AGCOM

Posteraro: “Per tutelare il copyright puntare su autoregolamentazione”

Pubblichiamo l’intervento del commissario Agcom in occasione della sottoscrizione di un Memorandum d’intesa tra Iab Italia, Fapav e Fpm: “Il regolamento riconosce l’utilità di questo approccio bilanciandolo con una chiara regolamentazione. Così si sconfigge la criminalità informatica”

Pubblicato il 12 Giu 2014

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La sottoscrizione di un Memorandum d’intesa da parte di Iab Italia, Fpm (Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale) e Fapav (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) è un evento di grandissima importanza, che può rappresentare un punto di svolta nella lotta alla pirateria digitale, soprattutto se – com’è auspicabile – aprirà la strada ad altre iniziative analoghe, ad altri analoghi successi dell’autoregolamentazione.

Senza con questo assumerci meriti altrui, credo possa dirsi che il regolamento Agcom per la tutela del diritto d’autore online ha in qualche modo contribuito a questo risultato. Un risultato non meno rilevante e significativo, a mio avviso, della recente uscita dell’Italia, dopo venticinque anni, dalla watch list americana degli Stati che non tutelano adeguatamente la proprietà intellettuale: uscita che la stessa Amministrazione Usa ha attribuito esplicitamente al regolamento adottato dall’Agcom.

Il regolamento, in effetti, è stato in un certo senso un sasso gettato nello stagno, in quanto ha messo il tema della tutela del diritto d’autore sulla rete al centro dell’attenzione. Si è così sviluppato un vasto dibattito sull’argomento, nel cui ambito sono emerse, com’è del resto naturale, anche opinioni dissonanti, ma che comunque è valso a sottolineare l’urgenza di affrontare con strumenti adeguati un problema in precedenza un po’ sottovalutato. Insomma, detto in altri termini, il regolamento Agcom ha sicuramente esercitato un’azione di stimolo, creando le condizioni e il clima favorevole perché gli operatori potessero mettere in campo iniziative come quella della quale ci stiamo occupando.

Questo è accaduto anche perché il regolamento Agcom, diversamente da quanto si è voluto far credere, non è solo enforcement. E – apro qui una parentesi – l’enforcement, a sua volta, non è solo repressione. Mi piace sottolineare, a questo proposito, un dato quanto mai significativo, che riepiloga l’esito dei procedimenti conclusi nei circa settanta giorni di vigenza del regolamento. A fronte di otto ordini di disabilitazione emanati dall’Autorità, peraltro tutti nei confronti di siti manifestamente dediti alla pirateria, si sono avuti in questo periodo ben tredici casi di adeguamento spontaneo, ossia di rimozione dei contenuti diffusi illegalmente da parte dei gestori dei siti. Un dato che mi pare testimoni in maniera inequivocabile la disponibilità del web a farsi carico della tutela del diritto d’autore e, più in generale, del rispetto delle regole. Non c’è stata, quindi, la rivolta della rete – che alcuni avevano annunciato, auspicato, cercato di suscitare – contro il preteso attentato liberticida posto in essere dall’Agcom, che avrebbe minacciato addirittura di compromettere la stessa esistenza del web come agorà planetaria, come luogo di scambio di opinioni e di notizie!

Il regolamento Agcom, dicevo, non è solo enforcement. Anzi, non a caso le norme volte a promuovere l’offerta legale e l’educazione dei consumatori precedono quelle intese a reprimere le violazioni. Qualche giurista improvvisato, evidentemente dedito a formulare critiche senza curarsi troppo della loro fondatezza, ha lamentato che questa parte del regolamento, ossia la parte relativa alla promozione dell’offerta legale, mancherebbe di concretezza, a differenza di quella sull’enforcement, perché sprovvista di presidi normativi che ne assicurino l’osservanza. E’ appena il caso di far notare, a questo riguardo, che – mentre le violazioni debbono essere perseguite e represse con strumenti autoritativi – non è ovviamente possibile far uso di strumenti di questo genere per coartare l’autonomia negoziale dei privati cittadini. E’ questo il campo nel quale deve agire l’autoregolamentazione. Ed è infatti l’autoregolamentazione ciò che il regolamento Agcom mira a promuovere, tanto da aver dato vita, a questo fine, a un’apposita istanza, un Comitato tecnico che può costituire, per gli operatori interessati e per i rappresentanti delle istituzioni, una sede permanente di confronto e una fucina di idee e di iniziative. Del Comitato tecnico fanno parte, fin dalla sua istituzione, la Fapav e la Fpm. Proprio in questi giorni abbiamo registrato con soddisfazione anche la domanda di adesione di Iab Italia.

E qui credo sia opportuno spendere due parole per dissipare un equivoco in cui talora si incorre quando si parla dell’autoregolamentazione come di uno strumento che si contrappone alla regolamentazione, alla quale sarebbe necessariamente alternativo. Non è così. Regolamentazione e autoregolamentazione sono invece complementari. Possono essere impiegate, a seconda dei casi, insieme o separatamente. Sempre a seconda delle circostanze, può essere preferibile fare maggiore affidamento sull’una o sull’altra. Ma non si escludono vicendevolmente in via di principio, se non con riferimento agli ambiti che sono per legge riservati alle determinazioni autoritative dei pubblici poteri. E sono sicuramente complementari per quanto concerne la tutela della proprietà intellettuale sulla rete. Perché se l’autoregolamentazione può risultare utilissima – e dirò fra poco quanto lo sia nella fattispecie di cui ci occupiamo oggi – la regolamentazione rimane tuttavia necessaria per assicurare ai diritti una protezione valida erga omnes, e non solo nei confronti dei sottoscrittori delle intese, e che sia al contempo più tempestiva di quella garantita dai procedimenti giudiziari.

Detto questo, il Memorandum d’intesa rappresenta il miglior esempio dei risultati straordinari che si possono ottenere con l’autoregolamentazione. Il migliore esempio di come l’autoregolamentazione possa concretamente contribuire ad una efficace governance di internet, e a far progredire sulla rete l’area della legalità. Persino più e meglio di quanto si potrebbe fare con una profluvie di ordini di blocco di siti, la soluzione adottata da Iab, Fapav e Fpm può davvero colpire al cuore la pirateria. I pirati traggono il loro lucro essenzialmente dalla pubblicità che riescono ad attirare sui loro siti. Di conseguenza, mettere gli operatori del mercato della pubblicità nelle condizioni di non allocare le inserzioni sui siti dediti sistematicamente alla pirateria equivale a privare questi ultimi delle principali risorse che alimentano il loro business criminale.

Dunque, una soluzione simile al follow the money, ma ancora più efficace. Qui non c’è bisogno di seguire la traccia delle transazioni finanziarie che alimentano la pirateria; qui si fa in modo che quelle transazioni finanziarie non vedano mai la luce.

Per avere un’idea di quanta ricchezza sia in grado di erogare il rubinetto che potrebbe chiudersi per i siti illegali, basta dare uno sguardo alla relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva sulla pubblicità online svolta nel 2013 dall’Agcom, non a caso richiamata espressamente nel Memorandum d’intesa, nonché ai dati ancora più aggiornati del rapporto annuale sul mercato pubblicitario online realizzato da Iab Europe. La pubblicità online sta vivendo una fase di tumultuosa crescita. In controtendenza rispetto a quanto avviene per la pubblicità veicolata attraverso i mezzi tradizionali, in Europa la raccolta online ha fatto segnare, nel 2013, un incremento dell’11,9% sull’anno precedente, raggiungendo un volume di oltre 27 miliardi di euro, che ne fa ormai il secondo comparto del settore dopo quello televisivo. Non dissimile è la tendenza nel contesto nazionale, con un trend di crescita dell’online perfino più marcato, pari al 13,3% nel 2013 e addirittura al 108% nei quattro anni dal 2009 al 2013.

Questo ingente flusso di risorse finanziarie non può, non deve dirigersi, nemmeno in parte, verso l’economia criminale. Sì, perché di questo si tratta, di criminalità. Dovremmo forse smettere di usare il termine pirateria, che evoca ricordi di letture adolescenziali, fa pensare a personaggi circonfusi perfino di un alone romantico. L’amore per l’avventura e per il rischio, il coraggio, finanche una qual certa nobiltà d’animo. Qui non c’è nulla, proprio nulla di tutto questo. Né romanticismo, né amore per il rischio, né coraggio, né tanto meno nobiltà d’animo. Qui c’è solo fredda volontà di appropriarsi in maniera fraudolenta dei frutti del lavoro altrui, sfruttando le opportunità offerte da uno spazio aperto e libero come la rete per sfuggire al potere dei singoli Stati. Criminalità transnazionale, dunque, che è eufemistico definire pirateria. Meglio, molto meglio parlare di criminalità informatica.

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