INVESTIMENTI

Microsoft finanzia Uber, e la “startup” vola a 50 miliardi di dollari

Ci sarebbe anche la società capitanata da Nadella fra i sostenitori della raccolta fondi da un miliardo. Dietro l’operazione il “presidio” del mercato dell’on demand

Pubblicato il 03 Ago 2015

Domenico Aliperto

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Ci sarebbe persino Microsoft tra gli investitori che hanno dato vita alla raccolta fondi record da un miliardo di dollari registrata da Uber. Un’operazione che porta la startup californiana (fondata non più di cinque anni fa, lo ricordiamo) specializzata nel car sharing allo stratosferico valore di oltre 50 miliardi dollari. E se a qualcuno può sembrare strano che la società di Nadella si sia fatta coinvolgere (il Wall Street Journal lo dà per assodato, mentre Bloomberg parla di semplice valutazione) in un business così lontano dall’attuale focus di Redmond – le soluzioni per la produttività – basta in realtà considerare l’interesse di Microsoft a contrastare Google nel crescente mercato dell’on demand, proprio ora che i rapporti tra Mountain View e Uber paiono essersi raffreddati.

Nel 2013 Google Ventures aveva infatti puntato 250 milioni di dollari su Uber, che però, per cominciare a sviluppare le proprie self driving cars ha preferito ripiegare sui laboratori di intelligenza artificiale dell’università Carnegie Mellon, mettendosi in diretta competizione con Big G. Ma la liason con Microsoft ha anche un paio di precedenti: Uber ha preso parte all’ultimo evento Build presentando un’integrazione tra Outlook e la propria piattaforma per permettere di prenotare un’auto direttamente dal calendario del servizio mail. E a giugno ha acquistato la tecnologia di street mapping di Bing, assumendo un centinaio di collaboratori di Redmond. Comunque stiano le cose, per il momento, Microsoft rifiuta di commentare la notizia.

Quel che è dato per assodato è che ora Uber, grazie ai nuovi investitori ha alle spalle risorse per cinque miliardi di dollari e, come detto, un valore sul mercato di circa 50 miliardi, eguagliando il record, sul piano delle startup private, precedentemente stabilito da Facebook (entrata in borsa nel 2012 e quotata ora per 267 miliardi). La differenza non lieve con la performance della società di Zuckerberg è che mentre il social network raggiungeva i 50 miliardi di valore avendo alle spalle due miliardi di dollari di fatturato, al momento Uber conta su “appena” 400 milioni di dollari di revenue, con l’obiettivo di raggiungere i due miliardi nel corso del 2015.

Del resto un’accelerazione tanto prorompente non è appannaggio della sola Uber: l’indice del Nasdaq è praticamente raddoppiato rispetto a gennaio 2011 e nella prima metà del 2015 107 imprese del comparto hanno raccolto investimenti per più di 100 milioni di dollari sbriciolando la soglie dei 56 milioni racimolati nel 2014. Uber comunque è balzata in testa alla classifica delle 104 startup sostenute da venture capital di valore superiore al miliardo di dollari, superando il produttore di handset cinese Xiaomi. All’inizio del 2015 Uber si trovava al 77esimo posto, secondo i dati del Dow Jones Venture Source.

Lo scopo del ceo Travis Kalanick adesso è aumentare l’appeal del gruppo presso gli investitori esteri per rafforzare l’imminente campagna di investimenti nei mercati emergenti. Uber è attualmente attiva in oltre 300 città in tutto il mondo, ma rendere il business profittevole significa mettere insieme una massa critica di guidatori in ciascuna delle aree urbane. Una delle sfide più importanti è quella in India, dove il servizio ha subito una brusca frenata in seguito alla denuncia di un’utente, che ha accusato un autista di Uber di averla stuprata. Il caso ora è al vaglio del tribunale e non è ancora possibile capire quali ripercussioni ci saranno sulla subsidiary nel medio termine, ma la società ha già annunciato di voler investire un miliardo di dollari nel Subcontinente da qui a nove mesi. E sarebbe per questo che nell’ultimo round di raccolta fondi puntuale è arrivato il sostegno del colosso indiano dei media, Bennett, Coleman & Co.

Altra regione strategica è quella del Far East, dove la concorrenza con Didi Kauidi (che offre un servizio analogo ed è supportata da Alibaba e Tencent) si fa sempre più dura. Uber, dal canto suo, ha ricevuto l’anno scorso 600 milioni di dollari da Baidu, il Google cinese. Ma non basta: nell’ex Celeste Impero la caccia agli investimenti locali è più che mai aperta.

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