LA RIFORMA

Jobs Act, norme sul telecontrollo al rush finale

Domani in Cdm il decreto legislativo che riscrive le regole sui controlli attraverso telecamere, pc e smartphone. In vista una “limatura” rispetto alla versione originaria

Pubblicato il 26 Ago 2015

Federica Meta

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La questione dei controlli a distanza sul posto di lavoro arriva sul tavolo del Consiglio dei ministri. Nella riunione di domani è prevista la discussione sui quattro decreti legislativi del Jobs Act, tra cui quello che regola dell’utilizzo da parte dei datori di lavoro di strumenti di controllo dei lavoratori, come computer, smartphone e telecamere. Provvedimento – questo – su cui il governo sarebbe intenzionato ad intervenire, limando la formulazione originaria. Gli altri decereti riguardano semplificazioni e pari opportunità; servizi per il lavoro e politiche attive; ammortizzatori sociali.

L’articolo 23 del dlgs in questione riscrive quanto previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. In pratica le novità riguardano i dispositivi tecnologici (come computer, tablet e telefonini messi a disposizione dei dipendenti dall’azienda) e gli strumenti per misurare accessi e presenze come i badge. “Accordo sindacale o autorizzazione ministeriale non sono necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore”, si legge nel testo.

Negli altri casi, invece, per installare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo servono l’accordo sindacale o l’autorizzazione da parte del ministero del Lavoro (per le imprese con più unità dislocate in una o più regioni). I dati che ne derivano possono essere “utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy”, si legge sempre nella relazione illustrativa.

Nel dettaglio, l’articolo al primo comma prevede che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”. In mancanza di accordo “possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.

Una modifica che sollevato numerose polemiche, soprattutto tra i sindacati. Già a giugno il ministero del Lavoro aveva dovuto precisare che la disposizione circa i dispositivi utili “per rendere la prestazione” significa che “l’accordo o l’autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che ‘serve’ al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall’ambito della disposizione: in tal caso, infatti, da strumento che serve al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione; con la conseguenza che queste modifiche possono avvenire solo alle condizioni stabilite dalla norma, ossia la ricorrenza di particolari esigenze, l’accordo sindacale o l’autorizzazione” amministrativa.

I tecnici dlel ministero guidato da Giuliano Poletti sono a lavoro per capire come limare il testo viste le pressioni arrivate anche dalla Camera. La Commissione lavoro, presieduta da Cesare Damiano, ha chiesto al governo di fare un passo indietro.

A complicare la questione anche la posizione dell’Europa. Ad aprile, infatti, il Consiglio d’Europa ha varato una raccomandazione secondo cui il datore di lavoro non può spiare le comunicazioni private dei dipendenti. Allo stesso modo è severamente proibito, in azienda, l’utilizzo di mezzi tecnologici per controllare a distanza i comportamenti dei lavoratori. Ancora: la videosorveglianza è lecita solo per evitare il rischio di furti e per salvaguardare i beni dell’impresa, ma è comunque vietato ispezionare le zone dove i dipendenti non lavorano, come spogliatoi, aree ricreative, o mense. La raccomandazione non ha valore vincolante per il nostro legislatore, ma avrà comunque effetto nei tribunali, dove i giudici dovranno tenerne conto in caso di eventuali ricorsi proposti, in futuro, dai dipendenti .

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