LO STUDIO

I big data “tornano” in azienda

L’Oracle Next Generation Data Centre registra un’inversione di tendenza rispetto agli anni passati: aumenta il numero di imprese che torna ai server in house. Obiettivo: rendere più agevole allineare le funzioni IT e business

Pubblicato il 21 Feb 2013

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La gestione dei dati “torna” in azienda. A dirlo l’Oracle Next Generation Data Centre che rivela un’inversione di tendenza rispetto agli anni passati: le imprese stanno infatti muovendosi per riportare i dati al proprio interno, nei data centre in-house. E il fenomeno riguarda anche il nostro paese. Secondo lo studio, nonostante l’Italia si trovi ancora in basso nella classifica generale Emea (ottava posizione su dieci, con un punteggio di 4,91), le imprese che hanno reinternalizzato hanno registrato risultati relativamente migliori rispetto a quelli ottenuti dalle aziende intervistate di altre nazioni facenti parte dell’Eurozona, con valori nel complesso incoraggianti. Analizzando la ricerca nel dettaglio, infatti, emerge che sono numerose le aree nelle quali sono stati compiuti progressi piccoli ma significativi, e vi sono elementi che lasciano intendere importanti miglioramenti sul fronte dell’allineamento tra funzioni IT e business.

Negli altri Paesi dell’Eurozona la questione dell’allineamento tra business e IT ha costituito un problema, registrando avanzamenti praticamente nulli (Germania/Svizzera) se non addirittura perdite di terreno (Benelux, Penisola Iberica, Francia). In Italia il sotto-indice di Supporto al Business è cresciuto da 4,74 della precedente ricerca a 4,83 attuale. Questo indice rappresenta un indicatore essenziale del modo in cui l’IT può fornire valore al business, anche un moderato miglioramento in quest’area costituisce un segnale incoraggiante.

“Se guardiamo all’Italia, i segnali che arrivano dalla terza edizione della ricerca sono incoraggianti: le nostre imprese affrontano l’evoluzione dei loro data centre con l’obiettivo chiave di far crescere il valore del contributo che l’IT dà al business, riconoscendo l’importanza dei percorsi di consolidamento per una maggiore flessibilità delle proprie strutture”, commenta Ennio Ceccarelli, Country Leader Server & Storage Systems di Oracle Italia –

Per quel che riguarda il sotto-indice di Flessibilità, in Italia si è passati dal valore di 4,77 della precedente ricerca a a 4,88 della nuova. Sebbene siano aumentati gli intervistati che affermano di non avere in previsione nuovi investimenti per i data centre (25% rispetto al 13% registrato in precedenza), quelli che prevedono tali investimenti individuano come principali motivazioni, al di là di ragioni legate all’obsolescenza e ai limiti delle strutture esistenti, la necessità di consolidamento il supporto per la crescita aziendale.

Per quel che riguarda l’utilizzo della virtualizzazione, elemento importante in funzione del sotto-indice di Flessibilità, si registra un lento progresso: la percentuale degli intervistati che hanno dichiarato di aver perseguito una virtualizzazione dei server compresa fra il 30 e il 49% è cresciuta dal 18% al 22%, mentre la percentuale degli intervistati che hanno dichiarato di aver raggiunto una virtualizzazione dei server compresa fra il 50 e il 69% è cresciuta dal 20% al 25%.

Dal punto di vista della Sostenibilità si sono registrati diversi miglioramenti, con il relativo sotto-indice cresciuto da 4,94 al 5,04 attuale. Oracle rileva un aumento delle imprese che redigono una dichiarazione di sostenibilità, anche se a questa non corrisponde poi un vero e proprio piano a supporto e anche quelle che riferiscono un impatto positivo del consolidamento (che resta una delle ragioni principali per nuovi investimenti nel data centre). La metà esatta degli intervistati indica una serie di vantaggi nel ridotto numero e/o spazio dei data centre, con un sensibile aumento rispetto al 40% di un anno fa.

Per contro, se da un lato le imprese dimostrano attenzione verso il monitoraggio dei consumi energetici, il crescente numero di intervistati che “non sanno” molto a proposito della questione è alquanto preoccupante (20% dell’attualeal 9% precedente). In generale, i risultati dell’Italia appaiono comunque confortanti se messi a confonto con lo scenario di crisi dell’Eurozona.

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