L’Italia condanna Google per ricerca “diffamante”

Il Tribunale di Milano impone limiti al motore di ricerca dopo la denuncia di un imprenditore il cui nome inserito nel search engine veniva associato alla parola “truffatore”

Pubblicato il 06 Apr 2011

Google suggest, la funzione di ricerca che "suggerisce"
le parole più ricorrenti accostate alla ricerca di una parola, è
risultato condannato per diffamazione dal Tribunale di Milano, per
aver associato al nome di un imprenditore di Milano la parola
"truffatore" e "truffa" a fianco del proprio
nome durante la ricerca. La funzione di Google che suggerisce agli
utenti le parole chiave mostrava a fianco del nome
dell’imprenditore la parola truffatore.

L’imprenditore di Milano ha fatto causa a Google, ottenendo un
rimborso di 2300 euro per le spese legali e 1500 euro per i diritti
lesi, dal momento che Google, dopo aver ricevuto la segnalazione
dall’avvocato dell’imprenditore, non ha applicato i filtri
richiesti per eliminare l'associazione.

Il giudice di Milano ha poi respinto anche le obiezioni fornite da
Mountain View, che aveva precisato che “trattandosi di un
software completamente automatico è evidente l’impossibilità
– senza compromettere l’intero servizio – di operare un
discrimine tra termini buoni e termini cattivi, non solo in
considerazione del numero indeterminabile di parole con un
potenziale significato negativo, ma anche e soprattutto del fatto
che il medesimo termine potrebbe avere significati del tutto
diversi se abbinati a parole diverse”.

La società dovrà intervenire sull'algoritmo per evitare
diffamazioni. Secondo l’ordinanza del Tribunale di Milano, Google
è ora obbligato a censurare, ossia a filtrare, i suggerimenti
proposti agli utenti per velocizzare il completamento della query
digitata nell’apposito box del motore di ricerca.

Finora secondo le norme europee, i motori di ricerca hanno
responsabilità diverse, più leggere, rispetto agli hosting
provider e non sono tenuti a rimuovere qualcosa dopo la
segnalazione.

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