IL FOCUS

E-commerce, la scomparsa degli incentivi

Cambio di rotta rispetto al decreto Crescita 2.0. Al ministero si lavora non per distribuire fondi, ma per aiutare la formazione digitale delle aziende e il loro sbarco commerciale sul web. Giuseppe Tripoli (Sviluppo economico): “Soprattutto per le Pmi fondamentali le reti d’impresa”

Pubblicato il 11 Nov 2013

Alessandro Longo

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Non è che il Governo si sia dimenticato dell’e-commerce. Non totalmente, almeno. Se ne sta occupando, sì, ma in maniera laterale. Un po’ perché per ora le risorse sono quelle che sono (le poche disponibili per l’Agenda digitale sono focalizzate su altri temi) e un po’ perché presso il Governo e gli addetti ai lavori sta maturando una consapevolezza: che non hanno senso incentivi diretti alla nascita di siti e-commerce italiani. Meglio piuttosto sostenere la formazione digitale delle imprese e il loro sbarco nei portali di aggregazione dell’e-commerce.
Il clima che si respira al ministero dello Sviluppo economico, su questi temi, è comunque abbastanza rilassato: si lavora sul lungo periodo, senza urgenze.

“Stiamo agendo su quattro fronti, nell’ambito e-commerce, intendendo questo termine in modo più o meno ampio”, spiega al Corriere delle Comunicazioni Giuseppe Tripoli che se ne occupa fin dai tempi del Governo Monti e della famosa “Cabina di Regia” per l’Agenda digitale.
Come si ricorderà, quella Cabina aveva partorito un’idea rimasta nella bozza del decreto Crescita 2.0 e poi rimossa nel testo finale: incentivi fiscali sul fatturato aggiuntivo che le aziende ottengono grazie all’e-commerce. “Stiamo ancora lavorando sulla fattibilità di questi incentivi, che riguarderebbero in particolare i fatturati aggiuntivi nell’export tramite e-commerce. Un’altra possibilità sono voucher o incentivi sugli investimenti necessari a sbarcare sui portali di e-commerce attuali o futuri – dice Tripoli -. Sono misure che sono state bloccate, ai tempi della Cabina di Regia, per mancanza di copertura finanziaria. Il problema delle risorse ancora c’è, ma stiamo vedendo se possiamo superarlo”. Tempi e modalità sono ancora incerti.

Questo è il primo fronte su cui lavora il ministero. Il secondo: “Stiamo monitorando le nuove forme di digitale che stanno rinnovando i rapporti tra imprese. È un tema che in modo obliquo rientra nel campo dell’e-commerce business to business”.
“Nascono reti di imprese che, attraverso piattaforme digitali, collaborano per collegare pezzi diversi di produzione – dice Tripoli -. Per esempio, un numero crescente di piccole e medie imprese fanno oggetti di design come lampade o parti di veicoli, come sellini di moto, personalizzandoli con le richieste dei consumatori. Ci riescono perché collaborano con altre aziende specializzate in stampanti tridimensionali, che sono in grado di realizzare prodotti su misura”.

In questo ambito il ministero si sta limitando per ora a un ruolo di studio e analisi. È più partecipe, anche se ancora in modo indiretto, nel terzo campo: “Teniamo le fila di iniziative gestite da terzi per sviluppare il commercio elettronico. Tre iniziative, in particolare: per lo sviluppo di distretti industriali dotati di banda larga sufficiente al business, per la formazione delle imprese e per la diffusione del bollino blu Netcomm che garantisce l’affidabilità di un sito e-commerce”. Significa che il ministero aiuta e supporta in vario modo per la buona riuscita delle iniziative. Per esempio, le mette in contatto con università e aziende private disposte a fare formazione.

Quarto punto, “lavoriamo con Banca d’Italia e con il ministero dell’Economia e delle Finanze per un decreto attuativo, ormai prossimo: quello che rivedrà le commissioni bancarie per i pagamenti elettronici”.
È un decreto previsto dalla norma del Crescita 2.0 secondo la quale a partire dal 2014 tutti gli esercizi devono permettere di pagare con moneta elettronica. L’idea è che così viene incentivata l’abitudine a usare le carte di credito e di conseguenza anche l’e-commerce. “Il decreto indicherà come calcolare le commissioni, con quali indici, e obbligherà gli operatori a renderle più trasparenti. Favorirà inoltre commissioni ridotte per le piccole transazioni”, aggiunge Tripoli.

“Bene che il Governo abbia rinunciato a incentivare la costruzione di siti per l’e-commerce. È una falsa idea che questa misura possa servire all’economia italiana”, commenta Alessandro Perego, degli Osservatori Ict del Politecnico di Milano. “Primo, perché il 95 per cento dell’export italiano è business to business e per sostenerlo non servono certo siti e-commerce; bensì bisogna promuovere la crescita delle relazioni digitali tra imprese e cioè la fatturazione elettronica”. “Ma anche per la vendita e-commerce all’utente finale, la via da seguire sono gli incentivi fiscali alle aziende che sbarcano su portali internazionali, come eBay, Amazon. O su quelli cinesi, per chi vuole vendere in Cina”.

“Il Governo dovrebbe prevedere anche incentivi per progetti di formazione e comunicazione digitale delle imprese. È questo il modo più realistico per sostenere l’e-commerce – aggiunge Perego -. Non è il caso invece di varare un’Iva agevolata per le vendite online. I negozianti tradizionali lo vedrebbero come concorrenza sleale, per altro a vantaggio anche delle multinazionali del web”, continua.
Ma anche con questa focalizzazione degli interventi per l’e-commerce, resta intatto il dubbio dell’anno scorso: se mai il Governo vorrà e potrà trovare le risorse necessarie.

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