L’innovazione digitale è ancora, purtroppo, un fenomeno più mediatico che di sostanza. Lo testimoniano la lentezza deliberativa su questi temi da parte delle autorità politiche e le iniziative poco efficaci sul fronte della formazione; è necessario far capire, prima ancora che utilizzare, che le Ict generano valore. Ma, bisogna aggiungere, anche il mondo dell’impresa non sembra aver issato la vela per cogliere appieno la spinta del vento. La letteratura e gli esempi concreti, ormai, aiutano a non dover più dimostrare l’assunto: le Ict producono efficienza ed efficacia, migliorano la qualità delle relazioni tra le aziende e i loro mercati di sbocco, aiutano la PA a soddisfare meglio i bisogni dei cittadini e le relazioni con le imprese, che possono riappropriarsi della competitività perduta.
“L’innovazione digitale – afferma Alessandra Luksch, responsabile delle Ricerche della Digital Business-Innovation Academy della School of Management del Politecnico di Milano – stenta ancora a giocare un ruolo propulsivo per la tanto agognata ripresa del nostro Paese. Il digital divide, prima culturale e poi tecnologico, delle imprese italiane, soprattutto quelle di piccole dimensioni, è frutto di un livello troppo basso di investimenti in innovazione, compresa quella di natura digitale”. La survey, condotta dall’Academy del Politecnico di Milano su 209 Cio di aziende italiane e multinazionali di grandi e medio-grandi dimensioni, fotografa con precisione il nostro malessere. Nel 2013 il rapporto tra budget Ict e fatturato è stato, in media, del 2,5%. Preoccupano però i dati analitici per macro settori, soprattutto se confrontati a livello internazionale. Solamente i settori media-telco e utility-energy sono percentualmente allineati con l’estero. Il gap per il Finance vale 2,5%, per i Servizi 0,6%, per l’Industria 1,9%.
Quanto tempo occorrerà per coprire queste distanze? Ma, in particolare, c’è la consapevolezza che è indispensabile coprire il “divario tecnologico”? L’industria pesa il 40% nell’ambito dell’economia italiana: non è lecito preoccuparsi per il suo “ritardo digitale” e per gli impatti che procura sull’intero Paese? Se poi guardiamo la ripartizione tra spese correnti e investimenti, il 2013 ci rivela un’industria ancorata alla gestione delle infrastrutture e degli applicativi esistenti. La poca propensione a innovare e a rinnovare, non è solo una questione di “povertà finanziaria”. “Non appaiono grosse novità all’orizzonte. Anche se per il 2014 – prosegue Luksch – alle Direzioni Ict verrà un po’ meno richiesto di razionalizzare e tagliare gli investimenti. Si prevede una timida crescita, intorno allo 0,3% dei budget Ict, nei settori Finance, Media-Telco e Servizi e un’ulteriore contrazione, dello 0,3% e dell’1,4%, rispettivamente, nell’Industria e nelle Utility-Energy”.
La dimensione premia le grandi aziende (oltre 1.000 dipendenti), che prevedono una crescita nei loro budget Ict per l’anno in corso; al contrario, le aziende medio-grandi (250-1.000 dipendenti) hanno programmato, quasi nella metà dei casi, una riduzione dei loro budget Ict. “L’outsourcing dei servizi Ict – conclude Luksch – segnala una ripresa per il 2014, anche se l’aumento non è generalizzato: il 25% delle aziende dichiara, infatti, una crescita nei budget dedicati all’outsourcing, mentre il 13% prevede una loro contrazione. Alla diminuzione del settore Media-Telco (-36%), risponde la crescita superiore al 20% dell’Industria e dei Servizi.
L’interpretazione è ambivalente: per qualcuno l’utilizzo dell’outsourcing significa razionalizzare il comparto Ict, concentrando all’interno solo le attività di valore, per altri esattamente il contrario, riportando al centro tutte le attività, secondo un modello di controllo totale”. Il trend evidenziato dai dati sui budget Ict è, comunque, evidente: i budget Ict si riducono con la dimensione aziendale. Proiettato sull’intera scala delle nostre imprese, la situazione è da allarme rosso. Le micro e le piccole aziende – cioè quasi la totalità del nostro sistema d’impresa – presenteranno una tendenza ancor più preoccupante, vista la fisiologica carenza di liquidità, di competenze e di risorse in genere. È il caso di pensare agli strumenti da mettere in campo per stimolare l’adozione delle Ict e, di conseguenza, l’innovazione. Ma, anche, una diffusa campagna di formazione a tutti i livelli, per far capire il valore delle Ict. Il Paese fa fatica e non riesce a muoversi come sistema. Auriga cercasi!