IL COMMENTO

Quanti ostacoli davanti all’Italia digitale

Nicola D’Angelo: Web tax, ma non solo. Si parla tanto di sviluppo tecnologico, ma gli ultimi giorni secondo alcuni osservatori sono stati “la settimana nera di Internet”

Pubblicato il 18 Dic 2013

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Si parla tanto di sviluppo tecnologico, di digitale, del nuovo che avanza. Intanto, però gli ultimi giorni secondo alcuni osservatori sono stati “la settimana nera per internet”. Diversi interventi regolatori hanno riguardato la Rete, tra più discussi quelli sul copyright e sulla c.d. Web tax.

In particolare, quest’ultima misura, al di là delle buone intenzioni, nell’imporre a tutte le aziende che compiono anche una sola operazione sul web di aprire una partita IVA o di far fatturare comunque a un soggetto italiano, è stata molto contestata perché ritenuta un freno allo sviluppo di internet e contrastante con la libertà di stabilimento e di circolazione dei servizi sancite dal trattato UE.

Ma non solo questo. Un altro importante capitolo collegato allo sviluppo della la Rete è di nuovo al centro di polemiche. Si tratta del permanente caso Telecom. Dopo giorni di abbandono alle sorti del mercato, la vicenda sembra di nuovo interessare Parlamento e Governo. Il quadro però è incerto e più che di “apatia”, come qualcuno ha detto, siamo alla confusione totale.

Per non parlare della televisione. Manca infatti qualsiasi iniziativa di riforma della Gasparri o sull’approvazione di norme serie in materia di conflitto di interessi. Il tema della democrazia dell’informazione non sembra proprio eccitare le menti di vecchi e nuovi protagonisti della politica. Un’informazione troppo vicina al potere e poco attenta al dissenso continua a caratterizzare il contesto italiano.

È di qualche giorno fa l’ennesimo rapporto sulla libertà di espressione nell’Unione europea (appena pubblicato dalla organizzazione Index on Censorship) in cui l’Italia è solidamente in fondo alla classifica.

Tuttavia nulla si muove. Alcuni esempi sono illuminanti. Si parla in queste ore di riforma elettorale, ma nessuna legge sarà mai realmente efficace nel rappresentare ciò che vogliono i cittadini se a fianco ad essa non si porranno regole severe sul conflitto di interessi e soprattutto sul pluralismo e la libertà di accesso ai media. Per scegliere infatti devo essere messo in grado di capire e se l’informazione è quella di oggi c’è poco da sperare.

Ancora, l’omologazione al potere delle testate televisive, pubbliche e private, è sconcertante. I dati dei principali osservatori di rilevamento sono concordi. Tra qualche giorno scade poi la norma che vieta gli incroci proprietari tra televisioni e giornali (art. 43 del testo unico sulla radiotelevisione prorogato da Monti). Buio totale sulle intenzioni del Governo, silenzio della politica. E così per il mercato della raccolta pubblicitaria o delle frequenze. L’elenco sarebbe ancora lungo. A ben vedere però il tema della riforma del sistema radiotelevisivo non è solo connesso al pluralismo. Se lo stesso non sarà in grado di rinnovarsi finirà infatti in mano ai grandi baroni della rete, che facilmente fagociteranno i beni dei valvassini nostrani. Non è un caso che recenti indagini indichino che sempre più gli italiani si rivolgono ad internet per essere informati e per il consumo di contenuti audiovisivi.

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