SCELTE AZIENDALI

Google & Co., i merger si decidono con il “test dello spazzolino”

Quante volte sarà utilizzato quel prodotto che sta per essere acquisito a suon di miliardi? Una, due al giorno? E’ il “toothbrush test” cui le multinazionali dell’hitech sottopongono le ipotesi di acquisizione. Per gli advisor delle banche un ruolo sempre più marginale

Pubblicato il 18 Ago 2014

Martino Galliolo

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Cosa fanno Google, Apple, e i gli altri Big della Silicon Valley, prima di fare un’acquisizione miliardaria? Una cosa fondamentale: il test dello spazzolino da denti. Senza di quello, non si va più da nessuna parte. Il Ceo di Google Larry Page, prima di un acquisto pensa se quella cosa “si utilizzerà una o due volte al giorno”, come si dovrebbe fare con lo spazzolino. E se questa cosa, renderà anche la vita delle persone migliore di prima. Il criterio, che di certo esula dalle misure tradizionali, non si basa su valutazioni della società da acquisire, flussi di cassa e stime di vendita. Prima delle acquisizioni, Page e gli altri pensano prima allo spazzolino, come una metafora del guadagno sul lungo periodo. Non si concentrano, sui guadagni a breve termine. “Il test dello spazzolino, evidenzia la crescente autonomia e l’indipendenza dei grandi gruppi acquirenti della Silicon Valley“, scrive David Gelles sul New York Times. “E’ da rilevare il ruolo marginale delle banche nel boom delle acquisizioni tecnologiche” sottolinea il giornalista. “Perché è diventata più una questione di visione e cultura, che di guadagni ed entrate”.

Questo punto di vista, è significativo perché fa notare come le grandi imprese tech, hanno abbandonato gli advisor delle banche per fare molto di più da sole. Aziende come Google, Facebook e Cisco System, hanno sviluppato dei team di analisti interni, piuttosto che affidarsi ai banchieri di Wall Street.

Hamilton Romanski, a capo dello sviluppo aziendale di Cisco, arriva dalla J.P Morgan. Facebook, ha assunto una squadra di ex banchieri e analisti che lavoravano a Credit Suisse e Jeferries. “E’ lo stesso Larry Page in persona, che analizza le potenziali offerte già in fase di sviluppo. Le osserviamo da almeno due anni prima dell’acquisizione” spiega Donald Harrison, il vice presidente dello sviluppo aziendale di Google. “Le banche possono essere utili in fasi del genera – aggiunge – ma non sono indispensabili per le discussioni”.

Quando Apple ha comprato Beats Electronics, la startup che produce sistemi e cuffie audio, per 3 miliardi di dollari non ha fatto ricorso a consulenti del credito. Lo stesso vale per l’acquisto di Facebook di Oculus Rift, l’azienda che produce visori per la realtà virtuale. La stessa strategia di Google, quando ha comprato per un miliardo di dollari la società di gelocalizzazione Waze. Senza dimenticare che in giugno, Oracle ha speso 5 miliardi di dollari per comprare la Micros System, con le stesse modalità: nessuna banca di investimento è stata coinvolta.

La diminuzione della dipendenza dal credito delle banche, fa notare Gelles, coincide con un boom degli accordi e delle acquisizioni tecnologiche. Un mercato, quest’anno, da 100 miliardi di dollari, secondo le stime di Dealogic.

Il motivo della distanza che si è creata tra le banche e le imprese tech, quando è in corso una partita miliardaria, è “semplicemente che tra molti dirigenti tecnologici c’è la netta sensazione, che gli istituti di credito non sanno cosa vogliono le società come Facebook e Google”.

“I banchieri fanno due cose: la valutazione finanziaria e di negoziazione, molte banche di investimento non riescano a valutare però la fase iniziale delle startup tech” ha spiegato al New York Times, Richard Climan, dello studio legale Weil, Gotshal & Manges.

Amin Zoufonoun, vicepresidente allo sviluppo aziendale di Facebook, chiarisce bene la situazione, raccontando di come alcune banche di investimento avevano consigliato al gigante di Menlo Park, di muoversi per acquistare PayPal o il sito di recensioni Yelp.Facebook non vuole ingoiare dei marchi già affermati di Internet – spiega Zoufonoun – e utilizza le acquisizioni per fare scommesse sul futuro”. Per esempio, è stata molto più vincente avere una buona rete di conoscenze nella Silicon Valley. Marc Andreessen è un membro del consiglio di Facebook e faceva parte anche del consiglio di Oculus Vr, così è nato l’accordo tra le società. E questa mossa, non ha niente a che fare con il migliorare il sito del social network o di aumentare gli iscritti. “E’ stata una scommessa, sulla realtà virtuale che per noi, diventerà un nuovo sistema operativo emergente” spiega il manager di Facebook.

Marc Zuckerberg aveva stretto amicizie con i dirigenti di Instagram e WhatsApp prima dell’acquisizione. Proprio il caso dell’app di messaggistica, acquisita per 19 miliardi di dollari da Facebook, è piuttosto simbolico perché è stato assistito solo da una banca, la Allen & Company. E Zuckerberg ha trovato non poche difficoltà a far capire il valore di un accordo simile, a dispetto dei ricavi minuscoli e del piccolo team di ingegneri di Wahtsapp.

La stessa dinamica vale per l’acquisizione di Nest, da parte di Google per 3,2 miliardi di dollari, che ha consultato l’advisor finanziario Lazard. Le vendite di Nest sono però sono una goccia nel mare, ma l’acquisto dei dispositivi per la casa domotica ha permesso a Big G di fare un salto nel mercato dell’Internet of Things.

Di certo, non tutte le acquisizioni vanno bene, ce ne sono state di spericolate come quella in cui Google ha speso 228 milioni di dollari per una società di mobile game che poi ha tolto dal mercato. Le tech company, sottolineano che i buoni rapporti con le banche non sono mai cambiati ma soltanto vengono usate per altri scopi ed occasioni.

Ancora una volta “è una questione di cultura aziendale, perché non si tratta solo di concludere un affare ma di fare integrare due aziende e da questo dipende il successo o il fallimento dell’intera operazione” ha detto Zoufonoun.

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