Bentivogli: “Il sindacato cambierà col nuovo lavoro”

Il segretario generale della Fim: “Basta esitazioni, l’Industria 4.0 è una grande opportunità per il Paese”

Pubblicato il 12 Nov 2015

Antonello Salerno

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L’Italia non sta prendendo abbastanza sul serio Industria 4.0. E senza una sterzata decisa rischia di essere travolta dal cambiamento già in atto in Germania, Stati Uniti e Cina. Il 28 ottobre la cancelliera Merkel ha incontrato il presidente Hollande su Industry 4.0, e noi?

E’ il senso dell’analisi di Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, il sindacato che riunisce i metalmeccanici della Cisl. “Alcune imprese si crogiolano sui cambiamenti di medio periodo, con approcci gradualisti. Il nostro Paese è considerato rispetto al cambiamento un ‘tradizionalista esitante’, e questo potrebbe mettere un’ipoteca grave sul futuro dell’Italia, perché lo scenario industriale che scaturirà dalla quarta rivoluzione industriale non sarà in continuità con l’attuale, e modificherà in modo sostanziale il ruolo delle persone”.

Bentivogli, come cambieranno gli operai?

Non esisteranno più le catene di montaggio, e il lavoratore avrà un ingaggio cognitivo di più ampio respiro. Tramonterà definitivamente il sistema fordista, e gli operai saranno sempre più progettisti, impegnati nei settaggi di impianti di alto livello tecnologico, competenti nell’analisi dei big data. Tempi, orari e spazi saranno diversi da oggi, e si affermerà un’evoluzione dello smart working, con l’accesso ai processi produttivi da remoto. Il problema è che l’Italia è il fanalino di coda in Europa in quanto a competenze, ed è necessario un recupero di questi skill.

Come è destinato a mutare il ruolo del sindacato alla luce di questa rivoluzione?

Nonostante la narrazione mediatica che spesso prevale, che valorizza i “profeti di sventura”, una parte del sindacato sta già mutando. Oggi deve studiare, essere capace di leggere i processi e partecipare, contribuendo ad alzare le competenze dei lavoratori e fare in modo che siano al passo con i tempi. E’ fresco di stampa un nostro primo lavoro, “Sindacato futuro nell’era dei big data e di industry 4.0”, e abbiamo avviato una collaborazione con il Polimi sugli impatti dell’innovazione, in termini di tecnologie e di lavoro. Sulla base dei risultati costruiremo proposte concrete. Se si relega il tema al campo dell’economia e delle tecnologie, il rischio è che i lavoratori vengano “dimenticati”. Ma se parteciperemo alla costruzione con scelte inclusive eviteremo che la smart factory diventi “senza lavoratori” e “union free”.

Industria 4.0 è il tema al centro della vostra assemblea organizzativa nazionale. Che tipo di risposta arriva dai territori?

La risposta è di grande attenzione, ma non mancano le preoccupazioni. Purtroppo il sistema industriale italiano è in grande ritardo, la differenza rispetto alla Germania è immensa. Ma se la reazione al cambiamento è per principio difensiva, il rischio è di subire l’innovazione invece che provare a indirizzarla. Bisogna rilanciare il concetto che il futuro sia opportunità. La quarta rivoluzione industriale, tra l’altro, può favorire il back reshoring, il rientro in Italia di produzioni delocalizzate, grazie al guadagno di produttività che si può ottenere con l’uso integrato delle nuove tecnologie. In Germania i sindacati sono pienamente coinvolti, mentre in Italia oggi ne parliamo soltanto noi. Gli altri sono ancora alla retorica morta del sindacato del tempo che fu.

Il Governo intanto ha annunciato un position paper su Industria 4.0: che punti dovrà toccare?

E’ vero, e lo stiamo aspettando. Il Governo dovrebbe avere un ruolo fondamentale in questo processo, quantomeno su due fronti: quello della formazione, perché senza competenze c’è una fetta grande di lavoratori che rischia di essere tagliata fuori dai nuovi processi, e sullo sviluppo della banda ultralarga, che è una precondizione territoriale, e su cui i ritardi sono ancora troppi. Il Governo sta cercando di recuperare, ma ci aspettavamo una risposta più veloce. Ciò che dovrebbe scuotere l’esecutivo è il fatto ad esempio che la Cina e la Germania stanno cooperando, e c’è il rischio che questo asse strategico diventi la guida mondiale.

Quali saranno i riflessi sull’occupazione di industria 4.0?

Potrà essere un’opportunità, se il Paese sarà capace di fare sistema. L’esempio può venire da quanto accaduto nella fabbrica Fca di Pomigliano d’Arco: in quella realtà grazie all’innovazione si è guadagnata produttività. Un successo industriale e sindacale che sgretola due falsi miti: che per aumentare la produttività sia necessario ridurre i salari e deteriorare le condizioni di lavoro. A Pomigliano, per quanto ci sia ancora molto da fare, con l’innovazione le condizioni di lavoro sono migliorate, e i salari sono cresciuti più di quanto non fosse mai accaduto: Pomigliano per noi rappresenta una fase di transizione verso industry 4.0.

E le imprese? Come stanno affrontando questo passaggio?

Io credo che il sistema industriale abbia bisogno di scuotersi. E sono convinto che Confindustria dovrebbe fare meno convegni e più iniziative concrete. Nelle imprese non c’è ancora una consapevolezza chiara delle opportunità aperte da Industria 4.0.

Qual è il rapporto con le altre sigle sindacali su questo argomento?

Gli altri sindacati relegano Industria 4.0 nella casella “roba per futurologi”, come una moda di cui oggi si parla e domani non si parlerà più. Il sindacato ha finora subito le rivoluzioni: Ma con industry 4.0 o giochiamo d’anticipo o rischiamo di non esserci più.

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