Le telco italiane chiedono che i diritti d’uso delle frequenze mobili, in scadenza il 31 dicembre 2029, vengano rinnovati a costo zero. La contropartita? Impegni di investimento messi nero su bianco. È quanto emerge dalle risposte alla seconda consultazione pubblica sul rinnovo delle frequenze mobili, chiusasi lo scorso lunedì.
In gioco c’è circa il 70% dello spettro: Tim 180MHz, Vodafone-Fastweb 200MHz, WindTre 250 MHz, Iliad 70 MHz. Secondo Asstel, il settore investe circa 7 miliardi di euro l’anno, con budget pro-capite che si aggirano intorno al 26% del fatturato. Rispetto al rinnovo del 2029, l’obiettivo della maggior parte degli operatori sarebbe quello di evitare un esborso simile a quello implicato dall’asta 5G del 2018, del valore di 6,5 miliardi di dollari.
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Una proposta già avanzata da Labriola di Tim
La notizia, d’altra parte, non dovrebbe fare troppo scalpore. Già a marzo Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, aveva chiarito qual è la sua posizione sul dossier: “Garantire il rinnovo gratuito delle frequenze per il 5G a fronte di un committment di costruzione di rete e telecomunicazioni”, era stata la dichiarazione del manager a margine della presentazione del Rapporto Cyber Index Pmi a Roma.
“È uno dei punti che ho sollevato anche nelle varie interlocuzioni col Mimit e con il Sistema Paese”, aveva proseguito Labriola, “nel senso che sarebbe una modalità intelligente per permettere un’accelerazione nello sviluppo delle infrastrutture. La stessa cosa è stata fatta più o meno in Brasile sul 5G, quindi noi l’abbiamo già incominciata a dire un anno fa”.
Ma sulla proposta dell’Ad di Tim il consenso non è unanime: tra le posizioni in campo emerge anche quella di chi non si schiera per una proroga gratuita delle assegnazioni già effettuate, ma preferirebbe un’assegnazione ventennale invece che un allungamento di 5 anni, fermo restando il principio della gratuità o dei costi contenuti, per poter destinare risorse al potenziamento delle infrastrutture.
I modelli al vaglio di Agcom: i casi tedesco
La proposta dell’amministratore delegato di Tim e di alcune altre telco, tra l’altro, va nella direzione di quanto sta accadendo all’estero. E’ il caso della Germania, per esempio: anche se in una situazione di mercato diversa da quella italiana, la Bundesnetzagentur, agenzia federale delle reti, ha stabilito che gli opertori potranno continuare a utilizzare gratuitamente le frequenze per il 5G, nelle bande 800MHz, 1800MHz e 2.6GHz fino al 2030, ma dovranno rispettare obiettivi di copertura più ambiziosi.
E in effetti Agcom sta valutando anche questo modello, con l’obiettivo di chiudere la procedura nel 2027, due anni prima della scadenza.
Ma il consenso non è unanime, se non per il fatto che le telco non vogliono spendere per i diritti d’uso delle frequenze che scadono al 2029. Tim, Fastweb, Wind e Iliad sono – in altre parole – d’accordo sul fatto che vorrebbero poter utilizzare le frequenze per 20 anni al più basso costo possibile, così da poter destinare quanto risparmiato per poter investire nello sviluppo delle infrastrutture.
Intermonte: verso collaborazioni e joint venture per aumentare l’efficienza
Gli analisti della banca di investimento Intermonte si dicono ottimisti rispetto alla possibilità che Agcom accolga i rilievi delle telco. “Nelle nostre stime esplicite al 2030 non includiamo un esborso di cassa per il rinnovo delle frequenze, ma nella valutazione Dcf (Discounted cash flow, ndr) di Tim Consumer che ci porta ad un target price di 0.50 euro per azione incorporiamo, in perpetuity, capex straordinari per circa 0.5 miliardi di euro legati ai rinnovi dello spettro, in aggiunta ai capex ordinari pari a circa l’8% del fatturato”, nota l’istituto.
“Per il 5G standalone, sarà necessaria una nuova infrastruttura standalone, non più ancorata alle torri 4G. Nel breve medio termine, non escludiamo che per far fronte agli onerosi costi di rollout futuri gli operatori opteranno per una joint venture di Ran sharing per la rete attiva (condivisione trasmettitori ma non delle frequenze)”. In questo senso, la possibile costituzione di una joint venture a tre operatori (Intermonte cita per esempio Tim, Fastweb, Wind3) per la condivisione delle infrastrutture attive consentirebbe agli operatori mobili di “deconsolidare i capex e migliorare i ritorni sul capitale investito, e non dovrebbe presentare significative issue di natura antitrust”.