E-GIUSTIZIA

Processo telematico, sono tecniche le disfunzioni più gravi

Applicativi obsoleti, scarsa fornitura hardware e connessioni insufficienti al flusso dati. I contratti di assistenza prevedono l’intervento in 8 ore per urgenze: altrimenti in 3-4 giorni lavorativi

Pubblicato il 30 Apr 2015

Alessandro Longo

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Server inadeguati, connessioni obsolete, pochi pc. Il Processo civile telematico non funziona come dovrebbe. Spesso l’accesso al servizio – per depositare o leggere gli atti – è poco fruibile, quando non si interrompe del tutto per un problema di rete o di server. Prova ne è che persino il Tribunale di Milano, fiore all’occhiello del Pct in Italia perché suo pioniere, ha dovuto alzare bandiera bianca ufficialmente il 12 gennaio 2015. Per quel giorno il presidente ha autorizzato il deposito di atti cartacei, in deroga all’obbligo di usare solo il digitale. Aveva desunto che c’era un problema di funzionamento del sistema informatico, dalle numerose istanze di autorizzazione al deposito analogico presentate lo stesso giorno dagli avvocati.

Sempre a gennaio è arrivata un’ordinanza simile dal Tribunale di Torino, mentre il precedente è del 2014, del Tribunale di Ivrea. È la stessa legge istitutiva del Pct a prevedere questa possibilità (“il presidente del Tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza”), il famoso decreto legge 179/2012; quello che ha avviato l’Agenda digitale italiana, sotto il Governo Monti. Già, sembra che il Legislatore avesse previsto i problemi.

Spicca anche il caso del Tribunale Civile di Roma: nel più grande ufficio giudiziario il sistema è andato in tilt, a luglio scorso. Crollato sotto il boom di depositi e comunicazioni telematiche, dopo che era scattato l’obbligo pochi giorni prima (il 30 giugno). Questi sono i casi giunti alle cronache, ma gli addetti ai lavori riferiscono di tanti piccoli o grandi disservizi frequenti, per colpa di una manutenzione del software, di un incendio nella sala server (è capitato di recente a Latina) o del semplice sovraccarico di accessi.

Un’indagine del Csm a giugno scorso riferiva che il 40% degli uffici giudiziari non dispone di computer efficienti; le connessioni solo nel 42% dei casi sono idonee a sostenere il flusso documentale. Circa la metà dei tribunali si lamenta delle tempistiche dell’assistenza tecnica (quindi se c’è un guasto, per giorni il computer del giudice o il persino il server non funziona e si blocca tutto). Non c’è un computer per tutti i giudici, che quindi sono costretti a condividerli per leggere un atto (anche se è cresciuto il numero di quelli che si è dotato di un tablet, per ovviare).

Spia dei problemi è anche una lettera che il presidente della Corte d’appello del distretto di Milano, Gianni Canzio, ha spedito, a luglio, al ministero della Giustizia. Canzio chiedeva il perché del ritardo nel realizzare infrastrutture adeguate al Pct, nonostante i soldi stanziati (16 milioni di euro tra 2010 e 2013, a Milano, presi dai finanziamenti Expo). Soldi destinati anche alla “realizzazione di una sala server destinata anche al funzionamento del sistema e alla sicurezza dei relativi dati”. Sala però che ancora non c’è, per colpa di vari ritardi burocratici.

Nel resto d’Italia, sono pesati anche i tagli al budget informatico della Giustizia: a 79,5 milioni di euro nel 2014, contro i 92 del 2012 e i 124 del 2011. Nel 2015 si prevedono 50 milioni di euro in più, ma gli investimenti da fare sono grossi: per predisporre nuove sale server, più potenti e magari dotate di sistemi di back up, disaster recovery e business continuity.

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