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Pileri: “Cittadinanza digitale priorità strategica”

Oltre a lanciare progetti e spingere sull’erogazione dei servizi innovativi, bisogna costruire una “motivazione” all’uso delle tecnologie nel quotidiano che faccia leva sulla percezione diffusa della convenienza e della facilità del digitale. L’analisi del presidente di Anitec-Assinform

Pubblicato il 24 Gen 2018

Stefano Pileri

Ad di Italtel

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Il digitale ha innescato un cambiamento epocale nei modi di produrre, amministrare, comunicare, vivere. Nuovi mercati, nuovi modelli di business e nuovi profili professionali soppiantano i precedenti. Ma è nella società, di cui l’economia è parte, che sono in atto cambiamenti ancora più profondi, che ripropongono il problema dell’eguaglianza delle opportunità e dell’esercizio della cittadinanza.

Le tecnologie digitali continueranno ad affermarsi sempre di più solo se saranno patrimonio di tutti. Senza una cultura digitale diffusa qualsiasi politica di sviluppo rischia di agire su un terreno arido, di non creare quell’interazione tra offerta e domanda di novità che guida la crescita dell’intera società.  E più andremo avanti, più sarà difficile distinguere il ruolo del digitale nella sfera economica, professionale, personale, del consumo, civile. Già oggi si parla di cittadinanza digitale proprio per questo: il digitale, dalle sfere business, lavorativa e dell’entertainment, si è esteso al modo di formarsi, informarsi, tenere i rapporti con la banca, fruire dei servizi pubblici, esercitare i propri diritti, esprimere istanze. Ecco dunque che la cultura digitale rivela due aspetti: il primo è di dar conto dell’aggiornamento del capitale umano di un intero sistema paese; il secondo è di crescere e diffondersi tanto più rapidamente quanto il singolo ne vede diretta utilità in tutti i contesti.

Ritardi ancora forti, da recuperare

Il fatto è che mentre siamo tra i più grandi fruitori di servizi mobili e social in Europa, altri indicatori mostrano ritardi cui porre rimedio al più presto. Secondo la Commissione Ue e nel 2017, in Italia i cittadini dotati almeno di competenze digitali di base erano solo il 44% (media Ue, 56%); quelli con familiarità con l’internet banking e l’e-commerce, erano rispettivamente il 43% (media Ue 59%) e il 41% (media Ue 66%); quelli che interagivano on line con le PA erano solo il 16% (contro media Ue 34%), oltre tutto in regresso di due punti rispetto al 2016. Questi ed altri aspetti trovano sintesi nei valori dell’European Digital Economy and Social Index (DesiI), che piazza l’Italia, pur a fronte di miglioramenti, agli ultimi posti di un ranking che tiene conto degli ambiti più diversi del digitale. Ma da questi dati poco lusinghieri emergono anche spunti sul da farsi. Basta guardare ai dati sui servizi pubblici digitali. Se è vero che solo il 16% egli italiani li usa mentre le PA italiane che erogano (o dicono di erogare) on line servizi essenziali al cittadino sono l’84%% contro una media UE dell’82%, vediamo subito che c’è un enorme problema da risolvere in qualità di interfacciamento, impegno del personale degli Enti e anche di connettività.

Sul fronte della connettività, qualcosa si sta muovendo.  Istat ha rilevato il 69,5% delle famiglie connesse in broadband nel 2017 rispetto al 41% del 2012 fa, con un recupero medio, rispetto ai paesi guida Ue di 2 punti percentuali l’anno negli ultimi cinque anni. Altri miglioramenti sono attesi con il procedere dei piani di estensione della banda ultralarga, che ora toccano anche le aree altrimenti trascurate dal solo investimento privato, e che hanno messo di recente una marcia in più. Rimane invece per ora immutato il problema delle competenze digitali diffuse.

Dare concretezza a programmi già condivisi

È un problema da risolvere. Non solo perché rischiamo l’inefficacia degli interventi di stimolo all’innovazione, ma perché anche per il digitale si va riproponendo un divide tra Nord e Sud che va contro ogni logica di rilancio del Paese. Ecco dunque che sul fonte della cittadinanza digitale si tratta di agire, implementando i programmi già esistenti e guardando in primis alla scuola, ai tempi e allo spettro d’attuazione della Strategia per la Crescita Digitale, alle iniziative da questa contemplate in tema di cultura digitale diffusa.

Dare energia alla scuola

Nulla può surrogare il ruolo della Scuola, e su due piani distinti e altrettanto importanti. Il primo è quello di un’alfabetizzazione digitale vista come parte viva della formazione della persona, come padronanza degli strumenti di apprendimento e del vivere sociale, estesi anche alla capacità di capirne le implicazioni; il secondo e quello della creazione di competenze utili al lavoro. Sul primo versante, con la Riforma della Scuola e con il Piano Nazionale Scuola Digitale, è stato fatto un passo importante, anche se il percorso, iniziato nel 2016, è ancora di fatto in itinere. Sul secondo invece, c’è molto da fare per adeguare programmi e contenuti formativi a opportunità professionali sempre più condizionate dal digitale (si veda anche l’intervento Calenda-Bentiviogli, sul Solere del 17 gennaio scorso) e alla necessità di aggiornare e riconvertire gli skill. È un passaggio importante, che richiede un dialogo più intenso e sistematico tra mondo dell’Istruzione e mondo del lavoro.  Non ci si può sentire cittadini se poi si resta (o si torna per effetto di cambiamenti) ai margini del mondo del lavoro. Per altro verso, serve ancora di più una scuola che intrecci le capacità di trasmettere skill e di formare le coscienze. Quest’ultimo passo non è dettato da candore, ma dall’evidenza che senza una coscienza digitale diffusa si faranno ben pochi progressi su nuovi fronti, sempre più attuali.

Immaginare la ricucitura generazionale

Si pensi ad esempio alla lotta alla criminalità informatica (dalle frodi, alla pirateria delle opere d’ingegno, al cyberbullismo) e al contrasto alla manipolazione dell’informazione; e poi alla costruzione di nuovi strumenti o programmi di inclusione e ricucitura sociale. A quest’ultimo riguardo, pensiamo a cosa potrebbe portare il lancio di programmi volti a risolvere la difficoltà per gli over 50 di tenere il passo dell’interazione digitale. In una società come quella italiana, con un’elevata quota di over 50, l’estendersi e il continuo mutare delle modalità di fruizione dei servizi online minaccia seri problemi di esclusione che, oltre a essere inaccettabili, rischiano di frenare il rinnovamento del Paese. Su questo fronte è auspicabile non solo una maggiore responsabilità sociale degli operatori, ma anche il lancio di programmi che favoriscano la costruzione di un ponte generazionale, coinvolgendo la Scuola, nuove forme di Servizio Civile e gli stessi giovani.

Applicare le regole Ue sulla protezione dei dati

C’è poi un altro fronte, in cui conta non solo la cultura digitale del cittadino, ma anche l’impegno delle istituzioni. È quello della tutela dei dati personali. Se ben interpretata, essa è di spinta e non certo di freno al digitale, proprio per la fiducia che è destinata a infondere al cittadino-consumatore. Al riguardo promette bene il nuovo Regolamento UE in materia di protezione dei dati personali (GDPR), che diventerà definitivamente applicabile nei paesi membri dal maggio 2018. Ad oggi sembra quanto di meglio di possa concepire per la difesa delle informazioni personali conservate da aziende e pubbliche amministrazioni, e per superare le contrapposizioni tra visioni globali ed Europee. E questo conta, perché l’ottica di quel Regolamento non è di ingabbiare l’innovazione, ma di incanalarla secondo regole e valori che sono alla base del vivere etico e civile. Chi da remoto fa business in Europa, magari attraverso succursali, potrà davvero avvantaggiarsi della consapevolezza di un numero ancora maggiore di cittadini e consumatori europei. Le Amministrazioni pubbliche potranno cogliere l’occasione non solo per riaffermare il ruolo di garanti, ma anche di promotori di nuove forme di raccolta dei dati sia in logica open-condivisa e sia in logica proprietaria considerando, oltre a quella della privacy, anche altre tutele come quelle della concorrenza, della proprietà intellettuale, industriale, commerciale, ecc…

 Non mollare sulla Strategia Digitale

Contano molto anche iniziative avviate dal Governo per rilanciare la Strategia Digitale. Fra azioni infrastrutturali, piattaforme abilitanti e programmi di accelerazione, il quadro di riferimento della Strategia Digitale è molto articolato.  Ai fini della cittadinanza digitale contano però prioritariamente gli aspetti subito percepibili dalla persona.  E a parte la sanità digitale, che richiederebbe ben altro spazio e che comunque progredisce, ci sono aspetti su cui vale la pena di soffermarsi per le loro potenzialità. Uno su tutti il Sistema Pubblico d’identità Digitale (Spid).

Il Sistema Pubblico d’identità Digitale (Spid) può davvero fare la differenza.  È provato che districarsi tra diversi sistemi di autenticazione e credenziali d’accesso è il più forte disincentivo all’uso dei servizi pubblici on line e a una fruizione che – al pari dell’e-commerce, dell’on-line banking – è palestra di abilità digitali.

La diffusione di Spid non ha rispettato i tempi indicati all’inizio. Ma è vero che sono sempre di più le amministrazioni che lo rendono operante e che il loro numero è oramai consistente. Un più esteso accesso ai servizi pubblici è fondamentale per il coinvolgimento al digitale delle più diverse fasce dalla popolazione.  E non solo. La diffusione di Spid corrisponde infatti alla diffusione di una piattaforma d’autenticazione evoluta e universale, capace di rassicurare l’utenza della clientela degli erogatori privati di servizi online, e quindi estenderla; e anche di incentivare l’utilizzo di canali digitali da parte di professionisti e microimprese, che ancora non hanno capito come dotarsi di un sistema di identificazione semplice e sicuro.

Spingere dal basso, coinvolgere.

In tema di inclusione non bisogna sottovalutare le iniziative di alfabetizzazione digitale avviate nel territorio, spesso a livello regionale, con o senza contributi Ue. All’apparenza si può anche avere l’idea di un florilegio sin troppo spontaneo e poco coordinato di iniziative, ma è solo l’inizio, e con i ritardi che abbiamo da recuperare, è molto meglio così. E’ importante che queste iniziative continuino.

Rimane comunque il fatto che si tiene ancora in poco conto il fatto che la cittadinanza digitale si costruisce anche sulla motivazione all’uso delle tecnologie e dei servizi innovativi nel quotidiano. Forse sarebbe anche il caso di aggiungere alla dimensione didattico-educativa, anche quella di un marketing dell’innovazione sociale, che faccia leva sulla percezione diffusa della convenienza e, soprattutto, della facilità del digitale.  Si pensi agli strumenti elettronici di pagamento, all’online banking, all’e-commerce, all’informazione online, a cosa può dare il digitale in termini di sicurezza o di servizi fruibili da device cha abbiamo già in tasca. Tutte cose che già ci sono, di cui tanti, troppi, avvertono solo il rumore.  Siamo sicuri di poter creare cittadini digitali chiedendo loro di fare i compiti anziché fare arrivare loro stimoli più coinvolgenti?

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