PRIVACY ONLINE

Se su Internet si perde la libertà

Regole per i contenuti, network management e soprattutto l’invasiva intromissione nella nostra privacy. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi. Eppure i nostri governi e i soggetti preposti a garantirci non sembrano darsi pena

Pubblicato il 07 Lug 2014

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Parafrasando John Milton si potrebbe intitolare il prossimo capitolo dell’epopea di internet: la libertà perduta. Perché? Provate a pensare solo per un momento a cosa sarà in futuro la navigazione nel vasto mare del web.

Regole per i contenuti (le chiamano tutele, ma sotto sotto si tratta di tagliole inesorabili), network management (cioè la discriminazione del nostro “traffico” con la giustificazione del riconoscimento di priorità diverse) e soprattutto l’invasiva intromissione nella nostra privacy.

C’è abbastanza di cui preoccuparsi. Eppure i nostri governi e i soggetti preposti a garantirci non sembrano darsi pena.

Il caso Nsa ha dimostrato plasticamente come siamo in balia di organizzazioni che approfittano del grande sistema di libertà offerto dalla rete per i loro oscuri vantaggi. Per la prima volta abbiamo avuto l’esatta percezione dei pericoli di Internet e di come nel buio delle sue profondità s’agitano forze incontrollate che perennemente accumulano i nostri dati per poi, come nel caso Nsa, conservarli in giganteschi forzieri informatici sotto le sabbie del deserto dello Utah.

Cosa ci riserva il futuro non é facile da prevedere. Per il momento però alcune cose le sappiamo, cioè che le regole sulla protezione dei nostri dati sono scarsamente implementate in Europa, che i cittadini hanno difficoltà crescenti a capire chi sono i data controller della rete, che questi stessi dati non sono neppure trattati da persone in carne ed ossa ma il più delle volte da decision-making automatici che spesso li condividono con altre entità.

Le imprese, soprattutto gli over the top, sono poco chiare e talvolta addirittura conniventi con chi fa profitti o altro dei nostri dati. E per non farci mancare nulla stiamo per dare l’assenso al Tisa (Trade in Services Agreement) un accordo riservato tra 50 paesi (Europa e Italia comprese) il cui scopo molti denunciano essere quello di cancellare il potere d’intervento dei governi e lasciare mano libera alle varie multinazionali.

L’articolo undici del testo (che conosciamo grazie a WikiLeaks) riguarda il trattamento dei dati finanziari, ma di fatto è un sostanziale via libera all’uso indiscriminato dei dati in rete relativi alle nostre transazioni elettroniche.

Ma il Tisa non si ferma a questo. Seppure coperto dall’ombra di una grande segretezza, pare certo che il trattato si estenderà anche alla materia della sanità e dell’istruzione ed in generale a tutti i servizi, con effetti diretti anche sulla possibilità di gestione dei dati relativi.

Insomma un enorme colpo all’integrità della nostra privacy e per di più, stavolta, con il consenso dei nostri governi.

Eliminare le forme di difesa della nostra riservatezza e affidare i dati alle industrie del settore, come sembra volere il nuovo trattato, non è ovviamente coerente con molte delle legislazioni nazionali dei paesi coinvolti, soprattutto europei. Tuttavia, una volta ratificato il Tisa imporrebbe a ciascun paese firmatario di dover adeguare le sue leggi al tenore dell’accordo.

Forse solo allora, come nel caso Nsa dove tutti sapevano e nessuno parlava, avremo risentite e vibranti reazioni.

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