IL CONVEGNO

Sharing economy, l’appello dei player: “No a gabbie legislative”

Alcuni dei protagonisti della cosiddetta economia della condivisione, tra cui Uber e AirBnB, al convegno organizzato oggi alla Camera dall’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione. Riflettori puntati sulla “libertà” di mercato

Pubblicato il 11 Set 2014

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Niente paletti legislativi alla sharing economy: è l’appello lanciato oggi alla Camera dei Deputati al convegno intitolato “Sharing economy: rivoluzione tecnologica delle comunità di utenti online per la crescita” e organizzato dall’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione. Su questo tema hanno riflettuto alcuni dei protagonisti di questo fenomeno emergente in tutto il mondo, modalità innovativa di condivisione per far circolare più velocemente gli assets esistenti. La definizione l’ha data nel suo keynote speech Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente all’Università Bocconi, secondo il quale la sharing economy è “una reinterpretazione più avanzata del capitalismo”, “non ha a che fare con la tecnologia ma con l’economia” ed è “un nuovo mercato con una nuova organizzazione: non è buonismo né corporativismo, è qualcosa che funziona”. Secondo il docente questo nuovo modello di condivisione di oggetti, esperienze e contenuti “ha già vinto” sulla vecchia economia, perciò “non si può bloccarlo in una gabbia di leggi”.

“La sharing economy – ha proseguito – porta con sé una nuova organizzazione della domanda e dell’offerta, in cui le persone contano molto di più. In questa nuova economia non vale il modello tradizionale che vede la distinzione tra produttori e consumatori, ma si va definendo un modello ‘peer’ in cui soggetti di pari dignità si scambiano beni e servizi sulla base di reciproche promesse, che diventano penalità nel caso in cui non vengano mantenute. In questo scenario, il mercato incontra il potere dei social network per soddisfare le nuove esigenze delle persone, aprendo la strada anche a nuove opportunità di lavoro e forme diverse di imprenditorialità”.

“Il rischio della gabbia legislativa è molto forte” gli ha fatto eco Emil Abirascid, Ceofondatore di Startupbusiness:. “Si dice che la sharing economy derivi dalla crisi economica – ha aggiunto – ma in realtà è un cambiamento forte di paradigmi”.

È poi intervenuto Matteo Sarzana, general manager di Zooppa, startup nata in H-Farm alcuni anni fa che si occupa di content creation crowdsourced, ovvero utilizza la forza di una community di più di 250.000 creativi per generare video, campagne, idee, virali, loghi ecc. ecc. “Tuttora manca – ha detto – la fiducia nei confronti della Rete, che invece è in grado di produrre, attraverso le persone, contenuti di qualità”.

“La sharing economy può dare una grande opportunità anche al mondo dell’agricoltura, ma gli agricoltori ne dovrebbero comprendere ancora meglio le potenzialità” ha detto Marco Porcaro, founder di Cortilia, azienda che da tre anni e mezzo dà la possibilità a tanti agricoltori di vendere i prodotti della propria terra online e agli amanti del mangiare sano di avere sulla propria tavola cibi freschi e genuini dal proprio territorio.

“È una modalità di condivisione che viene dal passato quando, dopo la guerra, si condividevano cibo, mezzi di trasporto e abitazione a causa della crisi” ha sostenuto Gian Luca Ranno di Gnammo, social eating che sta ridefinendo il concetto di mangiare condividendo.

Anche secondo Matteo Stifanelli, country manager per l’Italia di Airbnb, popolare piattaforma internazionale che dà la possibilità di affittare alloggi da abitanti locali in 190 paesi, la sharing economy “era una modalità diffusa nel dopoguerra”. Ma “non si tornerà mai indietro” è convinto il manager. “L’home sharing – ha continuato – apporta numerosi benefici sia alle singole persone che alla società, che non sono soltanto finanziari ma anche personali e sociali per tutti coloro che accolgono nelle loro case altre persone. Con 87.000 spazi disponibili e un milione di viaggiatori che hanno soggiornato in questi spazi in Italia, la nostra community sta crescendo sempre più velocemente. Siamo felici di partecipare a questo incontro in quanto rappresenta un passo importante per il dialogo con le istituzioni in Italia sul tema dell’ospitalità e della sharing economy”.

“La sharing economy ha contribuito a una visione diversa della mobilità” è intervenuta Benedetta Arese Lucini, volto italiano di Uber, la società statunitense fornitrice della app per noleggio auto con conducente da smartphone che sta suscitando proteste in Europa e anche in Italia da parte dei tassisti. Lucini ha poi osservato come “sia uno dei grandi fenomeni del nostro tempo, frutto del cambiamento culturale che vede le persone meno interessate al possesso dei beni e più aperte alla condivisione e allo scambio. Pensando alla mobilità urbana, il ride sharing rappresenta l’opportunità di trasformare un bene sottoutilizzato – quale è oggi l’auto privata – in un servizio per tutta la comunità, grazie alla possibilità di connettere più passeggeri lungo il tragitto e rendere la vettura accessibile a più persone in momenti diversi, a prezzi differenti”.

“In Italia manca ancora la capacità di adattarsi a questo strumento e di capirlo” ha detto Claudio Bedino, founder di Starteed, startup incubata da Working Capital, acceleratore di Telecom Italia, che fornisce tecnologia per le piattaforme di crowdfunding (raccolta fondi online).

È seguito poi con un forum su “Gli abilitatori della disruption sociale: I regolatori di fronte alle nuove sfide” durante il quale sono intervenuti Guido Scorza, blogger ed avvocato, Veronica Tentori, Intergruppo Innovazione, Paolo Testa, membro Anci e direttore del Centro di Ricerche “Cittalia” e Gianni Dominici, direttore generale del Forum PA.

“Non è necessario prevedere normative per ogni cosa, vogliamo approfondire e capire a fondo prima” ha detto Veronica Tentori (Pd). “Come intergruppo innovazione – ha spiegato – abbiamo voluto organizzare questo momento sul tema della sharing economy per ascoltare e conoscere queste nuove forme di impresa basate su un modello di sviluppo che ha al centro l’idea di comunità di persone e utenti che condividono beni e servizi anche grazie al supporto della rete e delle innovazioni digitali e tecnologiche. Sono convinta che si debba cogliere la nascita di queste nuove forme di impresa e di economia come un’opportunità, ragionando sulle possibilità che l’innovazione ci fornisce. E’ giusto porsi nuove sfide di fronte ai cambiamenti: la politica ha il dovere di conoscerli, intercettarli, comprendere opportunità e problemi, fare sintesi ed eventualmente intervenire anche a livello legislativo, permettendo alle nuove realtà di convivere con le tradizionali in una logica di integrazione. Se questo può aiutarci ad uscire dalla crisi economica e creare nuovi posti di lavoro, perché non provarci?”.

“Ritengo miope governare un fenomeno nuovo usando regole del passato” ha argomentato Scorza. “Serve l’apertura e la condivisione dei dati nei Comuni” ha affermato Testa. “L’economia e la sociologia spesso sono incapaci di capire l’innovazione” ha consluso Dominici. “La PA finora ha pensato di avere il monopolio dei beni comuni, ma la situazione ora è decisamente cambiata e stanno crescendo nuove realtà”.

“L’economia digitale e la sharing economy – si leggeva nel comunicato che preannunciava l’incontro – permettono la valorizzazione delle comunità di utenti attraverso la moltiplicazione delle potenzialità di comunicazione e marketing di ogni iniziativa, ma anche attraverso la possibilità di condividere e scambiare beni o servizi, creando nuovi posti di lavoro, nuova economia e permettendo l’emersione e la tracciabilità di fenomeni altrimenti invisibili allo Stato. L’innovazione digitale, che come spesso sottolineato per un nuovo posto di lavoro nell’ambito dell’innovazione è in grado di generarne altri cinque, rivoluziona i modelli di business tradizionali e richiede contesti normativi semplici e capacità di cogliere la sfida della transizione”.

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