CYBERSICUREZZA

Privacy Ue: serve un giro di vite sulla protezione dati

Meeting Garanti europei post-Datagate: “Limitare l’accesso alle informazioni degli utenti da parte delle autorità pubbliche”. Anche i metadati devono ubbidire alle norme privacy

Pubblicato il 23 Apr 2014

Lorenzo Forlani

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La lotta al terrorismo “non può giustificare forme di sorveglianza massiva e indiscriminata delle comunicazioni dei cittadini europei”. E’ quel che affermano i Garanti europei per la privacy nell’ultima riunione svoltasi a Bruxelles, nel corso della quale sono stati approvati una serie di importanti pareri, tra i quali particolarmente significativi quello riguardante il controllo delle comunicazioni elettroniche per scopi di sicurezza nazionale e quello sulle tecniche di anonimizzazione.

Il primo parere nasce dalla necessità delle Autorità di protezione dati europee (Dpa) di dare una valutazione sul caso Datagate e si sofferma, in particolare, sull’analisi degli strumenti elaborati finora in ambito Ue per consentire il trasferimento di dati personali verso gli Usa. I Garanti Ue rilevano che nessuno di questi strumenti – come il Safe Harbor – può essere usato per consentire alle autorità di un Paese terzo di accedere ai dati trasmessi per finalità di massiva ed indiscriminata sorveglianza.

Ad avviso dei Garanti “le possibilità di consentire l’accesso delle autorità pubbliche a tali dati devono essere interpretate in modo restrittivo, limitate quindi a casi specifici e specifiche indagini”. Le Dpa hanno dunque sollecitato i governi ad “assicurare maggiore trasparenza sulle attività dei servizi di intelligence, assicurando un quadro legale coerente ed una supervisione efficiente, anche attraverso il coinvolgimento delle Autorità di protezione dei dati.

Le Dpa hanno inoltre raccomandato di mettere in campo una serie di azioni: il rafforzamento degli obblighi, che già gravano sui Paesi dell’Ue, di proteggere il diritto alla riservatezza e alla tutela dei dati personali; la rapida approvazione del “pacchetto protezione dati”, con particolare riguardo all’obbligo per le aziende, proposto dall’Europarlamento, di informare gli interessati sugli accessi ai loro dati consentiti alle autorità pubbliche competenti; l’adozione di un accordo internazionale che preveda forti garanzie per gli individui nel contesto delle attività di sorveglianza e costituisca uno strumento globale per garantire il diritto alla riservatezza ed alla tutela dei dati personali.

Le Autorità di protezione dati europee hanno inoltre affrontato la questione dei cosiddetti “metadati”, cioè quei dati di contesto (tra cui numero chiamante e chiamato, indirizzo IP, luogo, ora, tipologia di terminale o servizio, durata della comunicazione ecc.) che descrivono il contenuto esterno (conversazione telefonica, sessione internet ecc.) di una comunicazione.

I Garanti hanno ribadito che i metadati sono informazioni che consentono di identificare un individuo, e come tali sono soggetti alle regole in materia di protezione dei dati personali. In questa prospettiva, hanno pertanto rivolto alcune raccomandazioni anche alle imprese, a partire da quelle che forniscono servizi di comunicazione elettronica, affinchè assicurino una maggiore trasparenza nella gestione dei dati degli utenti europei.

L’altro significativo parere, coordinato dal Garante italiano, riguarda l’anonimizzazione dei dati personali. Le Dpa riconoscono il valore dell’anonimizzazione in quanto strategia utile a mitigare i rischi per la privacy e a assicurare benefici per gli individui e la società più in generale, specie nel caso dell’open data e del conseguente riutilizzo di informazioni anche personali. Ma sottolineano, altrettanto chiaramente, le difficoltà di creare insiemi di dati realmente anonimi (anche sulla scorta della letteratura scientifica e della casistica disponibile) e mettono in guardia dai rischi delle “re-identificazione” insito nelle tecniche esistenti delle quali il parere analizza efficacia e limiti.

Riguardo infine alla cosiddetta “pseudonimizzazione”, inoltre, le Autorità europee sottolineano come essa possa rappresentare un’utile misura di sicurezza in grado di ridurre la diretta correlazione tra il dato e l’identità originale dell’interessato (attraverso la creazione appunto di uno “pseudonimo”), ma non certamente un metodo tale da impedire l’identificazione di un soggetto in modo irreversibile. Il dato pseudonimizzato resta, in ultima analisi, un dato personale. I Garanti invitano dunque tutti i titolari del trattamento e gli utilizzatori di dati “anonimizzati” ad un approccio cauto e tecnologicamente avvertito, e a tener sempre presente la necessità di una valutazione periodica del rischio di re-identificazione anche alla luce della continua evoluzione delle tecnologie di anonimizzazione.

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