ISTITUTO ITALIANO PRIVACY

Diritto all’oblio, Bolognini: “Sentenza Ue non al passo con l’evoluzione tecnologica”

L’Istituto italiano per la Privacy scettico sul provvedimento della Corte di Giustizia. Il presidente: “Tema sensbile che non si può affrontare basandosi su una direttiva del 1995 quando il Web non esisteva”

Pubblicato il 14 Mag 2014

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L’Istituto Italiano per la Privacy manifesta scetticismo sulla sentenza della Corte di Giustizia sul diritto all’oblio, relativa al caso Google Spain vs Agencia Española de Protección de Datos (Aepd) e Mario Costeja González.

“Sul diritto all’oblio, ci sembra che il nostro Garante Privacy italiano abbia fatto molto meglio della Corte di Giustizia – dice il presidente Luca Bolognini – Da anni, porta avanti un’interpretazione ragionevole che pone gli oneri di cancellazione o modifica dei dati pubblicati sul web a carico dei content provider, come gli editori di giornali, perché sono loro – per loro scopi del tutto legittimi – a diffondere i dati in internet. Fatto sta che nell’interpretazione della Corte, un motore di ricerca – che è un mero sistema di indicizzazione/consultazione di contenuti – diventa titolare del trattamento dei dati delle persone di cui i siti pubblicano i dati e come tale deve rispondere alle richieste di cancellazione degli interessati. Questo ci sembra parossistico”.

Per Bolognini “il tema del diritto all’oblio è cruciale e merita sicuramente un grande sforzo di adeguamento legislativo, ma a nostro avviso non può essere affrontato piegando alle esigenze e alle urgenze del 2014 una direttiva scritta nel 1995, quando internet era agli albori e i motori di ricerca nemmeno esistevano”.

“Di più, la Corte pare applicare una inedita divaricazione di discipline – quasi due pesi e due misure giuridiche – rispetto all’interesse pubblico astratto comportato da un’informazione (ad esempio una notizia pubblicata sul sito di un editore) e all’interesse legittimo dell’utente (noi non avremmo tema di definirlo diritto, anche alla luce dell’articolo 10 della Cedu) all’accesso concreto all’informazione nell’era digitale. L’interesse pubblico astratto alla notizia finisce, nella ricostruzione interpretativa della Corte, per pesare di più dell’accesso concreto ad essa, mediante motore di ricerca. Tutto questo non ci pare al passo coi tempi e con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. C’è da aspettarsi, e probabilmente da auspicare, che sul punto si esprima presto anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.

La Corte Ue ha stabilito che il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”.

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