In un contesto di economia debole, con il Pil previsto in aumento dello 0,6% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, gli investimenti digitali in Italia continuano a crescere ma senza segnare una svolta decisiva. Nel 2026 il budget Ictddelle imprese italiane salirà dell’1,8% rispetto al 2025, confermando il trend degli ultimi dieci anni. A trainare la crescita sono ancora le piccole (+3,3%) e medie imprese (+5,2%), spinte dalle misure del Pnrr e dalle opportunità legate alla transizione digitale.
Secondo gli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking del Politecnico di Milano, la consapevolezza del ruolo strategico del digitale è ormai diffusa, ma il 44% delle imprese indica la mancanza di risorse economiche come principale freno alla trasformazione. «Serve un cambio di passo, con leve concrete affinché imprese e startup possano creare valore per il Paese – afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori –. Sono necessari investimenti, formazione inclusiva e consolidamento degli ecosistemi di innovazione».
Indice degli argomenti
AI motore dell’innovazione, ma il gap di competenze frena
Tra le grandi aziende, la cybersecurity resta la priorità assoluta (65%), ma al secondo posto sale l’Intelligenza Artificiale (57%), spinta dalle applicazioni di Generative AI e Agentic AI. Seguono Big Data Management (49%) e Cloud migration (35%). Nelle Pmi, invece, prevalgono sicurezza informatica (45%), Industria 4.0 (37%) e Cloud (32%).
L’AI si conferma motore dell’innovazione, capace di accelerare creatività e qualità delle idee. Tuttavia, il percorso è ostacolato da carenza di competenze specifiche e difficoltà nell’adozione sicura e sistematica. Solo il 21% delle grandi imprese ha definito linee guida strutturate per l’uso dell’AI. «Per adottare un approccio maturo occorre definire budget dedicati, investire sulla trasformazione culturale e sullo sviluppo delle competenze, costruire processi flessibili e monitorare gli impatti – sottolinea Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy –. Serve superare le barriere che rallentano il passaggio dalla sperimentazione alla messa in produzione».
Open Innovation: pratica diffusa, ma impatti limitati
L’86% delle grandi imprese italiane ha avviato iniziative di Open Innovation, una percentuale stabile negli ultimi anni che segnala il raggiungimento di un plateau. Le attività sono prevalentemente inbound, come collaborazioni con università, scouting di startup e partecipazione a contest. Le iniziative outbound, invece, restano marginali.
«Nonostante l’ampia diffusione, l’ecosistema italiano è ancora in una fase intermedia – sottolinea Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking –. Le imprese devono integrare queste pratiche nella strategia complessiva e dotarsi di strumenti per misurare gli impatti. Passare da iniziative frammentate a un approccio strutturato può rappresentare la leva decisiva per trasformare l’Open Innovation da attività accessoria a componente centrale dei percorsi di innovazione».
Governance e ruoli: verso modelli più maturi
Solo una grande impresa su tre possiede una strategia formale di innovazione. Il 40% ha istituito una Direzione Innovazione, modello ormai prevalente per garantire presidio dedicato e coordinamento trasversale. Più della metà ha formalizzato il ruolo di Innovation Manager, mentre si diffonde anche quello di Open Innovation Manager. Questi ruoli sono cruciali per evitare dispersione di sforzi e mantenere coerenza con gli obiettivi di business.
Gli Osservatori evidenziano che la maturità digitale non si misura solo in termini di tecnologia, ma anche di processi organizzativi flessibili, cultura aziendale e capacità di misurare gli impatti. Senza questi elementi, il rischio è che le iniziative restino isolate e non generino valore.
Il cambio di passo necessario
Il quadro delineato dagli Osservatori è chiaro: investimenti in crescita, ma ancora insufficienti per una svolta. L’AI è pronta a diventare il driver dell’innovazione, ma senza risorse e competenze rischia di restare confinata alla fase sperimentale. L’Open Innovation, pur diffusa, deve evolvere da pratica accessoria a componente strategica, con metriche di impatto e governance solida. Solo così imprese e startup potranno affrontare le sfide epocali e generare valore per il Paese.











