L'INTERVISTA

Capitani (NetConsulting): “Le aziende frenano l’Ict italiano”

C’è un gap fra chi investe e chi non lo fa. Resta lo scoglio Pmi

Pubblicato il 01 Nov 2012

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Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel per l’IT italiano: secondo Assinform nel 2012 il comparto registrerà un nuovo calo, pari al 4,4%, andando così a peggiorare il -3,8% già registrato nei primi sei mesi. Il valore della spesa, dunque, calerà a 8 miliardi e 426 milioni di euro, con un calo più marcato nell’hardware, giù del 7% per effetto della contrazione della spesa sia dal lato business che da quello consumer, nonostante il boom dei tablet, e meno sensibile sulle Tlc, che resistono con un calo dell’1,3%, ma che scendono – per la prima volta in 10 anni – sotto quota 20 miliardi.
Luci ed ombre anche per servizi e software: i primi perdono il 3,3%, a fronte del perdurare della crisi, che spinge le aziende a bloccare nuovi progetti e a chiedere revisioni al ribasso dei prezzi; i secondi limano lo 0,6%, con un segmento delle applicazioni sempre più maturo. Cali che potrebbero ridursi durante il prossimo anno, che sarà comunque difficile ma per cui molto dipenderà da cosa accadrà nei prossimi mesi, che il presidente di Assinform, Paolo Angelucci, ha definito “cruciali”, in cui l’Agenda Digitale del governo prenderà sempre più corpo. Ad analizzare lo scenario col Corriere delle Comunicazioni Giancarlo Capitani, presidente di NetConsulting e professore al Politecnico di Milano.


Capitani, l’IT italiano registra un nuovo calo, con una proiezione sull’intero 2012 che arriva addirittura al -4,4%. Cosa ci dice questo numero?
Intanto è un numero che esprime una media: quello che sta emergendo da vari trimestri è che c’è un gap tra aziende che investono in Ict e aziende che non investono o investono poco. Le prime sono quelle grandi o medie che operano sui mercati internazionali, e che quindi risentono solo in parte della crisi del nostro Paese. Investono non solo per migliorare la produttività interna e l’efficienza, ma anche su aree nuove come la gestione del cliente e la presenza sui mercati internazionali e quindi hanno delle performance positive e dei ritorni. Sull’altro versante abbiamo un gruppo molto vasto di pmi che ancora non hanno capito quali siano i vantaggi reali derivanti da un uso intensivo dell’Ict. Queste operano prevalentemente sul mercato interno. A prevalere, sul numero finale, è il loro peso, visto che rappresentano oltre al 90% del tessuto produttivo italiano.


E queste aziende cosa devono fare per superare questa empasse?
Innanzitutto dovrebbero aiutarsi da sé. Per loro, credo, il vero fatto nuovo può essere rappresentato dall’Agenda digitale, che sostanzialmente obbliga le imprese a digitalizzarsi in modo molto più consistente, specialmente grazie ad alcuni suoi aspetti, come l’amministrazione digitale e l’obbligo di un’identità digitale e della Pec. Questi elementi fanno pensare a quello che potrà essere l’impatto nell’accelerare il processo di digitalizzazione delle pmi, che fino ad oggi ci ha visto in posizione arretrata rispetto all’Europa.


Il governo dunque ha fatto un buon lavoro con il provvedimento?
È un lavoro significativo, ma presenta molte carenze, che vanno corrette. Il governo ha fatto un buon lavoro nella produzione di un documento: adesso bisogna prima di tutto nominare il responsabile dell’Agenzia per l’Italia digitale e Passera ha promesso che arriverà presto. Secondo bisogna darle corpo finanziandola con i fondi necessari. Dobbiamo ancora vedere cosa farà concretamente: una volta avviata, già nel 2013 potremmo vedere dei vantaggi che saranno pienamente operativi a partire dal 2014, ma già il prossimo anno sarà molto importante dal punto di vista di un nuovo processo di digitalizzazione.


Perché le imprese fanno così tanta fatica a digitalizzarsi, a fronte di un settore consumer pronto a cogliere le novità offerte dal mercato?
Sicuramente gli individui e le famiglie sono dinamici e capaci di cogliere le opportunità che arrivano dalle nuove tecnologie, con un processo spontaneo di digitalizzazione da parte della popolazione giovane. Per loro, l’ostacolo è semmai il potere d’acquisto, che è in calo, ma su questo in Italia abbiamo numeri importanti. Effettivamente, esiste una dicotomia fra il dinamismo di individui e famiglie e il conservatorismo delle pmi: è un problema culturale, con il piccolo imprenditore che ha ancora paura dell’Ict e che non ne capisce i vantaggi.


Qual è invece il ruolo della pubblica amministrazione?
La PA deve fare alcune cose: razionalizzare la propria struttura Ict, censire e aggiornare le risorse interne, rivedendo i propri processi e infine rendere interoperabili le applicazioni e costruire grandi database che siano condivisi fra amministrazione centrale e locale. Sono cose importanti e difficili, ma è ciò che va fatto.


I prossimi mesi saranno effettivamente cruciali?
Lo saranno eccome, a patto che l’Agenzia digitale e il suo direttore abbiano le idee chiare su ciò che dovrà essere fatto: non siamo di fronte a un problema tecnologico, ma di ridisegno generale del sistema.

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