L'ANALISI

Reddito di cittadinanza, Dominici: “Puntare sui big data”

Fpa fa il punto sulle criticità tecnologiche in occasione del giornata di avvio delle richieste. Il direttore generale: “Il sistema informativo del lavoro dovrebbe diventare davvero interoperabile e utilizzare le tecnologie più attuali per la gestione e l’analisi delle info. Solo così si potranno prendere decisioni ragionate”

Pubblicato il 06 Mar 2019

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Debutta il reddito di cittadinanza. Da oggi è infatti possibile fare richiesta per ricevere il sussidio tramite Spid direttamente sul sito ufficiale oppure utilizzando i moduli pubblicati sul portale dell’Inps e inoltrando la domanda agli uffici postali o ai Caf. Nelle prime ore della giornata si sono registrati problemi per la richiesta via Spid. Inizialmente si riusciva a entrare solo con l’identità digitale di Poste Italiane e Tim, successivamente l’accesso è diventato regolare anche per chi ha scelto altri gestori.

A tal proposito AssoCertificatori smentisce la presunta causa dei problemi di accesso via Spid al sito del Governo www.redditodicittadinanza.gov.it. “Le cronache hanno riportato correttamente il problema iniziale avuto dai cittadini che, al momento dell’accesso al portale mediante le proprie credenziali Spid – spiega una nota – hanno visualizzato un messaggio di errore con impossibilità di proseguire alla procedura. Fortunatamente tale disservizio è stato risolto già in mattinata ma – contrariamente a quanto dichiarato da fonti istituzionali e ripreso da alcuni media – non era affatto imputabile alla responsabilità, o meglio a presunti errori, di nessuno dei gestori di identità digitale Spid”.

Lo spiacevole contrattempo è stato, infatti, determinato unicamente dalla non corretta integrazione del portale governativo con l’infrastruttura Spid”, conclude l’associazione.

In occasione del debutto dell’Rdc, Fpa ha fatto il punto sulla misura analizzando anche le criticità sul fronte tecnologico. “Un settore importante su cui investire – avverte Gianni Dominici, direttore generale di Fpa–  è il sistema informativo del lavoro, che dovrebbe diventare davvero interoperabile e utilizzare le tecnologie più attuali per la gestione e l’analisi dei dati. Solo così si potranno prendere decisioni ragionate e si potrà monitorare l’effetto delle misure adottate”.

“Quella del Reddito di Cittadinanza è una sfida enorme, ma anche una grande opportunità di rafforzamento dei Centri per l’Impiego e in generale dei servizi pubblici – spiega Dominici – 3,4 miliardi di euro per potenziare gli enti coinvolti rappresentano un investimento significativo, che però richiede di essere accompagnato da un ridisegno della macchina organizzativa: allo stato attuale, il sistema che dovrebbe permettere l’erogazione del Reddito di Cittadinanza, insieme a servizi di orientamento, formazione, inclusione e ripresa del lavoro non risulta adeguato”.

Stando allo studio “Reddito di Cittadinanza: siamo pronti?” di Fpa Data Insight, il sistema pubblico che dovrebbe permettere l’erogazione del Reddito di Cittadinanza oggi non è adeguato a sostenere un simile impegno: se non sarà potenziato e riorganizzato in breve tempo rischia il collasso.

Per far partire la complessa macchina amministrativa che lo dovrà gestire, l’Italia si accinge a compiere un grande investimento che in tempi rapidi è chiamato a trasformare un fragile insieme di amministrazioni centrali e locali in una rete capace lavorando come un sistema integrato, di far uscire oltre 1,3 milioni di famiglie da uno stato di povertà assoluta, per farle entrare nel mercato del lavoro. Per gestire al meglio i 20 miliardi di euro che saranno erogati nel triennio alle famiglie in situazione di povertà, il Paese si prepara a investire complessivamente circa 3,4 miliardi di euro tra il 2019 e il 2021 per potenziare Centri per l’Impiego, i Servizi sociali dei Comuni, l’Anpal, l’Inps, i Caf e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tra inserimento di personale, aggiornamento delle competenze necessarie a seguire i destinatari nei percorsi di “uscita dalla povertà”, formazione per la gestione delle nuove procedure, potenziamento dei sistemi informativi e integrazione delle banche dati, comunicazione. Insomma, per riformare profondamente tutto il sistema delle politiche attive del lavoro ad oggi frammentato e poco efficace.

Tra queste risorse, 1,3 miliardi di euro in particolare saranno destinati a rafforzare i Centri per l’Impiego, 501 uffici per 8000 dipendenti, a cui dalla primavera con il Reddito di Cittadinanza si rivolgeranno tra 1,3 milioni e 1,7 milioni: se anche solo una persona per nucleo familiare sarà chiamata a colloquio, ciascun operatore dovrebbe seguire complessivamente 521 persone. Solo con i nuovi investimenti a regime, l’organico dei Centri per l’Impiego potrebbe arrivare a 13.600 dipendenti, per cui ciascun operatore si troverà a gestire 95 destinatari di Reddito di Cittadinanza e 213 persone in cerca di lavoro.

I Centri per l’impiego 

L’investimento più alto per accendere i motori del Reddito di Cittadinanza è legato al potenziamento dei Centri per l’impiego per i quali verranno spesi 900 milioni di euro, più 440 milioni di euro corrisposti alle Regioni per il reclutamento del personale. Un’operazione che complessivamente supera 1,3 miliardi di euro, non più procrastinabile: la fragilità dei Cpi è conseguenza del susseguirsi di riforme incomplete. Oggi i 501 Centri per l’impiego italiani contano poco più di 8000 dipendenti, con 359 contatti medi per ogni addetto e appena lo 0,7% di chi vi si è rivolto nell’ultimo anno ha ricevuto un’offerta di lavoro. Basandosi sulle stime del Reddito di Cittadinanza, dalla primavera dovranno passare dai Cpi tra 1,3 milioni e 1,7 milioni di persone: se anche solo una persona per nucleo familiare fosse chiamata a colloquio il carico di ciascun operatore passerebbe da 359 a 521 persone da seguire. Bisogna poi affrontare la riqualificazione del personale, che in maggioranza (il 56%) ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado e solo il 29% istruzione universitaria, con età medio-avanzata e funzioni tipicamente amministrative/gestionali, mentre altre figure chiave sono svolte da personale esterno a supporto. Gli operatori lamentano oggi difficoltà strutturali dell’assenza di banche-dati per l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e software obsoleti che ostacolano il lavoro invece di agevolarlo.

L’investimento previsto permetterebbe di incrementare la dotazione organica dei Cpi di 4.000 unità, a cui aggiungere i 1600 operatori già previsti dal Piano di Rafforzamento adottato nel dicembre 2017 in Conferenza Unificata. L’organico dei Cpi passerebbe in tre anni dagli attuali 8000 operatori a 13.600, per cui ciascun operatore si troverà a gestire 95 destinatari di RdC e avremo un operatore ogni 213 persone in cerca di lavoro.

“È difficile pensare che entro l’anno, senza un accordo ancora definito con le Regioni, queste cifre possano diventare effettive, ma quella del Reddito di Cittadinanza è un’occasione irrinunciabile di rilancio per i Cpi che ci può consentire di avvicinarci alle nazioni europee vicine – rileva Dominici -. Se queste previsioni andassero a regime, infatti, il personale supererebbe quello della Spagna, dove il SEPE ha un organico di circa 9.200 dipendenti, pur restando a distanze siderali dalla Germania, che ha 115 mila unità, dal Regno Unito con 78 mila unità e dalla Francia con 49 mila addetti per i loro Centri per l’Impiego”.

Gli altri enti coinvolti

Alla guida della macchina amministrativa del Reddito di Cittadinanza c’è il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che dovrà occuparsi di mettere in piedi e gestire il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss), curare la comunicazione istituzionale sul programma e monitorarne l’attuazione. L’investimento a bilancio è di 2 milioni all’anno per 3 anni.

Al fianco del Ministero, c’è l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive (Anpal) che dovrebbe facilitare l’accordo tra i diversi attori istituzionali, ma allo stato attuale con l’85% del personale “a scadenza” non è strutturata per il ruolo strategico attribuito di selezionare e contrattualizzare i “navigator”, sviluppare le competenze degli operatori dei CPI e dei navigator, con l’affiancamento sul posto di lavoro. Sono previsti 10 milioni per il funzionamento dell’Agenzia e 1 milione l’anno per tre anni per stabilizzare il personale a tempo determinato, oltre ai 500 milioni di euro stanziati per l’assunzione di 6000 “navigator”. “Proprio sull’assunzione, sul ruolo e sull’inquadramento dei navigator sono nate le principali incomprensioni con le Regioni – spiega Dominici – Il rischio è di adottare un processo totalmente top down, che non rispetta le autonomie regionali, mentre le misure di rafforzamento della rete funzioneranno al meglio solo se il processo sarà governato, appunto, in una logica di rete”.

I Comuni hanno oggi un ruolo diverso rispetto all’erogazione del Rei, ma si conferma un forte carico di lavoro (per verificare i requisiti di soggiorno e residenza, predisporre i progetti di pubblica utilità sociale; alimentare le banche dati; segnalare informazioni sui fatti suscettibili di sanzioni o decadenza; convocare i richiedenti con bisogni complessi ecc), con un personale che negli ultimi anni ha subito una progressiva riduzione, passando da 391 mila del 2010 ai 338 del 2016 (-13,6%). E nelle previsioni Anci 50.000 dipendenti hanno diritto alla pensione quota 100. Come dotazioni finanziarie, ai Comuni non saranno riconosciuti gli oneri per i controlli dei requisiti o attivazione dei progetti di pubblica utilità, ma sono lasciate le risorse destinate ai servizi sociali territoriali a legislazione vigente pari a 1,5 miliardi (Fondo Povertà) per attrezzare i sistemi informativi al dialogo con le piattaforme digitali nazionali e per assumere assistenti sociali a tempo determinato. Con il paradosso che i Comuni si troveranno ad assumere nuovi assistenti sociali non strutturali proprio quando scadranno a dicembre 2019 quelli assunti e formati con circa 490 milioni di euro risorse del Pon inclusione per assistere i beneficiari del Rei.

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