quando si guarda alle tecnologie di accesso ultra-broadband e next-generation (Nga). La nuova strategia del governo, approvata a marzo 2015, aspira a chiudere questo gap con investimenti pubblici di 6 miliardi di euro e fondi privati di uguale entità”.

Portando lo sguardo all’Europa, va sottolineato che nel 2015 sette dei Paesi nella Top 10 sono europei, più che nel 2014, grazie al Lussemburgo (nono), che, insieme al Giappone (decimo), entra nella classifica dei primi dieci a scapito di Corea del Sud (12ma) e di Hong Kong (14mo). Di conseguenza, solo Singapore rappresenta le “Tigri asiatiche” nella Top 10 quest’anno. Oltre a Singapore e Giappone, gli Stati Uniti, stabili al settimo posto, sono l’unico Paese extra-europeo del gruppo. Gli autori del report notano ancora che l’Europa è sede di alcuni dei Paesi più connessi e delle economie più innovative del mondo, tra cui spiccano i Paesi nordici e quelli dell’Europa occidentale. Sull’Europa meridionale, gli studiosi scrivono che Portogallo (28mo, in risalita di cinque posizioni), Italia (come abbiamo visto, 55ma, +3) e Grecia (66ma, +8) “migliorano significativamente rispetto all’anno scorso grazie a forti avanzamenti nell’utilizzo delle Ict nella Pa, mentre Malta (29ma), Spagna (34ma) e Cipro (36ma) restano stabili. Questi trend positivi contribuiscono a ridurre il distacco dell’Europa meridionale col resto del continente, che si era invece andando allargando dal 2012″.

A livello generale, il report osserva che le Ict hanno un enorme potenziale di trasformare economie e società in tutto il mondo e risolvere anche alcune delle grandi sfide del nostro tempo, ma la rivoluzione dell’Ict deve ancora raggiungere larghe porzioni del pianeta e persino all’interno di una stessa nazione permangono in molti casi dei digital divide che aspettano di essere colmati.

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