L'INDAGINE

Il Covid mette il turbo a Spid: a quota 13 milioni le identità attive

Nell’ultimo anno è più che raddoppiato il numero di pin unici, abilitati dal 22% della popolazione sull’onda dei servizi messi a disposizione durante l’emergenza sanitaria. Ma la penetrazione è ancora molto lontana da quella dei Paesi europei più avanzati. La fotografia scattata dall’Osservatorio Digital Identity del Polimi

Pubblicato il 27 Nov 2020

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Nel 2020 sono arrivate a oltre 13 milioni le Identità Spid attive, con una crescita del 140% rispetto al 2019, trainata dagli interventi normativi per agevolarne l’adozione e dall’obbligo per l’accesso a bonus e indennità erogate durante la pandemia. È stata rilasciata un’applicazione mobile per digitalizzare completamente la carta d’identità elettronica, oggi in possesso di quasi 18 milioni di italiani. E sono nate diverse iniziative private per gestire l’ingresso di nuovi clienti da remoto, l’accesso a servizi e l’autorizzazione a effettuare transazioni digitali su diversi canali. L’emergenza sanitaria, con l’imposizione del lockdown e le norme di distanziamento sociale, ha segnato una vera e propria svolta nella diffusione di sistemi di Identità digitale in Italia, ma manca ancora una cultura strutturata sul tema, con una condivisione delle strategie e una direzione comune che permettano di sfruttarne a pieno il potenziale. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Digital Identity della School Management del Politecnico di Milano presentata questa mattina durante il convegno online “Alla ricerca dell’identità… digitale”.

“Nel 2020 il numero di Identità Spid attive è più che raddoppiato, con circa 7,7 milioni di nuovi utenti in più rispetto ai 5,5 milioni censiti a fine 2019, e gli accessi mensili sono passati dai 6,3 milioni di gennaio ai 16,7 milioni di ottobre”, sottolinea Giorgia Dragoni, Direttore dell’Osservatorio Digital Identity. “Nonostante l’aumento, Spid copre appena il 22% della popolazione (e il 26% degli italiani maggiorenni), lontano dai livelli dei paesi europei più avanzati, come Olanda (79%), Svezia (78%), Norvegia (74%) e Finlandia (55%). Nel panorama europeo ci sono poi tanti altri sistemi molto diffusi, per esempio in Germania o Francia, che si basano però su smart card ed è quindi difficile stimarne l’effettivo utilizzo per l’accesso a servizi digitali”.

La situazione in Italia nel dettaglio

Il mercato in Italia è ancora modesto e molto concentrato: a partire dal 2016 fino a fine 2019 sono stati spesi dalle Pubbliche Amministrazioni poco più di 7,5 milioni di euro per l’adesione al sistema Spid, di cui 5,7 milioni (il 76%) destinati a soli dieci fornitori. E sono 5.300 su oltre 22.000 le Pa che consentono ai cittadini di usare Spid per accedere ad almeno un servizio digitale.

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Ma il crescente interesse attorno all’identità digitale attira nuovi attori innovativi sul mercato: sono state censite 173 startup a livello internazionale che offrono soluzioni per semplificare il riconoscimento dell’utente, sfruttano tecnologie come intelligenza artificiale, machine learning o blockchain per l’autenticazione o gestiscono l’integrazione di diversi applicativi, per un totale di finanziamenti raccolti pari a 721 milioni di dollari.

“La pandemia ha dato una forte accelerazione allo sviluppo dell’identità digitale, evidenziando l’urgenza di un sistema di riconoscimento sicuro”, aggiunge Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Digital Identity. “Gli attori chiave del mercato stanno costruendo importanti opportunità di business, creando ecosistemi e stringendo partnership, con l’obiettivo di valorizzare l’identità digitale degli utenti in diversi ambiti. Ma gli sforzi compiuti finora sono solo il punto di partenza di un percorso più complesso: per sfruttare tutto il potenziale dei sistemi di Id è necessario dotarsi di una strategia organica di gestione delle iniziative nate in ambito pubblico e privato, sviluppare servizi accessori associati all’identità digitale, rafforzare la collaborazione fra pubblico e imprese, sperimentare nuove tecnologie che rendano i sistemi più sicuri e certificati”.

I cinque modelli di Identità digitale

L’identità digitale è un insieme di dati che consentono di Identificare univocamente una persona, un’azienda o un oggetto e che vengono raccolti, memorizzati e condivisi digitalmente all’interno di un ecosistema di attori e attraverso tecnologie abilitanti, e che permette l’accesso a servizi digitali a valore aggiunto. L’Osservatorio ha individuato cinque modelli di Identità digitale. Il Social Id, ovvero l’insieme di dati dichiarati dall’utente quando si iscrive a una piattaforma social, come le Identità di Facebook o Google, è caratterizzato da minimo livello di verifica e alta frequenza di aggiornamento e può essere valorizzato anche per l’accesso ad altri servizi digitali. L’eCommerce Id ha caratteristiche simili ma è basato su piattaforme di eCommerce o marketplace, come Amazon o Shopify. L’eGov Id raccoglie i sistemi di Identità digitale sviluppati e distribuiti da enti governativi che riconoscono in modo univoco i propri cittadini e permettono loro di utilizzare i servizi pubblici. Il Financial Id è il profilo di dati Identificativi raccolti da un istituto bancario per riconoscere il proprio cliente, successivamente valorizzati per l’accesso anche presso altri service provider; è il caso di PayPal. Il Mobile Id, infine, è basato sull’uso della SIM Card come elemento di sicurezza per i dati sull’identità dell’utente, raccolti e verificati con livelli di garanzia medio-alti.

Potenziare l’identità digitale in quattro passi

La prima strada individuata dall’Osservatorio per potenziare l’identità digitale in Italia è la valorizzazione dei modelli esistenti, arricchendo i dati, integrando il profilo base dell’Id con altre informazioni, coinvolgendo nuovi attori nell’ecosistema dell’identità digitale in diversi ruoli e diffondendo una maggiore consapevolezza dell’utilità e della sicurezza di questi sistemi.

Un’altra chiave è l’integrazione dei sistemi di Id con servizi accessori: la gestione dell’intero ciclo di vita della transazione digitale in sicurezza porta vantaggi sia per chi gestisce i dati dell’utente sia per chi offre il servizio, come la possibilità di firmare documenti e contratti dopo un riconoscimento certo dell’utente che consente all’identity provider di valorizzare l’Id associata e al service provider di gestire tutte le fasi della transazione.

La terza direzione è l’interoperabilità con altri sistemi di Id attivi in Italia e all’estero, indispensabile per consentire transazioni e interazioni fra paesi europei e moltiplicare le opportunità di utilizzo dell’Id per l’utente; per i service provider, invece, stringere delle partnership tra attori di ecosistemi diversi permetterebbe la creazione congiunta di nuovi servizi a completamento dell’offerta e la condivisione di asset e tecnologie abilitanti.

La quarta strada è sperimentare nuove tecnologie, aumentando il valore dell’identità digitale: integrare innovazioni tecnologiche in sistemi esistenti e sviluppare dei progetti pilota per comprendere benefici e applicazioni può rivelarsi l’elemento chiave per rimodulare le dinamiche del mercato dell’identità digitale.

Le startup attive sul fronte dell’Identità digitale

L’ecosistema delle startup che offrono soluzioni nell’ambito dell’identità digitale è ancora giovane e di piccole dimensioni, ma presenta trend che stanno attirando l’interesse di grandi aziende e investitori internazionali. L’Osservatorio ha censito 173 startup a livello internazionale, di cui 130 finanziate con un totale di 721 milioni di dollari, pari a circa 5,6 milioni a startup. Quasi la metà degli investimenti (48%) è stata raccolta da appena 20 startup (il 15% del totale).
Una startup su due propone di semplificare il riconoscimento dell’utente, garantendo al tempo stesso elevati standard di sicurezza attraverso il riconoscimento biometrico, e riceve mediamente 5,3 milioni di dollari. Il 31% offre soluzioni per l’autenticazione basate su Artificial Intelligence e Machine Learning ed è il gruppo di startup più finanziato, con in media 8,9 milioni di dollari. Circa un terzo basa il proprio modello di business su infrastrutture decentralizzate, come la blockchain, raccogliendo in media 4,3 milioni di dollari di investimenti. Il 34%, infine, si occupa della gestione di Api (interfacce grafiche che consentono la comunicazione e la trasmissione di dati tra applicativi diversi) e dell’integrazione delle interfacce di diversi applicativi, ottenendo un finanziamento medio di 6,8 milioni di dollari.

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