l’intervista

Andrea Piol: “Con EpiHub portiamo nel futuro i territori dimenticati”



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Il figlio di Elserino Piol racconta come la Fondazione, che porta il nome del padre, stia trasformando il borgo di Valmorel in un laboratorio di innovazione sociale: “Uniamo tecnologia, comunità e tradizione per rendere i piccoli Paesi italiani ed europei luoghi attrattivi per talenti e nuova imprenditorialità”

Pubblicato il 1 dic 2025



Team Fondazione Elserino Piol

Nel dialogo con Andrea Piol, figlio di Elserino Piol e oggi tra i principali interpreti dell’eredità culturale e imprenditoriale del padre, emergono con forza i tratti di una visione che attraversa generazioni senza perdere lucidità né capacità di anticipare il futuro. Se Elserino Piol ha contribuito a leggere in anticipo le grandi trasformazioni dell’informatica e di Internet, oggi EpiHub — la nuova sede della Fondazione Elserino Piol a Valmorel — ne rappresenta l’evoluzione naturale: un laboratorio dove tecnologia, comunità e territorio si intrecciano per rigenerare i borghi e renderli nuovamente competitivi.
In questa intervista, Alessandro Piol racconta come l’approccio pionieristico del padre si traduca in una piattaforma operativa per le aree rurali italiane ed europee, quali attività daranno forma al modello EpiHub e quale ruolo avranno cittadini, imprese e istituzioni nel costruire un ecosistema di innovazione diffusa. Ne emerge il ritratto di un progetto che non vuole importare soluzioni dall’esterno, ma creare condizioni abilitanti perché i territori possano generare valore, trattenere talenti e diventare luoghi di nuova imprenditorialità.

Piol, in che modo EpiHub rappresenta l’evoluzione della visione di Elserino Piol e quale contributo concreto vuole dare al futuro delle aree rurali italiane ed europee?

EpiHub vuole essere l’applicazione pragmatica del mindset visionario di Elserino Piol a una sfida contemporanea urgente: la rigenerazione territoriale. Se in Olivetti e nel Venture Capital mio padre ha intuito il potenziale dell’informatica e di Internet prima di altri, oggi la Fondazione applica quella stessa lungimiranza ai “territori dimenticati”. La nostra visione è trasformare le aree marginali da luoghi di spopolamento a ecosistemi ad alto valore aggiunto. Il contributo concreto risiede nel dimostrare, dati alla mano, che l’innovazione tecnologica non è appannaggio esclusivo delle metropoli; portando competenze manageriali, Agritech e modelli di smart working a Valmorel, vogliamo validare un protocollo di sviluppo replicabile, capace di attrarre capitali e talenti in qualsiasi borgo europeo dotato di infrastruttura digitale e volontà politica.

Quali attività chiave animeranno EpiHub e come questo spazio sarà utilizzato per favorire l’innovazione senza perdere il legame con le tradizioni locali?

La sede della Fondazione Elserino Piol, EpiHub, è progettata come un’infrastruttura di connessione tra sapere globale e azione locale. Lo spazio ospita un’area di coworking per nomadi digitali e imprese, sale formazione e una biblioteca specializzata con oltre 1.300 volumi di business e ICT management, inserita nel Sistema Bibliotecario Nazionale e che sarà attiva dalla primavera del 2026. Non si tratta di un corpo estraneo calato nel borgo, ma di un innesto funzionale: l’edificio stesso, una locanda storica restaurata con criteri di efficienza energetica, dialoga con il territorio. Qui l’innovazione serve la tradizione: nei nostri spazi si progettano soluzioni per l’Agritech, come i sistemi di virtual fencing e dissuasione predatori per le malghe, che permettono alle attività secolari di sopravvivere e competere nel mercato odierno, riducendo i costi operativi e migliorando la qualità della vita degli operatori.

Che ruolo avranno i cittadini, le associazioni e le imprese del territorio nella costruzione e nella governance di EpiHub, e quali ricadute sociali ed economiche vi aspettate nel breve periodo?

    La governance di EpiHub si fonda su un approccio partecipativo strutturato, esemplificato dal progetto Laborel, il nostro laboratorio di idee che coinvolge attivamente la popolazione locale nella definizione delle priorità. Non imponiamo soluzioni dall’alto, ma forniamo gli strumenti metodologici e tecnologici per risolvere problemi sentiti dalla comunità. Le imprese locali sono partner operativi, non solo beneficiari. Nel breve periodo, le ricadute attese sono misurabili in termini di retention dei talenti e creazione di indotto: portare professionisti e startup a lavorare a Valmorel genera domanda di servizi, rivitalizza il commercio locale e, soprattutto, innesca un cambiamento culturale, restituendo ai residenti la percezione del proprio territorio come luogo di opportunità e non di abbandono.

    In che modo la tecnologia sarà messa al servizio della comunità per creare nuove opportunità e rafforzare l’identità dei borghi, rendendo EpiHub un laboratorio di innovazione sociale?

    La tecnologia in EpiHub è uno strumento abilitante, mai il fine ultimo. Il nostro focus è l’innovazione sociale tech-driven. Utilizziamo l’Intelligenza Artificiale, ad esempio attraverso l’Osservatorio Bandi in partnership con startup innovative, per intercettare e ottimizzare l’accesso ai fondi europei e nazionali, risorse che spesso i piccoli comuni non riescono a drenare per mancanza di competenze tecniche. Rafforzare l’identità del borgo significa dotarlo degli strumenti per narrare e valorizzare il proprio patrimonio: digitalizzazione dei processi agricoli e turismo sostenibile data-driven permettono a Valmorel di competere su scala globale mantenendo intatta la propria autenticità. È la tecnologia che si adatta ai ritmi della montagna per potenziarli, non viceversa.

    A suo avviso quali condizioni culturali e politiche sono necessarie per replicare il modello di EpiHub in altri territori e trasformare i borghi italiani in luoghi attrattivi per giovani talenti e nuova imprenditorialità?

      Per replicare il modello EpiHub serve superare la retorica del “piccolo borgo antico” musealizzato. A livello culturale, è necessario un cambio di paradigma nella Pubblica Amministrazione locale: i comuni devono evolvere da enti burocratici a facilitatori di sviluppo, aperti al partenariato pubblico-privato. Solo creando un ecosistema accogliente – che offra servizi, connettività e qualità della vita – possiamo trasformare la “fuga dei cervelli” in una “circolazione di talenti”, dove i borghi diventano hub di decompressione produttiva e incubazione creativa per professionisti stanchi dei costi e delle inefficienze urbane.

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