STUDIO POLIMI

Politecnico di Milano: crescono i mobile workers, avvocati in testa alla classifica

Smartphone, tablet e pc portatili usatissimi anche dai professionisti degli studi professionali, rivela l’Osservatorio Ict & Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano. Consultazione delle e-mail e navigazione le attività più frequenti. Ma sui device si consultano anche documenti

Pubblicato il 04 Mar 2014

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I professionisti si stanno avvicinando con cautela allo svolgimento di attività di lavoro con strumenti mobili e al mondo delle app. Ma il potenziale appare alto, poiché ben il 42% del totale dei professionisti trascorre almeno il 50% del tempo lavorativo fuori dallo studio (i commercialisti nel 38% dei casi, gli avvocati nel 46% e i consulenti del lavoro nel 33%). Lo rileva la ricerca dell’Osservatorio Ict & Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano.

I mobile workers più assidui – quelli cioè che occupano almeno la metà del loro tempo lavorativo “esterno” utilizzando smartphone, tablet o Pc portatili – sono i professionisti degli studi associati e gli avvocati (12%), seguiti dai commercialisti (8%) e dai consulenti del lavoro (3%). Le attività svolte più frequentemente sono la lettura dell’email (19%), la navigazione in Internet (17%), la lavorazione di documenti (10%) e la consultazione di dati dello studio (9%). I dispositivi più utilizzati sono gli smartphone, seguiti dai Pc portatili e dai tablet: i primi usati prevalentemente per gestire le e-mail (26%), i secondi per lavorare su documenti (26%), mentre i tablet, invece, per navigare in Internet (19%). Nessuna professione risulta più mobile worker delle altre.

Il 26% dei professionisti usa app a contenuto professionale nelle loro varie forme, mentre il 45% dimostra disinteresse, soprattutto perché lavora poco in mobilità (30%). Tra le categorie professionali i più assidui utilizzatori di app professionali sono gli avvocati (29%), seguiti dai consulenti del lavoro (23%) e, per finire, dai commercialisti (21%). Gli studi multidisciplinari raggiungono la percentuale più alta, pari al 32%.

Allargando lo sguardo, gli esperti del Polimi rilevano che i professionisti italiani sono interessati all’Ict, ma la diffusione delle nuove tecnologie tra avvocati, commercialisti e consulenti del lavori resta ancora limitata. Eppure, in un settore che non è risparmiato dalla crisi, con il 35% degli studi che nel 2012 registra una riduzione della redditività superiore al 10%, la tecnologia potrebbe creare maggiore efficienza, liberare tempo alle attività amministrative (che impegnano tra il 36% e il 48% del totale) e aprire a nuove idee di business.

Le tecnologie più diffuse, già presenti nella maggioranza negli studi italiani, sono la firma digitale (nel 78% dei casi) e l’home banking (76%), seguite dai dai software di gestione elettronica documentale (46%) e poi, in misura minore, il sito internet “vetrina” (21%), l’eLearing (20%) e il controllo di gestione per lo studio (19%).

“Oltre alle tecnologie già in uso per la dematerializzazione dei documenti e ai semplici applicativi, insomma, ancora oggi non entrano nell’attività lavorativa degli studi professionali soluzioni come Crm, portali e siti web, firma grafometrica, Workflow management – spiega Claudio Rorato, responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Ict & Professionisti della School of
Management del Politecnico a Milano – Il business delle professioni appare ancora tradizionale nei contenuti e nelle prassi di conduzione. La tecnologia potrebbe assistere invece l’apertura di nuove idee di business assistite dalle tecnologie o prassi lavorative più snelle”.

Si rileva inoltre come alcuni studi professionali manifestino indifferenza per certe tecnologie (in particolare per business intelligence, Crm, workflow, eLearning, firma grafometrica e controllo di gestione per lo studio), anche se una buona parte ammette di non conoscere alcune soluzioni (il 27% non sa cosa sia il workflow, il 23% per il Crm, il 19% per la business intelligence): dati che dimostrano lanecessità di aumentare l’alfabetizzazione informatica della categoria.

I professionisti italiani si mostrano interessati alle soluzioni Ict – in particolare cloud, firma grafometrica, app – ma i budget di spesa dedicati nel prossimo biennio restano limitati. L’83% degli studi professionali dichiara la disponibilità a investire in tecnologia nei prossimi due anni, ma il 27% di questi dedicherà un budget compreso tra mille e 3 mila euro, il 21% al massimo mille euro e solo il 16% tra 3 mila e 5 mila euro.

Tra le singole professioni, analizzando i valori medi e centrali per ciascuna fascia di investimento, emerge che gli avvocati sono disposti a investire in Ict fino a 2 mila euro, i commercialisti fino a 6 mila euro e i consulenti del lavoro poco più di 8 mila euro. Gli studi multidisciplinari, evidentemente per la maggior dimensione e trasversalità professionale, ipotizzano oltre 12 mila euro di investimento. La resistenza maggiore a stimolare l’investimento in Ict è dovuta prevalentemente alle priorità diverse.

Quale sarà, la destinazione degli investimenti? Il 46% darà la priorità a la priorità a Pc più potenti e, a seguire, a server, stampanti e scanner (19%, 18% e 15% rispettivamente). Il 33%, invece, non investirà in hardware.

“La natura di questi investimenti sottolinea come ci sia ancora una difficoltà a percepire concretamente la capacità di generare valore da parte delle Ict – commenta Alessandro Perego, responsabile Scientifico dell’Osservatorio Ict&Professionisti – si privilegia la performance dello strumento, come i PC più potenti, e non quella di processo. Non emerge la volontà concreta di riorientare il business, prevalentemente ancora di natura tradizionale, verso nuove forme di servizio in grado di diversificare i rischi, proteggere la marginalità, sviluppare nuove opportunità. L’alfabetizzazione digitale, che impegni le istituzioni politiche e professionali, diventa allora cruciale per la diffusione di una cultura tecnologica presso i professionisti, per far percepire chiaramente perché una tecnologia può generare valore e, soprattutto, dove lo può creare”.

La volontà a investire cresce con l’aumentare della redditività (dal 75% per coloro che hanno rilevato una contrazione della redditività superiore al 10% all’86% per coloro che dichiarano una redditività stabile, fino al 90% per coloro che hanno avuto una crescita superiore al 10%), ma emerge anche come gli investimenti non vengano indirizzati sulle tecnologie che creano valore stabile per il lavoro.

Il sentiment degli studi professionali verso la tecnologia appare in generale positivo, riconoscendo i benefici che questa è in grado di generare. All’Ict viene riconosciuta la capacità di creare efficienza e nuovi servizi (con l’85%-96% di accordo tra i professionisti). Inoltre la maggioranza dei professionisti riconosce una correlazione positiva tra tecnologia e redditività, ma emerge anche una certa difficoltà a dare un valore quantitativo ai benefici, percepiti soprattutto in termini generali. Il percorso di avvicinamento alle tecnologie mostra al tempo stesso attrazione e diffidenza, anche se la percezione tendenziale è positiva.

Emergono anche le difficoltà che condizionano la diffusione delle tecnologie presso gli studi. In particolare, sono l’alfabetizzazione informatica dei titolari (42%), il livello dei costi dei software (30%), la difficoltà a conoscere realmente l’offerta del mercato (23%). Il 21%, invece, non ravvisa problemi particolari. Analizzando le singole professioni, gli avvocati riconoscono più di tutti un valore elevato alla scarsa alfabetizzazione dei titolari di studio (49%), mentre i consulenti del lavoro individuano tra le cause più importanti la lentezza di Internet (21%). Per gli studi multidisciplinari, infine, la prima ragione è la lentezza di Internet (32%), seguita dalla scarsa alfabetizzazione dei titolari di studio (30%), dalla scarsa alfabetizzazione del personale (29%) e dai costi dei software (28%).

Per quanto riguarda l’attività svolta da avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro produce una grande mole di documenti cartacei che saturano gli archivi e impiegano tempo per la custodia, ma le prassi di “dematerializzazione” dei documenti e gli strumenti che possono aiutare a rendere più efficienti alcune attività non sono ancora diffusi.

Il 42% dei commercialisti, il 58% degli avvocati e il 35% dei consulenti del lavoro affronta la situazione con la scansione dei documenti cartacei, creando archivi elettronici, ma mantenendo ancora la carta o ricorrendo a fornitori esterni. Solo il 26% dei commercialisti, il 17% degli avvocati e il 33% dei consulenti del lavoro pensa invece di ricorrere alla conservazione a norma dei documenti già in Pdf o trasformati in formato Pdf con la scansione dei documenti cattacei. Anche per i fax, il 62% dei commercialisti, l’80% degli avvocati e il 51% dei consulenti del lavoro ricorre alla fotocopia e all’archiviazione cartacea, mentre una minima parte prevede la scansione e l’archiviazione in cartelle elettroniche o l’archiviazione diretta nei server in digitale.

Per quanto riguarda le e-mail di interesse, il 69% dei commercialisti, l’87% degli avvocati e il 56% dei consulenti del lavoro le stampa e le archivia all’interno delle pratiche di competenza.

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