PUNTO DI VISTA

Innovazione, Internet è il paradigma

La Rete ha cambiato il modo di cooperare tra imprese, università e PA. Ma le norme di riferimento non sono al passo con i tempi

Pubblicato il 14 Ott 2012

Mario Dal Co, Direttore generale Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione

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Nel decennio precedente alla diffusione mondiale di internet, il paradigma di riferimento era quello della tripla elica: il circolo virtuoso dell’innovazione era rappresentato dalla collaborazione virtuosa tra Università, Impresa, Istituzioni.
Il luogo di questo incontro era rappresentato dal Parco Scientifico, dal Distretto, da luoghi istituzionali di incontro tra mercato, ricerca, amministrazione.
Oggi quel modello è superato: internet pone sullo stesso piano cooperativo imprese, università e pubblica amministrazione.
Non ci sono barriere all’interoperabilità, per lo meno non ci sono barriere di tipo tecnologico e culturale tra gli attori, ossia tra le risorse umane impegnate nei diversi settori.

Ma le barriere rimangono a livello normativo e istituzionale: la pubblica amministrazione non collabora con il cittadino, non collabora con l’impresa e, quel che è forse più grave non collabora con se stessa.
Che cosa intendo dire? Che l’amministrazione pubblica non fornisce alle altre amministrazioni i dati necessari a ridurre la quantità di informazioni che esse continuano a chiedere ai cittadini e alle imprese, ma anche a se stesse. Gli uffici sono gravati da infiniti adempimenti, che surrogano il controllo che solo la responsabilità dei dirigenti può assicurare. Manca la responsabilità sui risultati, anche la recente istituzione della Civit è l’ennesimo parto della mentalità formalistica della pubblica amministrazione italiana.

Internet è il paradigma nuovo di riferimento per l’innovazione. Ma è anche terreno di produzione dell’innovazione. Non solo di quella tecnologica, ma di quella di processo, capacità che manca totalmente alla pubblica amministrazione italiana.
Due esempi. Primo: le università italiane non riescono a dare ai loro laureati il diploma supplement, semplice documento in inglese in cui, oltre agli esami, si dà atto dei programmi e dei docenti. Serve per trovare lavoro all’estero, non è un documento inutile, è un documento necessario in un mercato globale. Basterebbe richiedere agli studenti la presentazione del programma al docente che li esaminerà, ed ecco che nasce il diploma supllement, con esito tipicamente web2.0 dell’incontro tra due soggetti portatori di interessi e responsabili nei rispettivi ambiti, ossia capaci di controllare reciprocamente la validità dei contenuti.

Secondo: si discute da oltre dieci anni del fascicolo sanitario elettronico. Si tratta di uno strumento indispensabile per ottimizzare l’utilizzo delle risorse sanitarie, realizzare studi epidemiologici, individuare criticità ambientali e sociali.
Perché non viene fatto? Ormai prenotazioni e refertazioni avvengono in rete, ma una montagna di ostacoli giuridici e di processo impediscono che il cittadino sia proprietario del suo fascicolo, e lo affidi in gestione “obbligatoria” alla sua Azienda sanitaria locale (Asl) che ne è, quindi responsabile. Si noti che questo ridurrebbe gli errori di sistema, anche di tipo diagnostico e terapeutico, incidendo su uno dei costi che lievitano di più: quello delle assicurazioni.

Tre scelte – per chiudere – sono necessarie e la pubblica amministrazione deve farle subito, pena rimanere fuori dalla rete, ossia dall’innovazione: responsabilità delle amministrazioni e dei dirigenti, svecchiamento della tutela della privacy, ridefinizione dei processi di lavoro e di interoperabilità tra enti pubblici e utenti, basandosi sull’open data e la condivisione delle informazioni rilevanti.

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