TASSE

Apple, rete di vendita occulta per evadere il fisco

La ricostruzione della Repubblica sull’inchiesta della Procura di Milano cita i documenti dell’Agenzia delle Entrate: “Le controllanti irlandesi solo scatole vuote, operazioni interamente gestite in Italia”

Pubblicato il 26 Mar 2015

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Le società irlandesi che controllavano le attività di Apple in Italia erano in realtà soltanto scatole vuote, mentre tutte le operazioni di vendita erano gestite interamente dalle strutture italiane. Quello della “rete occulta di vendita” è il perno dell’inchiesta che ha portato la Procura di Milano a indagare tre manager di Apple, accusando la società di aver evaso in Italia 879 milioni di euro tra il 2008 e il 2013.

A ricostruire l’intera vicenda, citando i documenti dell’Agenza delle entrate, che spiegano nel dettaglio su quali principi fosse basata la strategia di Apple, è oggi il quotidiano La Repubblica, che sottolinea come secondo gli inquirenti le vendite di Apple in Italia, comprese quelle verso i grandi clienti, a partire dalle compagnie telefoniche, fossero gestite completamente in Italia, dove quindi avrebbero dovuto essere pagate le tasse, e non in Irlanda, dove invece la compagnia ha scelto di pagare.

Per riuscire in questo intento, spiega il quotidiano, era operativa una struttura di venditori occulta creata dentro Apple Italia, che non avrebbe svolto, come previsto dallo statuto della società, una semplice attività di consulenza, ma con autonomia gestionale, dipendendo invece per le direttive e le decisioni sui compensi e sulle assunzioni dalle società irlandesi o americane.

Secondo i documenti citati dall’agenzia delle entrate sono tre le caratteristiche che portano a stabilire che quella delle vendite Apple in Italia fosse una organizzazione stabile: “Il potere di concludere in modo abituale i contratti con evidenza giuridica per l’impresa estera, il potere di svolgere attività commerciali di carattere non meramente ausiliario e l’esclusività del rapporto di collaborazione con il soggetto non residente nonché la subordinazione in senso giuridico ed economico dall’irlandese Apple sales international”.

La casa di Cupertino respinge con decisione le accuse, definendo la tesi dei Pm come “priva di fondamento”.

Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica di Milano, ricostruisce così sinteticamente i contenuti dell’inchiesta: “I redditi relativi all’attività commerciale svolta da Apple in Italia sono stati sottoposti a tassazione in Irlanda con applicazione di un’aliquota più favorevole, compresa tra lo 0,06% allo 0,05% rispetto a quella italiana pari al 27,50%”.

L’avviso di conclusione dell’inchiesta, intanto, riguarda il legale rappresentante e l’amministratore delegato di Apple Italia Enzo Biagini e il direttore finanziario Mauro Cardaio, nonché il manager della irlandese Apple Sales International, Michael Thomas O’ Sullivan. Ai tre è contestato il reato di omessa dichiarazione in base all’ articolo 5 del Decreto legislativo 74/2000. Ai tre indagati, si legge nella nota di Bruti Liberati, “è contestato, nei loro rispettivi ruoli, l’aver omesso di dichiarare redditi prodotti in Italia attraverso una stabile organizzazione occultata all’interno della Apple Italia s.r.l., che formalmente svolgerebbe solo attività di marketing e supporto alle vendite”.

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