SERVIZI INNOVATIVI

Internet of Things, per fare il mercato servono regole ad hoc

L’anello debole della catena rischiano di essere i consumatori finali che nel caos di incertezza normativa non possono contare su diritti ormai assodati nel mondo Tlc, come ad esempio quello del cambio operatore. Questo uno dei dossier più importanti sul tavolo dei regolatori Ue

Pubblicato il 06 Lug 2015

Alessandro Longo

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La rivoluzione Internet of things segna una discontinuità così grande da porre sfide inedite alla regolamentazione di vari settori: telecomunicazioni, antitrust, privacy. Vale a dire che rischia di mettere in crisi quei principi da quali finora è dipesa la tutela degli equilibri del mercato, i diritti dei consumatori e l’innovazione.
Alcune questioni- come il roaming e, in particolare, la privacy- sono giunte prima di altre sotto la lente del regolatore, anche in Italia. Ma i dossier normativi sono tanti e variegati, a conferma di quanto ampio e dirompente sia ormai il fenomeno. Lo si apprende leggendo le indagini svolte, in campo Internet of things, dalle autorità competenti, come la nostra Agcom o l’inglese Ofcom. Uno dei temi è che non c’è una licenza o un’autorizzazione generale specifiche per operare in questo ambito. Secondo le norme, la licenza richiesta agli operatori telefonici dipende solo dal tipo di frequenza o tecnologia utilizzata per le comunicazioni tra oggetti connessi. Questo crea incertezza sui livelli di servizio, su notifiche e obblighi verso i consumatori.

La stessa incertezza dipende dal fatto che non ci sono ancora bande di frequenze dedicate a queste tecnologie. È invece un fronte piuttosto caotico: alcuni servizi utilizzano persino frequenze non licenziate e modalità trasmissive non convenzionali, rendendo più difficile il compito del regolatore di stabilire un set di obblighi per i fornitori e di diritti per gli utenti.
Un grosso nodo riguarda la numerazione. I regolatori temono che la crescita del fenomeno potrebbe portare all’esaurimento delle risorse di numerazione disponibili (come gli indirizzi IPv4). Urge inoltre un’armonizzazione delle regole in Europa, dato che Paesi diversi dall’Italia sono più flessibili nel concedere risorse di numerazione e nel consentirne l’utilizzo all’estero.

Ad oggi il Machine to machine realizzato nelle diverse tecnologie può utilizzare risorse di numerazione E.164 (numeri cellulari mobili), E.212 (numero identificativo della sim), indirizzi IPv4 e indirizzi IPv6. La larga diffusione dei dispositivi M2M può comportare l’esaurimento delle risorse E.164, E.212 e IPV4. Nel breve e medio termine, le numerazioni E.164 ed E.212 sembrano essere la soluzione più impiegata per gli usi del M2M.
In alcuni Stati membri gli operatori hanno chiesto l’introduzione di una nuova numerazione, specifica per i servizi M2M. Secondo l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in una prospettiva di lungo termine, l’uso dell’IPv6 potrebbe diventare la soluzione migliore.
Gli operatori telefonici temono due cose. Da una parte, l’esaurimento della loro risorsa scarsa (numeri di cellulari). Dall’altra, che la regolamentazione europea li sfavorisca, nei confronti dei fornitori di servizi internet, i quali possono sfruttare liberalmente (anche se in modo indiretto) le numerazioni telefoniche date agli operatori che hanno richiesto l’autorizzazione.
Insomma, da questo punto di vista, l’Internet of things porta a nuovi livelli lo storico dilemma normativo degli over the top versus i telefonici. Soggetti che, facendo leva sul proprio essere internazionali, sfuggono alle regole nazionali e raggiungono l’utente finale appoggiandosi alle risorse degli operatori. In questo caso, rispetto ai contenuti tipici over the top che vanno su internet, il servizio si basa su un accordo forte con un operatore. L’analogia resta valida nella sostanza, però, dato che per il meccanismo del roaming anche gli altri operatori devono trasportare quel servizio sulle proprie reti.

L’anello debole della catena rischiano di essere anche i consumatori finali, che in questa situazione di incertezza normativa non possono contare su diritti che sono ormai assodati nel mondo delle telecomunicazioni. Per esempio il diritto di cambiare l’operatore che fornisce la connettività Internet of things: è un altro dei dossier sul tavolo dei regolatori europei. Le questioni sono così tante, complesse e inedite che non sarà facile sbrogliare la matassa. Certo sarà necessario un intervento forte e coordinato da parte dei diversi regolatori dell’Unione europea (Authority di Tlc e Antitrust). E tempestivo, dato che il mercato cresce con grande velocità. Finora l’Europa non è riuscita ad affrontare con decisione i grandi temi normativi sollevati dall’impatto globale del web, come dimostrano gli indugi su privacy e copyright in sede Ue. L’Internet of things potrebbe rivelarsi un inedito successo o l’ennesima occasione mancata per adeguare le norme ai tempi mutati dell’innovazione tecnologica.

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