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Censis, allarme privacy tra i lavoratori: “Più regole per i social”

Rapporto sul welfare aziendale in collaborazione con Eudaimon: è l’intrusione nella vita privata lo spettro più grande per i dipendenti. Per l’80% inammissibile l’utilizzo sregolato di dati in cambio di servizi gratuiti

Pubblicato il 24 Ott 2018

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Social sì anche in ambito lavorativo, ma a patto che non venga violata la privacy: è l’intrusione nella vita privata lo spettro più grande per i lavoratori italiani. Emerge dal rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale secondo cui tocca quota 60,4% la percentuale di italiani preoccupato per l’uso che i social network possono fare dei dati personali.

Per il 41,5% è la protezione della privacy il tema più scottante dell’era digitale. Conta più della manipolazione delle informazioni con le fake news (41,2%) e anche della eventuale perdita di posti di lavoro legata alla diffusione delle nuove tecnologie (10,2%).

Ma allo stesso tempo il 72% dei lavoratori non conosce ‒ o conosce appena ‒ il welfare aziendale e il 48,5% ha bisogno di aiuto per trovare informazioni adeguate quando vuole accedere ai servizi. La soluzione potrebbe essere l’avvio nelle aziende di una comunicazione personalizzata sul modello di Booking, Amazon e delle altre piattaforme web, utilizzando cioè i dati personali dei lavoratori per proporre loro servizi di welfare aziendale personalizzati in base ai bisogni specifici dei singoli lavoratori e dei loro familiari. I lavoratori rispondono di sì, a patto però che vengano fugati i loro dubbi in merito al rischio di intrusioni indesiderate nel proprio privato.

Nonostante si riconosca che i gestori delle piattaforme online stanno adottando misure di sicurezza a tutela della privacy, gli intervistati ritengono che servano regole certe, trasparenti e concretamente applicabili. Il 79,2% vuole che le autorità introducano una regolamentazione più efficace per evitare intrusioni nella vita privata delle persone. Il 35,2% ritiene utile l’uso dei dati in cambio di servizi personalizzati (tra i millennials il 41%) contro l’80% che giudica ingiusto lo sfruttamento non regolato dei dati personali anche se si ottengono in cambio servizi gratuiti. In sintesi: la privacy vale più di qualsiasi vantaggio in termini di servizi personalizzati.

Anche i lavoratori millennials difendono la privacy. Il 52,9% di loro si dice preoccupato per l’uso dei dati personali da parte dei social network. Se la manipolazione delle informazioni (41,8%) è al vertice della loro graduatoria dei problemi dell’era digitale, segue a ridosso la protezione della privacy (39,5%). Più di tre quarti (il 75,8%) chiedono regole certe dalle autorità e altrettanti (il 75,2%) reputano ingiusto lo sfruttamento non autorizzato dei dati personali anche se in cambio si ottengono servizi gratuiti. L’attivazione nelle aziende in futuro di comunicazioni e servizi personalizzati basati sulla gestione dei dati personali dei lavoratori richiederà quindi regole precise e un’alta professionalità da parte dei gestori dei dati.

Dati personali per il welfare aziendale? Solo se gestiti da provider ad alta reputazione sociale. Decisiva, in questo senso, la reputazione di chi lo produce e gestisce. “Nelle aziende va garantita ai collaboratori una customer experience soddisfacente, che faciliti l’accesso ai servizi di welfare, favorisca scelte informate e fidelizzi l’utente – ha detto Alberto Perfumo, Amministratore Delegato di Eudaimon -. La tecnologia offre nuovi strumenti per farlo, che le aziende utilizzano con i loro clienti. Nel rispetto della privacy e della fiducia accordata dai lavoratori, è importante che le imprese lo facciano anche con le loro persone”.

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