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Google, ecco perché non comprò Spotify

Il costo eccessivo e lo “scarso entusiasmo” del ceo Larry Page alla base del fallimento delle trattative nel 2013

Pubblicato il 23 Lug 2014

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Costo eccessivo e “scarso entusiasmo per i servizi di intrattenimento con abbonati” mostrato da Larry Page, attuale amministratore delegato di Google. Queste le motivazioni che nel 2013 avrebbero spinto il colosso di Mountain View ad interrompere le trattative per l’acquisizione di Spotify, il più popolare servizio di musica in streaming. A rivelarlo è il Wall Street Journal, che cita alcune fonti secondo le quali Susan Wojcicki, amministratore delegato di YouTube, sarebbe stata una grande sostenitrice dell’eventuale accordo. Interpellate dal quotidiano newyorkese in merito alla notizia, entrambe le società si sono trincerate dietro il classico “no comment”.

Da parte sua Spotify, start up fondata nel 2006 e lanciata due anni dopo dagli svedesi Daniel Ek e Martin Lorentzon, propone un servizio in streaming di musica su computer, telefono e tablet che ha colpito in senso positivo il cuore (e il portafogli) dei consumatori: attualmente, infatti, 10 milioni di abbonati pagano 9,99 euro (dollari o sterline) al mese per ascoltare senza alcun limite oltre 30 milioni di canzoni, mentre altri 30 milioni di utenti accedono ai brani in modo gratuito (con alcune limitazioni, comprese le interruzioni pubblicitarie). Dunque, conti alla mano, Spotify può contare su 40 milioni di utenti distribuiti in 56 paesi (tra i quali c’è l’Italia); lo scorso anno, la società ha raccolto fondi sulla base di una valutazione di 4 miliardi di dollari, ma – secondo quanto riporta il Wall Street Journal – avrebbe cercato di ottenere un prezzo d’acquisto superiore a 10 miliardi di dollari.

Da parte sua, Google può contare su un proprio servizio di musica online, Google Play Music (l’Ifpi, International Federation Phonographic Industry, lo ha definito come il provider musicale a pagamento più in crescita nel 2013), che ha appena esteso a sei nuovi paesi: Bolivia, Cile, Costa Rica, Perù, Colombia e Ucraina. Ma il colosso statunitense non ha alcuna intenzione di porsi dei paletti in questo settore – il “contatto” con i vertici di Spotify non sarebbe un caso isolato – e lo dimostra la recente acquisizione della startup Songza, un’operazione conclusa con l’obiettivo di integrare le sue playlist in Google Play Music, così da migliorare ulteriormente la funzione radio e l’algoritmo che regola la riproduzione musicale.

Lanciato nel 2007, Songza è un servizio di radio in streaming che chiede agli utenti di selezionare il proprio umore o il genere musicale preferito, per restituire anche in base al momento della giornata – e attraverso la consulenza di dj e giornalisti – la playlist più adatta.

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