Giacomelli: “Tempi certi per realizzare le reti ultrabroadband. Ci mettiamo la faccia”

Il sottosegretario alle Comunicazioni a CorCom: “Entro fine anno partiranno i primi bandi: legalità e occupazione saranno la nostra bussola”

Pubblicato il 25 Set 2015

Federica Meta

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Un piano che farà fare, finalmente, al Paese la tanto attesa svolta digitale. Non ha dubbi il sottosegretario alle Comunicazioni , Antonello Giacomelli, che spiega a CorCom quali saranno i passi per realizzare gli obiettivi del programma.

Il piano del governo prevede, in prospettiva, la mobilitazione di 12 miliardi. Oltre i 2,2 mld già stanziati dal Cipe ci sono i 2,1 delle Regioni. Come e in che tempi verranno reperiti gli altri fondi?

Sinceramente la domanda un po’ mi stupisce. Credo che nessun governo in passato abbia investito così tante risorse pubbliche sulle reti di tlc e già si chiede quando saranno stanziate ulteriori risorse. Nel primo anno del piano, il 2015, già sono state sbloccati dalla delibera Cipe 2,2 miliardi dei 5 complessivi che il governo stanzierà da qui al 2020, cui vanno aggiunti i fondi europei gestiti dalle Regioni: come bilancio del primo anno non mi lamenterei. Dopo gli apprezzamenti un po’ di tutti per il Piano strategico presentato a marzo era importante dare il segnale che il governo mantiene la parola data e pone la digitalizzazione del paese tra i suoi obiettivi primari. Tra l’altro nella delibera Cipe è stato messo per iscritto l’importo complessivo del piano pubblico. Infine, ricordo che da subito il governo ha detto che, senza il concorso dei privati, gli obiettivi del piano (30 Mbps per tutti e 100 Mbps per un cittadino su due) restano difficili da raggiungere. Ma i segnali che arrivano dalla consultazione con gli operatori sono positivi.

Come verranno utilizzati i fondi, tenuto conto che la Ue chiede che l’80% venga dirottato al Sud?

Alla consultazione hanno partecipato 30 operatori, molti di più rispetto ai 7 del 2014. I dati ufficiali saranno presentati insieme con il progetto di aiuto pubblico che sarà messo in consultazione per 45 giorni. Quello che si può dire, per ora, è che esiste una spinta nuova agli investimenti sull’Ftth, con la fibra direttamente in casa o al building, ma concentrata nelle aree nere o grigie già conosciute. Di qui la decisione del governo di investire nelle aree relative ai cluster C e D. Se lasciassimo fare al mercato avremmo inevitabilmente un paese a due velocità: così invece possiamo scommettere che non solo recuperiamo il ritardo digitale rispetto al resto d’Europa ma possiamo diventare l’alunno modello. Già ad agosto, dopo l’approvazione della delibera Cipe, abbiamo scritto a tutte le Regioni per richiamare l’importanza della partenza del piano e la necessità di coordinare gli interventi con il governo: non credo ci saranno particolari problemi a gestire i fondi con le regioni. L’importante è che tutti, anche i privati, abbiano condiviso la spinta a recuperare il gap che ci vede tra gli ultimi in Europa. In questo senso mi sembra che sulla banda ultralarga il paese abbia voltato pagina.

Passiamo ai bandi. Come intendete strutturarli, anche per garantire un’apertura di mercato la più ampia possibile, dato che negli ultimi ha partecipato solo Telecom?

I primi bandi partiranno entro fine anno. Il governo, attraverso Infratel, fa i bandi, non sta al governo decidere chi deve partecipare o, tanto meno, chi deve vincere. Ricordo che i modelli di intervento sono tre: a incentivo, con intervento diretto oppure in partnership pubblico-privata. La novità importante è il Protocollo per la legalità e l’occupazione che abbiamo firmato al Mise con Infratel, Asstel e le imprese di telecomunicazione e i sindacati di categoria: le aziende si impegnano a contrastare il lavoro nero attraverso meccanismi di informazione e trasparenza anche sui sub-appalti. La dimostrazione che il Piano banda ultralarga è davvero un progetto-paese. Telecom? Posso dire che dopo qualche incomprensione iniziale i rapporti sono buoni: ho pubblicamente apprezzato il piano che l’azienda ha presentato che, per la prima volta, punta anche sul modello Ftth e in modo non residuale. La direzione è quella.

Una parte delle risorse del piano è a sostegno della domanda: penso ai voucher e al credito di imposta. Lei ha detto che c’è la possibilità di inserirli nella prossima legge di stabilità. Ma gli incentivi saranno solo per la banda ultralarga?

I voucher sono previsti dal piano ma serve una norma primaria per poterli introdurre: non so se sarà la legge di stabilità, la possibilità tecnica esiste, vedremo. Però abbiamo sempre detto che i voucher sono pensati per spingere le famiglie all’upgrade da 30 a 100 Mbps, quindi non ha senso finanziarli prima che esistano le reti adatte. Ma certo la questione dell’attivazione dei servizi è fondamentale. Sul credito d’imposta il nodo è un po’ diverso: stiamo valutando se sia possibile inserirlo senza una norma primaria.

Enel è entranta nella partita Ngn. Come può agire il governo per creare sinergie con i player Tlc e garantire la concorrenza?

Sono stato tra i primi a salutare la decisione di Enel di portare la fibra nelle case di 33 milioni di italiani nei prossimi tre anni come una novità potenzialmente dirompente. Non ho mai pensato che l’azienda volesse sostituirsi alle società di telecomunicazioni come invece qualcuno temeva. Il ruolo di Enel nel piano della banda ultralarga è confermato e sarà decisivo per abbattere i costi e alzare gli obiettivi. Stiamo attenti a non procedere in ordine sparso. Da tempo c’è l’ idea di promuovere un incontro con tutti i soggetti interessati per rendere chiaro il ruolo e le caratteristiche del piano che lancerà a partire dal 2016. Tra l’altro, grazie a una norma sulla posa aerea introdotta da questo governo, Enel potrà ulteriormente abbattere i costi di posa della fibra, non tanto nei centri urbani quanto nelle aree rurali e periferiche.

È tornata alla ribalta la web tax: Renzi ha detto che nel 2017 ci potrebbe essere un intervento in questo senso. Lei che idea si è fatto?

Il presidente del Consiglio ha ricordato che l’Italia confida in un’armonizzazione fiscale a livello europeo anche sugli Over-the-top. L’abbiamo chiesta, senza successo, nel Semestre di presidenza europeo: quella resta la strada maestra. Ricordo, però, che dal 1 gennaio 2015 l’Iva anche sui servizi online si paga sul paese di destinazione. Non è un caso che Amazon abbia aperto da quest’anno una sede fiscale in Italia. Netflix, per dire, sugli abbonamenti sottoscritti dagli utenti italiani pagherà l’Iva qui. Da lì si può facilmente risalire al volume di affari generato in ogni paese. L’importante è non criminalizzare gli Over the top: dobbiamo attirare investimenti stranieri in Italia, non farli fuggire.

La Commissione Europea sta lavorando alla strutturazione del mercato unico digitale. Che ruolo può giocare l’Italia? E quali sono i settori più “sensibili”, a suo avviso?

La Commissione Ue si è data due anni per completare le 16 azioni del pacchetto Digital Single Market. La posizione del governo italiano è chiara: anche durante il Semestre abbiamo spinto per un’integrazione sempre più profonda del mercato digitale e a marzo abbiamo pubblicato un Position paper, poi inviato a Bruxelles, scritto con la collaborazione di tutti i ministeri. Le stime Cisco dicono che già nei prossimi anni il 70-80% del traffico online sarà dovuto a contenuti audiovisivi. A differenza degli Stati Uniti il mercato Ue è solo all’inizio della curva della crescita. Il tema è: il mercato unico digitale favorirà solo gli Ott oppure c’è spazio anche per piattaforme europee? E ancora, come possiamo rendere il mercato dell’audiovisivo italiano più internazionale? L’eccezione culturale non basta. Il digitale rappresenta una grande occasione: l’importante è fornire alle aziende europee gli strumenti per innovare, competere e crescere: è su questo terreno che si vince la partita del futuro. Come governo riteniamo decisiva una revisione profonda della direttiva Media, da coordinare con la revisione di quella sul copyright e quella sull’E-commerce. Però il Mercato unico digitale non può valere solo sul lato prodotto, ma deve imporsi anche su quello piattaforme: è necessaria l’interoperabilità delle piattaforme. Anche su questo tema mi aspetto un’iniziativa della Commissione Europea.

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