INTERVISTA IN ESCLUSIVA

Bersani: “La PA digitale è una nostra priorità”

Il segretario del Pd: “L’innovazione tecnologica una leva importantissima per ogni strategia di crescita economica e sociale. Ma va inserita all’interno di una visione complessiva del Paese. Evitando sprechi ed errori del passato”

Pubblicato il 12 Feb 2013

Gildo Campesato

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“L’innovazione tecnologica rappresenta una leva importantissima per ogni strategia di crescita economica e sociale. La prima volta che il centrosinistra ha proposto un programma organico su questo tema è stato nel 2005 con i 10 punti per l’Italia digitale. In quel documento abbiamo cominciato a delineare un percorso. Oggi le cose sono un po’ cambiate ma rimane la necessità di un itinerario coerente”: lo dice Pierluigi Bersani in un’intervista al nostro sito in cui si approfondiscono alcune delle tematiche sviluppate in un articolo a firma del segretario del Pd uscito nell’ultimo numero del Corriere delle Comunicazioni.

Ritiene dunque la “rivoluzione digitale” sia uno strumento decisivo per stimolare la crescita e il potenziale innovativo del Paese?.

L’innovazione tecnologica è presente in ogni settore e in ogni tipologia di prodotto. Le auto prodotte oggi hanno molta tecnologia in più rispetto a quelle di pochi anni fa. Il nostro sistema produttivo su questo fronte ha un problema. L’Italia spesso compete su prodotti a bassa intensità tecnologica. Questo accade malgrado le eccellenze tecnologiche e di ricerca che pure sono molto presenti nel paese. Su questo fronte è necessario mettere tutto il nostro impegno. Nell’ultimo governo Prodi ho lanciato il programma Industria 2015 con questo spirito; un programma purtroppo abbandonato dal governo Berlusconi. E’ necessario riprendere quello spirito, fare uno sforzo corale per individuare aree e settori nei quali l’innovazione tecnologica può produrre un ritorno elevato, in termini di crescita. A questo sforzo sono chiamati il governo e la politica, che devono assumere il loro ruolo di leadership indicando il progetto di cambiamento all’interno del quale i diversi interlocutori, dalle imprese alle università, dal sistema della ricerca ai sindacati, possano trovare il proprio spazio di iniziativa.

È d’accordo che digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione devono essere parte di un unico disegno di governo con un’impostazione organica e non più frammentata come spesso in passato.

Il PD ha contrastato i roboanti e inutili progetti di Renato Brunetta. Cosa che non possono dire altre forze politiche. Per migliorare l’amministrazione pubblica è necessario avere in testa una visione complessiva del Paese, indicare quale debba essere in questo contesto la missione della Pubblica Amministrazione, ma soprattutto affrontare questo tema con un progetto industriale. L’idea secondo la quale l’unico obiettivo della digitalizzazione è il risparmio e la riduzione dei tempi di lavoro è figlio di una visione asfittica. La digitalizzazione è l’iniziativa che serve perché la Pubblica amministrazione, migliorando la propria organizzazione e la capacità di fornire servizi efficienti, diventi uno strumento per migliorare la vita dei cittadini e insieme la competitività dell’intero sistema Italia, perché offra servizi migliori, certamente con minori sprechi e minori costi. Senza dimenticare la possibilità di una rivisitazione del welfare alla luce delle nuove esigenze delle persone. Negli anni scorsi grandi progetti e investimenti in innovazione si sono persi in mille rivoli di intervento, senza produrre i risultati previsti. Nel 1998 il governo di centrosinistra istituì il Forum dell’Innovazione, un organismo alle dipendenze della Presidenza del Consiglio che raccoglieva gli attori principali dalle imprese, agli esperti, ai professionisti, ai lavoratori e i sindacati. L’idea del coinvolgimento è importante per costruire una strategia condivisa e che unifichi gli sforzi in un progetto comune.

L’Agenzia Digitale, dipendente dalla vigilanza di 5 ministeri diversi, le appare uno strumento adeguato per supportare una politica organica?

Noi non ci siamo appassionati all’Agenzia Digitale. In Italia quando le cose non vanno si cambia il nome di organismi o si inventano strutture, invece di affrontare i problemi. Il nodo è quello di avviare un progetto di riorganizzazione della PA che tiene conto delle necessità della società moderna. L’informatica nella PA è organizzata secondo linee dei primi anni ’90, forse bisogna metterci mano. Qualche correzione alla Agenzia andrà fatta. Non servono tuttavia faraoniche riforme, servono chiari obiettivi e la possibilità di poter lavorare senza dipendere da fatti compiuti, pesanti condizionamenti di interessi. Per questo chiediamo un voto chiaro al PD e al centrosinistra.

Resistenze, lentezze, frizioni fra ministeri, gelosie territoriali hanno bloccato importanti riforme come, ad esempio, quella del documento digitale. Come pensa di farvi fronte?

A bloccare i progetti hanno concorso diversi fattori. Non dimentichiamoci che dietro ogni grande progetto di innovazione che non ha visto la luce abbiamo trovato situazioni poco chiare. La Carta d’Identità Elettronica è costata 60 milioni di sperimentazione, nemmeno un ipotetico shuttle italiano sarebbe costato tanto, e non ha prodotto molto. Dietro ai ritardi di quel progetto, varato nel 1998 dal centrosinistra, abbiamo visto interessi privati e anche pubblici, collegati al centrodestra. Noi vogliamo cambiare questo modo di fare modificando la gestione dei progetti, dando trasparenza, adottando le metodologie che si usano in altri paesi, distribuendo meglio le responsabilità affinché non ci siano alibi per nessuno se non si raggiungono i risultati. Mettendo al centro il merito.

Non sarebbe più opportuno attribuire la responsabilità della realizzazione dell’Agenda Digitale direttamente alla Presidenza del Consiglio?

Ci vuole un maggiore coordinamento delle iniziative, una maggiore determinazione a raggiungere gli obiettivi nei tempi e nei costi previsti. Si può riflettere su questa ipotesi, tuttavia il problema principale non è quello di concentrare responsabilità sotto la Presidenza del Consiglio. Come si è visto in situazioni passate, ad esempio la Protezione civile, questo da solo non risolve. Il problema non è organizzativo ma politico ed etico, il PD ci sta lavorando da anni a riportare la buona politica e l’etica nell’amministrazione della cosa pubblica. Abbiamo dimostrato di saperlo fare.

L’Agenda Digitale è rimasta senza decreti attuativi. Sarà una priorità dei primi 100 giorni del governo?

Nei primi cento giorni di governo ci troveremo addosso enormi responsabilità sul fronte sociale, del debito, della crescita. Il tema dell’Agenda Digitale lo consideriamo uno dei temi più importanti per la crescita, bisognerà partire fissando degli obiettivi più precisi e dandogli una visione più chiara. Ad esempio l’Agenda Europea si concentra molto sul tema della formazione perché quando l’economia riprenderà a “tirare” serviranno competenze tecniche aggiornate e diffuse. Questo è un tema completamente saltato nell’agenda italiana mentre credo vada fatto un intervento per formare nuove figure tecniche e mantenere aggiornati quei professionisti che sono usciti temporaneamente dal mondo del lavoro in questi anni. Sin da subito accanto ai decreti attuativi bisognerà capire se saranno necessarie integrazioni o miglioramenti.

Pensa a un cronoprogramma per monitorare la realizzazione degli obiettivi, magari puntando allo switch-off digitale della Pa?

Ogni iniziativa che faremo dovrà essere controllata nei tempi e nei costi. Nei tempi per assicurare ai cittadini i servizi e i risultati attesi, nei costi perché non possiamo più andare avanti con preventivi che puntualmente vengono stravolti o spendendo cifre enormi che non producono risultati come è stato, ad esempio, per il portale italia.it avviato dal ministro del governo Berlusconi Stanca. In quel caso abbiamo speso 80 milioni di euro per un sito internet che non è stato mai avviato. Con il governo Berlusconi abbiamo anche visto evaporare un miliardo di euro lasciati dal governo di centrosinistra dopo la gara Umts.

Lo switch-off è un bel traguardo, ma bisogna comunque garantire che chi non sa usare il computer possa accedere ai servizi, bisogna avere attenzione ai più deboli.

La Pa giocherà un ruolo fondamentale: cloud computing, consolidamento della miriade di datacenter pubblici, open government, standardizzazione; sono vie da perseguire?

Il tema dell’open government lo inserisco all’interno della riforma della PA che per noi è una priorità. Personalmente ho presentato già anni fa un ddl sulla riforma dello sportello unico delle attività produttive che è decaduto con la caduta della precedente legislatura. L’attenzione su questo tema è di vecchia data. Certo, la PA deve dotarsi delle migliori tecnologie e delle migliori competenze per svolgere al meglio il proprio lavoro. In particolare dobbiamo in parallelo portare avanti una migliore organizzazione degli uffici e dei servizi. L’informatizzazione da sola non ha mai portato riduzione di costi o miglioramenti di servizi, per ottenere risultati è necessario puntare anche sulle persone e sull’organizzazione. Dobbiamo anche riorganizzare le competenze informatiche interne. Oggi ci sono punti di eccellenza e settori nei quali tutto è esternalizzato. Bisogna ottimizzare le risorse per spendere meno soldi nella gestione e per spostare le risorse risparmiate in nuove iniziative innovative.

Uno studio del Politecnico di Milano mostra che la Pa risparmierebbe 7 miliardi l’anno passando dall’attuale 5% al 30% di e-procurement. Che effetto le fa?

Mi fa un ottimo effetto. Ricordo in questo contesto che l’istituzione di Consip è merito del primo governo Prodi e del ministro del Tesoro Ciampi. Se non vi fosse stato il berlusconismo di mezzo avremmo potuto dare ben altro impulso al paese. Questo studio dimostra quello che noi diciamo da tempo e che abbiamo intenzione di riprendere a portare avanti. All’epoca è stato un progetto all’avanguardia internazionale, eravamo i primi a fare e-procurement poi l’occasione è stata persa e oggi siamo dietro ad altri paesi europei.

Start-up, commercio elettronico, superamento del digital divide, infrastruttura per l’ultra broadband, digitalizzazione della macchina pubblica: come finanziare questi progetti?

Come dimostrano i casi della carta di identità elettronica e del portale “italia.it” il problema dei finanziamenti è solo una parte del problema. Potrei citare diverse storie di grandi progetti che non hanno visto mai la luce, ma che sono costati troppi soldi. Potrei citare il Sistri o lo scandalo di questi giorni relativo al Centro Elaborazione dati di Napoli della Polizia di Stato. Il tema centrale è dunque come gestire meglio il denaro che viene speso, oltre che la necessità di trovarne altro. Di fronte ad una bacinella bucata ci poniamo prima il problema di chiudere i buchi e poi quello di metterci acqua. La spending Review ci da l’opportunità di capire come chiudere i buchi della bacinella e di capire quante risorse e dove servono. Si parte da lì.

Andrebbe trattata con l’Unione Europea una “golden rule” per svincolare dal fiscal compact gli investimenti in innovazione?

Noi siamo per ricominciare ad investire e diciamo che sugli investimenti bisogna avviare una riflessione e una iniziativa a livello europeo. L’Europa deve prendere atto che solo un programma di investimenti serio e mirato può rimettere in moto l’economia e farci tornare a crescere. La sconfitta elettorale della Merkel di questi giorni ci dice che la vittoria dei progressisti in Europa può rendere praticabile questa prospettiva. In Italia queste posizioni le rappresenta il PD.

Semplificazione normativa e snellimento delle procedure burocratiche difficilmente si realizzeranno gli obiettivi previsti, a partire dalle reti ultrabroadband.

Qui molte cose sono state fatte ma certamente è necessario liberare le procedure burocratiche da quei vincoli eccessivi che ci possono essere. Bisogna tener conto di tutti i fattori ma bisogna evitare vincoli che blocchino gli investimenti senza motivi. Penso soprattutto alle frequenze che possono essere messe a disposizione della banda larga, compatibilmente ai limiti di potenza fissati per preservare la salute dei cittadini.

Come vede l’ipotesi di scorporo della rete di accesso di Telecom Italia con un massiccio intervento della cassa Depositi e Prestiti?

In via generale penso che le reti debbano avere un ancoraggio nazionale per consentire di muovere con più libertà il mercato dei servizi, senza necessariamente vincoli di nazionalità. Penso altresì che un’operazione di sviluppo della banda larga sia assolutamente indispensabile e i soggetti pubblici devono giocare le loro carte, anche nell’intervento diretto, per favorire una buona organizzazione di sistema piuttosto che per essere una parte in causa.

Cosa fare per incrementare la diffusione e l’uso di Internet dove siamo ancora indietro nelle classifiche europee?

Gli italiani utilizzano meno degli altri internet a casa ma poi girano molti smartphone. Si diffonde internet mano a mano che diventa uno strumento compreso e utile. Non è una gara a chi arriva prima con gli altri paesi. Dobbiamo spingere per dare servizi, applicazioni, informazioni che interessino gli utenti. Internet vuole un pubblico con un buon livello culturale e con buona formazione, noi abbiamo ancora molto da fare per recuperare il gap tra la nostra scolarizzazione e quella dei principali paesi europei. Un grande programma di diffusione di internet può essere uno degli strumenti necessari.

La Rai e la scuola devono svolgere un ruolo più marcato per la diffusione della cultura digitale e dell’uso delle tecnologie?

Si, penso che dobbiamo fare uno sforzo per portare internet ad essere uno strumento di uso quotidiano, dobbiamo fare in modo che gli italiani sappiano utilizzare il computer come il telecomando o il telefonino. Tutti gli strumenti devono essere messi in gioco a questo scopo. Non so il tempo che ci vorrà ma è importante partire prima possibile.

Cosa fare per creare un ambiente favorevole alla nascita della aziende innovative? Va usata anche la leva fiscale detassando gli investimenti in innovazione?

Quando sono stato ministro dello Sviluppo abbiamo fatto partire il programma Industria2015 come accennavo prima, un programma che individuava alcuni settori tecnologici su cui puntare ed investire. Quello che serve all’Italia sono imprese e imprenditori in grado di costruire nuovi servizi, applicazioni, prodotti che possono essere esportati fuori. Abbiamo bisogno di valorizzare questi segmenti dell’alta tecnologia in cui possiamo assumere un ruolo di leadership. Dobbiamo fare uno sforzo per immaginarci il grande paese industriale che siamo. Tutti dobbiamo creare le condizioni perché questo avvenga e gli investitori esteri abbiano fiducia nelle nostre potenzialità. Dobbiamo costruire anche le condizioni perché le nostre startup possano rimanere italiane, costruendo un possibile percorso per la loro integrazione nel sistema industriale. Il centrosinistra ha sempre pensato a meccanismi fiscali per favorire gli investimenti in innovazione. Riprenderemo questo percorso compatibilmente con il governo del bilancio dello Stato.

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