Fibra ottica: al gioco dell’Oca vince Infratel

L’in-house del Mise metterà la fibra nelle aree a fallimento di mercato. Un ritorno alle origini che stavolta potrebbe mettere tutti d’accordo. Ma spiazza i piani dall’Enel

Pubblicato il 07 Gen 2016

Gildo Campesato

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Come nel gioco dell’Oca: siamo tornati alla casella di partenza. Ovvero, allo Stato che realizzerà la rete per portare la banda ultralarga nelle zone di digital divide classificate all’interno delle aree C e D, a fallimento di mercato. Dove cioè gli operatori privati non si sognano nemmeno di posare la fibra ottica senza incentivi pubblici.

Agli addetti ai lavori non sfugge che questa fosse l’impostazione di partenza, ad esempio, del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli o del vicesegretario alla presidenza del Consiglio, Raffaele Tiscar, consigliere di Matteo Renzi per il broadband. I quali, tra l’altro, andavano ancora oltre con l’immaginazione: quella di una grande rete in fibra ottica sino alle case o pubblica o comunque realizzata in comune dagli operatori privati.

Lo stesso Renzi non vede certo con sfavore la scelta che sia lo Stato a costruire e gestire in prima persona la rete di tlc nelle aree di mercato svantaggiate. Che la proposta di azzerare tutto ed affidare ad Infratel i 2,2 miliardi (intanto) di fondi stanziati dal Cipe per fare la rete broadband nei cluster C e D sia venuta proprio dal Cobul, comitato presieduto dal sottosegretario alla Presidenza del Claudio De Vincenti, la dice lunga sugli umori che albergano a Palazzo Chigi.

Per il governo, i vantaggi di questa impostazione sono chiari, in particolare dopo che le varie ipotesi di condominio fra privati si sono mostrate inattuabili e che la “carta Enel” si è rilevata meno decisiva e rapida di quanto non fosse auspicato.

Affidare la costruzione della nuova rete a Infratel è una scelta che può rappresentare l’uovo di Colombo nelle intenzioni di Palazzo Chigi: accelerare i tempi di posa, evitare le forche caudine delle autorizzazioni di Bruxelles, bypassare le critiche politiche di chi è contrario di sussidiare abbondantemente con soldi pubblici una rete di telecomunicazioni privata. Tanto più se unico aggiudicataria delle gare, come avvenuto in passato, fosse stata Telecom Italia. Da quest’ultimo punto di vista, la dice lunga il plauso al governo venuto oggi dai grillini.

Chi si trova improvvisamente “miracolata” è Infratel Italia. Si tratta di una in-house del ministero dello Sviluppo Economico ed è il soggetto attuatore dei piani banda larga e ultra larga del governo. La società guidata da Domenico Tudini e Salvatore Lombardo ha come compito prioritario quello di portare la banda larga nelle aree a fallimento di mercato. Lo sta facendo da qualche anno tanto che ha già steso e possiede una rete di circa 15.000 chilometri di fibra abilitando la banda larga a 3,5 milioni di persone. I 2,2 miliardi del Cipe più quasi altrettanti che potrebbero essere mobilitate dai fondi Ue ne fa improvvisamente un attore di primo piano nel panorama delle telecomunicazioni italiane.

Chi invece rischia di mordersi le mani (o la lingua per avere parlato troppo presto) è l’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace. Enel Open Fiber, la società creata per portare la banda larga nelle aree C e D e poi eventualmente anche in quelle “nere” dove c’è già competizione fra operatori (si ipotizzavano due iniziative distinte) perde una gamba prima ancora della presentazione del business plan.

Si tratta, della gamba più attraente, quella che consentiva alla fibra di passare veloce e a basso prezzo fra campagne e montagne grazie ad importanti contributi pubblici in coincidenza degli investimenti per il programmato cambio dei contatori elettronici.

Enel potrebbe comunque decidere di partecipare alle gare per la posa della fibra in concorrenza con i tradizionali scavatori di reti di tlc. Ma è cosa ben diversa dal possedere una rete propria e affittarla ad altri come proprio business model. Per l’Enel la mera posa per conto di altri sarebbe un business, sempre che lo sia, abbastanza marginale.

A questo punto, c’è da chiedersi se resta ancora in piedi l’ipotesi di Enel che interviene soltanto nelle aree “ricche”: o riesce a fare un “condominio” con altri operatori, oppure anche questo potrebbe rivelarsi un sogno di business che rimarrà sulla carta.

Della “soluzione Infratel” gioiscono invece i concorrenti di Telecom Italia: Vodafone, Fastweb e Wind in primis, che sempre hanno lamentato come nelle gare fatte nelle aree a fallimento di mercato sia sempre risultato come unico vincitore (e partecipante) Telecom Italia. Con la rete pubblica, la diatriba è superata alla radice.

E Telecom? Certo, fa male all’ex monopolista perdere il monopolio della rete di accesso in aree così vaste d’Italia. Ma si tratta delle zone meno interessanti dal punto di vista del business. E comunque, in quelle aree i clienti telefonici sono soprattutto suoi: la battaglia sarà per tenerli, non quella (più difficile) per conquistarli. Va poi osservato che questa soluzione toglierà dal tavolo molte polemiche con i suoi concorrenti ma anche col governo. Non tutto il male viene per nuocere.

Tornare alla casella di partenza, dopo tutte le giocate di dadi di questi due anni, è probabilmente un’idea meno peregrina di quanto non possa apparire a prima vista. Anche se non tutti ne escono vincitori.

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