SCENARI

Chip: le legge di Moore non vale più

Oggi la teoria coniata nel 1965 il risparmio energetico batte la potenza. E nella trentennale lotta fra Intel e Amd si fa strada la britannica Arm

Pubblicato il 27 Nov 2012

Antonio Dini

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Lo insegnano persino a scuola: i transistor di un processore raddoppiano ogni due anni circa e quindi anche le performance dei pc raddoppiano mentre il loro prezzo tende a calare. È la legge di Moore.
Formalizzata nel 1965 dal cofondatore di Intel Gordon Moore e in teoria destinata a rimanere in vigore fino al 2020, è come la forza di gravità: una costante che nessuno ha messo in dubbio per quasi 50 anni. Adesso però, per la prima volta è messa seriamente in discussione perché emergono nuovi bisogni: su tutti, il risparmio energetico.
Per capire serve valutare la posta in palio: il mercato dei processori per server vale 10 miliardi di dollari, quello dei pc 31 miliardi e quello dei tablet 5 miliardi, secondo stime di Linley Group riferite all’intero 2012. L’unico a crescere è il mercato dei tablet.
Finora la legge di Moore ha dettato il ritmo delle vendite di pc e server e anche quello con cui i consumatori pianificano gli acquisti. Ha reso dunque prevedibile il mercato.


A mettere in crisi una legge che sembrava immutabile “sono entrati in gioco nuovi fattori, sempre più importanti rispetto alla potenza dei processori”, spiega Massimo Santini, docente di informatica dell’università di Milano. Uno su tutti è il consumo energetico: metà della potenza che alimenta una sala server è necessaria per dissipare il calore generato dai processori. E poi la portabilità: nel mercato consumer e aziendale la richiesta è quella di processori a basso consumo per lunga autonomia. Tant’è vero che nella trentennale lotta tra Intel e Amd (in fortissima crisi e a rischio scalata), sta emergendo Arm, l’azienda britannica che fornisce gli schemi di produzione dei processori usati da Apple e Samsung, leader nel settore dei tablet. “Intel ci ha provato con i processori Atom a basso consumo – dice Gene Munster di Piper Jaffray – ma per i tablet il futuro è ancora saldamente nelle mani di Arm”.


Warren East, ceo di Arm, non potrebbe essere più d’accordo, come ha detto anche al Technology Review del Mit di Boston: “Ci siamo sempre preoccupati dell’efficienza: del consumo anziché della velocità di punta. È quel che conta e il settore dei tablet è un buon esempio perché la batteria è un perfetto indicatore dei limiti dei dispositivi”. Se n’è accorta anche Microsoft, che ha scelto di realizzare una versione di Windows 8, la RT, per quel tipo di processori e ha lanciato un tablet Surface con processore britannico a bordo (prodotto su licenza in Asia) anziché americano. Nelle future architetture di processori conterà la tipologia di componenti anziché la potenza, come nel caso dei Soc (system on a chip) che cercano di integrare su un unico chip le funzioni hardware degli smartphone.


“La vera rivoluzione ci sarà quando Arm arriverà nel mercato pc e server”, sostiene Santini. Già oggi ci sono server a basso o bassissimo consumo basati sulla velocità di input/output anziché sulla potenza di calcolo, e pc portatili a lunghissima autonomia. “Senza contare – aggiunge Munster – che come hanno dimostrato Apple con iOS e Google con Android, è il sistema operativo ad adattarsi ai nuovi processori, sfruttandoli di più e meglio”. In questo modo il gap di velocità con le architetture da pc tradizionale tende a scomparire senza bisogno di raddoppiare i transistor ogni 24 mesi. Con buona pace della legge di Moore. Anche Intel, primo fornitore di Cpu per pc, ha dovuto fare i conti con la sua stessa legge. Per riuscire ad accelerare il mercato oltre i limiti dei 24 mesi (o 18, secondo versioni successive) ha battezzato nel 2007 la strategia “tick-tock”: negli anni pari viene presentata una nuova generazione di processori e in quelli dispari viene diminuita la dimensione fisica del chip, rispettando così la legge di Moore e al tempo stesso imprimendo un ritmo maggiore alle vendite sul mercato.

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